Il programma televisivo “La fabbrica del mondo” di Telmo Pievani e Marco Paolini, in onda su Rai3, è un barlume di luce. Abbiamo bisogno di cambiare radicalmente il rapporto patologico con la natura per prevenire le future pandemie

Ad inizio pandemia avevo auspicato il ribaltamento del tavolo apparecchiato con un nutrimento tossico, quella speranza è ormai definitivamente svanita sotto i colpi di un modello di sviluppo che non accetta lezioni da nessuno, men che meno dai limiti imposti dalla natura. Onnipotente è chi non vuole guardare davvero al futuro perché si nutre di quel “cibo” tossico per pensare solo ed esclusivamente al profitto immediato. Un potere fortemente supportato da una macchina mediatica a voce unica che sta imponendo un pericoloso pensiero alienante e ipnotizzante.
In questo contesto le parole di Telmo Pievani e Marco Paolini – con il programma televisivo “La fabbrica del mondo” in onda su Rai3 – sono state un barlume di luce sbucato dalle tenebre di questo ultimo periodo.
L’aver ribadito con forza l’estrema necessità di cambiare radicalmente il rapporto patologico con la natura per prevenire le future pandemie, cosa che già doveva avvenire dalla Sars dei primi anni del 2000, in altri periodi non sarebbe stato un evento da sottolineare. A rendere eccezionali e necessarie le parole di Pievani e Paolini è l’urgenza di spezzare il monologo di questi ultimi due anni tutto centrato su come fronteggiare o fare la “guerra“ al Covid, soffocando un seppur minimo dibattito pubblico su come riorganizzare la salute individuale e collettiva in chiave preventiva rispetto alle nuove possibili crisi sanitarie.
Le parole sagge e supportate da solide basi scientifiche hanno rappresentato purtroppo un sasso nello stagno ma l’alto indice d’ascolto, nonostante la messa in onda in seconda serata, potrebbe rappresentare un primo passo per costruire una nuova coscienza collettiva su cui per fortuna anche alcuni movimenti di base provano a lavorare.
Non c’è nessuna novità nella straordinaria narrazione della prima puntata della “Fabbrica del Mondo” sull’ormai noto salto di specie che i virus fanno sempre più spesso per responsabilità antropiche; sono temi molto cari al mondo degli ambientalisti da decenni, già prima della Sars. La straordinarietà sta nel fatto che la maggior parte dei suddetti movimenti ecologisti che in questa fase avevano il dovere di chiedere un impegno serio nella costruzione di una nuova e coerente salute globale, si sono fatti schiacciare, più o meno consapevolmente, dall’emergenza che tutto racchiude rinviando alle calende greche cambiamenti radicali improcrastinabili.
Può accadere, in questo contesto, che anche intellettuali di grande prestigio e consapevoli del legame profondo tra crisi climatica e pandemie, si facciano trascinare in analisi poco accurate dal punto di vista sociologico per ridicolizzare movimenti non allineati, invece di dedicare il tempo nel fare le pulci al famoso PNRR e verificare la coerenza con la costruzione di una salute globale che coglie definitivamente il legame persona-comunità- territorio-ambiente.
Per uscire dalla pandemia in modo sano dobbiamo creare oggi le condizioni per un futuro in cui la centralità di un riequilibrio nel rapporto uomo-natura non sia un eterno parlarsi addosso. Penso sia arrivato il momento di uscire dalla logica emergenziale, non tanto sanitaria, ma da quella che sta annullando dal dibattito pubblico un pensiero politico-culturale alternativo a un modello di sviluppo sempre più in crisi, che solo alcuni movimenti provano a tenere in piedi nonostante la cappa del pensiero unico.
Vogliamo trovare il coraggio di uscire da questa fase facendo nostre le parole di uno scienziato moderato, non certo contrario ai vaccini, magari accogliendo il suggerimento suggestivo di Paolini che proponeva come luogo d’ascolto degli scienziati quello di una famoso teatro dell’antica Grecia dove il suono di una monetina poteva essere ascoltato da ben 7.000 spettatori in silenzio assoluto? Anche ascoltarsi è un cammino urgente per uscire dall’emergenza culturale e politica che rischia di essere più drammatica di quella sanitaria. Proviamo a riprendere un cammino comune per disegnare un futuro davvero sostenibile?
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