Il rilascio di emissioni di gas serra in atmosfera per via dell’inazione dello Stato francese contribuirà a perturbare il sistema climatico per centinaia di anni, causando danni ambientali significativi ed esacerbando le già nefaste conseguenze del riscaldamento globale. La sentenza emessa il 3 febbraio dal Tribunale amministrativo di Parigi, in seguito a un procedimento avviato poco più di un anno fa dal collettivo de L’Affaire du Siècle ha avuto un effetto dirompente sul diritto transalpino e la sua portata difficilmente si fermerà ai confini nazionali. Nonostante la Francia si sia dotata di un modello ministeriale simile a quello scelto da Draghi da più di dieci anni (rinominato proprio Ministère de la Transition Écologique et Solidaire già nel 2017), ciò non è evidentemente bastato a prevenire la condanna per il fallimento delle politiche di mitigazione climatica. Giudizio Universale, iniziativa promossa dall’associazione A Sud e a cui hanno aderito oltre cento organizzazioni e comitati locali, sta preparando il lancio della prima causa legale italiana volta a definire la responsabilità in ambito climatico dello Stato
Il 3 febbraio 2021 segna una data storica per il movimento mondiale di giustizia climatica: anche in Francia, infatti, per la prima volta, un tribunale ha riconosciuto la responsabilità dello Stato, giudicandolo inadempiente rispetto alle misure di contrasto al riscaldamento globale che sarebbe tenuto ad attuare. A pronunciarsi in tal senso è il tribunale amministrativo di Parigi, dopo un procedimento avviato nel dicembre 2018 dal collettivo de L’Affaire du Siècle.
Dopo altri celebri contenziosi internazionali, tra cui spicca il vittorioso caso olandese promosso dalla Fondazione Urgenda, anche il Governo francese è stato dunque formalmente ritenuto responsabile per non aver adeguatamente ridotto le proprie emissioni. La pronuncia contesta la violazione degli obiettivi nazionali derivanti dagli impegni presi in sede internazionale, tra cui quelli previsti dall’Accordo di Parigi del 2015.
Come dettagliatamente esposto nella sentenza senza precedenti che ha già avuto il merito di rivoluzionare il diritto francese, il rilascio di emissioni di gas serra in atmosfera per via dell’inazione dello Stato contribuirà a perturbare il sistema climatico per centinaia di anni, causando danni ambientali significativi ed esacerbando le già nefaste conseguenze del riscaldamento globale.
Puntando i riflettori sui ritardi accumulati delle autorità pubbliche nell’adottare misure efficaci per contrastare l’emergenza climatica in corso, la condanna dello Stato francese riporta al centro dell’attenzione le responsabilità degli Stati e l’utilità di strumenti di monitoraggio e di pressione sul loro operato: riscrivere le agende politiche mettendo al primo posto la battaglia climatica, rivedere il sistema normativo, ripensare i modelli energetici e produttivi sono le prerogative cui guardare per riuscire nella complicata ma campale corsa contro il tempo per fermare il clima che cambia, in Francia come in Italia.
Qui da noi, è di stringente attualità la decisione del nuovo governo Draghi di istituire il Ministero della Transizione Ecologica, con l’ambizione di superare la marginalità di un Ministero dell’Ambiente troppo circoscritto nel suo spettro d’azione e di promuovere una visione onnicomprensiva e trasversale degli imperativi di sostenibilità.
Sebbene la nuova denominazione debba essere accolta positivamente, rappresentando un punto di partenza potenzialmente cruciale, una riforma dell’immagine istituzionale non è elemento sufficiente a imprimere incisività all’azione climatica.
L’esperienza dei cugini d’oltralpe può anche in tal senso insegnarci qualcosa: nonostante la Francia si sia dotata di un modello ministeriale simile da più di dieci anni (rinominato proprio Ministère de la Transition Écologique et Solidaire già nel 2017), ciò non è evidentemente bastato a prevenire la condanna per il fallimento delle politiche di mitigazione climatica.
La rivoluzione giuridica consolidata dalla sentenza francese non può fermarsi ai confini nazionali. Come ricordato dal Presidente del Consiglio Mario Draghi nel suo discorso programmatico al Senato, il riscaldamento globale comporta impatti drammatici anche per il nostro paese, accentuando la vulnerabilità della popolazione e mettendo a repentaglio l’abitabilità stessa di vaste zone del territorio.
I primi passi che il governo muoverà in ambito climatico meritano di essere valutati a ragion veduta. È chiaro però che la rivoluzione giuridica auspicata non potrà prescindere dal contributo propositivo della società civile, essenziale per garantire una partecipazione attiva della cittadinanza nella costruzione di un modello di società coerente con le ambizioni di giustizia climatica.
Sulle orme del successo della mobilitazione francese e delle altre climate litigation che hanno animato negli ultimi anni diversi paesi europei e non solo, l’iniziativa Giudizio Universale (promossa dall’associazione A Sud e a cui hanno aderito oltre cento organizzazioni e comitati locali) sta preparando il lancio della prima causa legale italiana volta a definire la responsabilità in ambito climatico dello Stato.
Anche in questo caso, l’accento è posto sulla mancata coerenza tra obiettivi climatici stabiliti a livello nazionale e gli sforzi ritenuti necessari dalla comunità scientifica per scongiurare un pericoloso aumento della temperatura mondiale.
Un ‘Giudizio Universale’ in senso letterale, che calcherà le aule dei tribunali della città eterna per una ‘giusta causa’, che è appunto planetaria. L’obiettivo: denunciare che l’inazione nella lotta al riscaldamento globale equivale a una violazione dei diritti umani e a un ulteriore aggravamento delle disuguaglianze sociali. Per attuare una drastica inversione di tendenza, il tempo sta davvero per scadere.
*Associazione A Sud – Giurista in diritto del cambiamento climatico
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