Stralci da un’intervista di Franco Marcoaldi Richard Rogers a pubblicata da la repubblica il 2 luglio 2012. Su questi temi leggi anche «La città inedita» di Serge Latouche.
Londra. Richard Rogers, anzi Lord Richard Rogers di Riverside, membro della Camera dei Lord, è uno degli architetti più famosi del mondo. Artefice all´inizio degli anni Settanta assieme all´amico Renzo Piano del Centre Pompidou di Parigi, nel corso dei successivi decenni ha ideato, tra l´altro, la Corte europea dei diritti dell´uomo di Strasburgo, il Millenium Dome di Greenwich e il Terminal 4 dell´aeroporto di Madrid. Studioso, docente universitario, a capo dell´Urban Task Force che indica le linee di sviluppo urbanistico di Londra, ha sempre coniugato l´aspetto teorico della sua ricerca con l´attività sul campo, prefigurando l´immagine di una città “compatta e sostenibile”. (…) «Il mio lavoro di architetto, sempre in bilico tra arte e tecnica, conoscenza e intuizione, si fonda sull´idea di scala, ritmo, leggerezza e luce. (…) Se dovessi fare un paragone musicale, direi che l´architettura, più che a una sinfonia, assomiglia a una jam session di jazz, che prevede un´improvvisazione all´interno di una struttura data». (…)
«Sono nato a Firenze, ma ogni estate torno a Pienza, dove è presente in nuce l´idea stessa di città moderna (…) nessun passato architettonico è così pesante come quello che grava sulle spalle degli italiani. Accompagnato spesso, però, da una certa ignoranza, perché proprio quella straordinaria tradizione ci dimostra come siano possibili inserzioni architettoniche meravigliose che esaltano l´accostamento tra edifici vecchi e “moderni” (…)».
«Ripeto qui quanto già scrissi tanti anni fa in Città per un piccolo pianeta. Il teorico della politica Michael Walzer ha classificato lo spazio urbano in due categorie: “spazio bloccato” e “spazio aperto”. Il primo si affida alla logica degli immobiliaristi e soddisfa l´esclusiva esigenza del consumo privato. Il secondo, la partecipazione a una vita comune. Sin qui sono stati privilegiati egoismo e segregazione, invece che contatto e comunanza. Così il mercato di strada diventa via via meno attraente del più sicuro centro commerciale, il quartiere universitario si trasforma in campus chiuso e la vita della città diventa una struttura a due livelli, con i ricchi chiusi in territori protetti e i poveri imprigionati nei ghetti o nelle squallide baraccopoli periferiche. La prima parola da recuperare è “cittadinanza”, dunque l´idea dello spazio pubblico come teatro della cultura urbana. Quando penso a una città compatta, penso a questo: a una città ad alta densità e fortemente diversificata, dove le attività sociali si mescolino ad attività commerciali e i quartieri diventino finalmente il punto focale della comunità. Ma perché accada, ed eccoci così all´idea della città sostenibile, bisogna innanzitutto invertire il rapporto tra trasporto privato e pubblico. Perché è l´automobile che per prima ha minato la coesione sociale della città, incoraggiando il dilagare delle periferie. Dobbiamo seguire la strada di Hong Kong, dove il trasporto pubblico è arrivato a toccare il 94 per cento del traffico totale. Con tutti gli effetti benefici che ne conseguono: è più gradevole camminare, andare in bicicletta, mentre la congestione e l´inquinamento risultano drasticamente ridotti e aumenta il senso conviviale degli spazi pubblici».
(…) «Dico sempre che tra i diritti della persona c´è anche quello di vedere un albero dalla propria finestra e di avere una panchina su cui sedersi nel parco del quartiere. La libertà di accesso allo spazio pubblico deve essere difesa alla pari della libertà di parola. (…) Proprio gli italiani dovrebbero ricordare la lezione del Rinascimento, quando la bellezza e la ricchezza viaggiavano assieme. Però oggi c´è una grande novità: visto che proprio le città sono la causa principale della crisi ambientale del pianeta, il termine ricchezza deve includere il capitale naturale. Dunque innanzitutto aria e acqua pulita. C’è un bel libro di Richard Wilkinson, The Spirit Level, in cui si dimostra come la qualità di vita delle società sia legata, da ogni punto di vista e per ciascun individuo, compresi i più ricchi, alla giustizia sociale. Ecco perché questo discorso sulla priorità della bellezza, in ambito urbanistico e architettonico, è compreso meglio nelle nazioni scandinave, dove la disparità tra ricchi e poveri è minore. Parlo di paesi in cui, non a caso, c´è un gusto medio più alto e diffuso anche in ordine agli standard abitativi. Altrove è più facile che le persone sappiano riconoscere una bella macchina o un bel vestito, perché quelli sono i veri status symbol, i valori sociali dominanti. Più difficile invece è condividere l´idea di una casa bella. Eppure la qualità architettonica non è un fatto meramente soggettivo. Esistono criteri precisi e precisi sistemi di giudizio. La comprensione e l´apprezzamento vengono dall´educazione, dall´esperienza, dall´affinamento dei sensi e forse, cosa più importante di tutte, da una buona leadership professionale». (…)
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