Il Comune di Roma, dopo una campagna maturata in diversi pezzi della società, ha avviato un processo di riconversione produttiva del mattatoio “Centro Carni”. Nasceranno una Casa delle donne, un asilo pubblico e un orto urbano, ma anche un Centro studi e un museo sullo sfruttamento animale. Sarebbe stata una notizia importante. In realtà è stata aperta la strada per l’ampliamento delle attività di quel luogo di morte. Non c’è spazio per le raccomandazioni sulla riduzione del consumo di carne per attenuare il cambiamento climatico, per prendere coscienza della brutalità a cui sono sottoposti ogni giorno i lavoratori dei mattatoi, ma soprattutto per la sofferenza e la vita di migliaia di animali senzienti

Si sa che in Italia ci sentiamo un po’ al di sopra delle leggi, ma che ci sentissimo al di sopra anche delle leggi di natura è cosa relativamente nuova. Nonostante sia diverso tempo che associazioni e istituzioni scientifiche internazionali che studiano la crisi eco-climatica ci raccomandano di ridurre drasticamente produzione e consumo di carne e prodotti animali in generalei, non solo il nostro Paese non ha nessun piano per operare tale riduzione (né, pare, alcuna intenzione di farlo); ma addirittura sembra determinato a sviluppare ulteriormente la filiera zootecnica. In un recente post pubblicato sui suoi profili social, per esempio, Giammarco Palmieri, attuale presidente della Commissione Ambiente del Comune Roma, si fa vanto di aver giocato un ruolo primario nell’aprire la strada al prossimo ampliamento delle attività del mattatoio “Centro Carni” di Romaii. Ventiquattromila metri quadrati al momento inutilizzati ma facenti parte della struttura, leggiamo, saranno destinati alla “ulteriore crescita di un polo produttivo fondamentale per la sicurezza alimentare, l’occupazione e lo sviluppo economico della città”. Obiettivi nobilissimi di cui dubitiamo che l’ampliamento del Centro Carni sia condizione necessaria e che, comunque sia, non è chiaro perché preoccupino così tanto, fra le altre, proprio la Commissione Ambiente.
In effetti, Palmieri non è nuovo a slanci solidaristici verso il mattatoio del V municipio di Roma; municipio di cui fu presidente fra il 2013 e il 2016. Ora però l’attuale presidente della Commissione Ambiente di Roma si è fatto addirittura primo firmatario della mozione che chiuderà la stagione del conferimento della struttura a un fondo immobiliare privato, riconsegnandola nelle mani di un’amministrazione che, fra decisioni verticistiche su discariche e inceneritori, lascia qualche dubbio circa la propria disponibilità al confronto e alla partecipazione civica. A proposito di confronto e partecipazione, nell’aprile di quest’anno decine fra parlamentari e personaggi politici, partiti, associazioni e movimenti hanno espresso all’attuale presidente del V municipio, Mauro Caliste, la richiesta di un impegno da parte dell’amministrazione a mettere le parti attorno a un tavolo e trovare una linea comune – e comunque adeguata agli obiettivi scientifici di riduzione – per la riconversione produttiva del mattatoio. A quell’appello, che ad oggi pare caduto nel vuoto, si sostituisce dunque la miopia della politica ridotta a mera amministrazione dell’esistente, senza conoscenza, senza coraggio e senza futuro. Senza futuro, questa politica e questo Paese sono soprattutto per le nuove generazioni, che saranno le più danneggiate dal collasso eco-climatico, che non vengono sufficientemente ascoltate e coinvolte e che difatti disertano disilluse le urne.
Oltre il danno, poi, c’è la beffa, perché i protagonisti di questa vicenda continuano a servirci l’odiosa retorica del Centro Carni come polo di “eccellenza”. Ma oltre ad essere indisponibile per visite e ispezioni di associazioni animaliste, ambientaliste e di terze parti, e anche qualora fosse davvero il gioiello che l’amministrazione vuole venderci, il Centro Carni resterebbe pur sempre un mattatoio; e un mattatoio, per quanto si possa abbellire e tirare a lucido per le visite istituzionali, è e resta un luogo di morte, paura, dolore e sofferenza.iii Un luogo in cui, nel caso del mattatoio di Roma, circa centomila fra bovini, suini, ovini, caprini ed equini trovano la morte ogni anno. Un luogo in cui molti fra quegli animali, ancora più sfortunati dei loro simili e compagni, non vengono nemmeno storditi preventivamente – ma si badi bene che la tecnica è insicura, fallibile anche per chi ne “beneficia”- a causa delle commesse per macellazioni halal e kosher. Un luogo in cui a questi infelici cui vengono negate vita e libertà si aggiungono altri infelici, gli operatori e le operatrici della catena di smontaggio animale, esposti ed esposte a un lavoro brutalizzante, usurante nel fisico e nella mente.ivChe in una società che ha superato da tempo la necessità di cibarsi degli altri animali per garantirsi la sopravvivenza un luogo simile venga definito “eccellenza”, non può essere inteso altrimenti che come frutto di quella freddezza borghese e di quella razionalità strumentale che già settantacinque anni fa, nel loro Dialettica dell’illuminismo, Theodor Adorno e Max Horkheimer individuavano come principio regressivo e prologo alla follia totalitaria. Una razionalità strumentale, cioè acriticamente votata al potenziamento dell’apparato produttivo; una razionalità dei mezzi e non dei fini, che non si interroga mai su di sé: una razionalità “presentista”, insomma, particolarmente utile a chi vuole perpetuare lo status quo e chiudere il futuro a chi è ancora in cerca di soggettività e di rappresentanza.
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Davvero non possiamo fare di meglio? L’amministrazione non dovrebbe pensare nuovi sviluppi possibili per Roma piuttosto che spingerla indietro nel tempo a un modello produttivo crudele, insostenibile e del quale non abbiamo più bisogno? Non potremmo utilizzare quei 24.000 metri quadrati, e potenzialmente tutti i metri quadrati del Centro Carni, come asilo pubblico, come casa delle donne, come isola ecologica, come orto urbano, come cooperativa sociale per lo sviluppo di alternative cruelty-free ed ecosostenibili alla produzione carnea, o come centro studi sull’animalità e museo dello sfruttamento animale? Come un insieme di tutto ciò, magari, e da decidere collettivamente coinvolgendo la cittadinanza in una grande assemblea popolare dove possa finalmente emergere, aiutato dalle indicazioni della scienza del clima e non solo, un interesse realmente collettivo e non soltanto particolare, né solo economico. Non dovremmo, infine, rendere conto anche degli interessi di chi non può prendere parola in un’assemblea, né su giornali, in radio, in televisione o sul web, ma che parla chiaro e forte in un linguaggio che non vogliamo ascoltare?
Scrive Marguerite Yourcenar: “Gli animali hanno propri diritti e dignità come te stesso. È un ammonimento che suona quasi sovversivo. Facciamoci allora sovversivi: contro ignoranza, indifferenza, crudeltà”.
NOTE
i https://www.nature.com/articles/d41586-019-02409-7
ii Il post di Palmieri: facebook.com
iii Su ciò che avviene all’interno dei mattatoi e non solo consigliamo di vedere il documentario Dominion, fruibile gratuitamente qui: https://m.youtube.com/watch?v=sGov7OJDDO0
iv https://yaleglobalhealthreview.com/2016/01/25/a-call-to-action-psychological-harm-in-slaughterhouse-workers/
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