Viaggio a Zarzis, città della costa meridionale della Tunisia, poco distante dal confine con la Libia. La politica di chiusura delle frontiere europee, in questa piccola città di frontiera, è in molti e tremendi modi parte della vita quotidiana: dal ritrovamento dei corpi in mare al soccorso dei naufraghi da parte dei pescatori, fino al dolore delle famiglie dei tunisini dispersi. Da qualche mese, a Zarzis, si sta cercando, tra mille e una difficoltà, di mettere in piedi un’azione dal basso per provare a costruire piccole esperienze di un’economia altra da quella predatoria della speculazione edilizia balneare. Si tratta di tre progetti che dovrebbero coinvolgere in prima persona gli abitanti e i migranti. Riccardo Bottazzo, compagno di penna di lungo corso di noi di Comune, è partito per Zarzis e sta raccontando il progetto di Europezarzisafrique su Meltingpot.org
Attendono con pazienza, accucciati negli angoli delle strade. Attendono all’ombra perché, qui a Zarzis, nella Tunisia meridionale, il sole picchia duro anche la mattina presto. Vengono per lo più dai Paesi subsahariani come il Niger, il Ciad o il Sudan. Quasi tutti sono passati per gli orrori dei centri di detenzione libici e glielo si legge negli occhi. I camion che passano a raccoglierli sono talmente mal messi che non si capisce come riescono andare avanti. I migranti ci salgono silenziosamente, come fanno tutte le mattine. Alcuni vanno nei campi. Ma la maggior parte viene impiegata come muratori.
C’è sempre qualcosa da costruire a Zarzis, un intonaco da rifare, un altro piano della casa di famiglia da tirare su perché si è sposato un altro figlio. Il permesso edilizio, da questa sponda del Mediterraneo, non te lo chiede nessuno. Sempre ammesso che qualcosa di simile esista. Anche per questo, oltre che per la manodopera praticamente schiavizzata, Zarzis risplende di villette tutte nuove e piastrellate che sembrano bomboniere luccicanti.
La cittadina che sorge ad un tiro di schioppo dalla quasi isola di Djerba, legata alla terraferma da un cordone di strada, sembra costruita apposta per un turismo balneare di massa. Turismo che da queste parti potrebbe durare 12 mesi all’anno e dare da vivere a tutti i 70mila abitanti “ufficiali” di Zarzis. Anche grazie al lavoro, ma forse è meglio scrivere allo “sfruttamento”, dei suo abitanti “non ufficiali”: i migranti. La vicinanza con la Libia ed i continui spiaggiamenti di cadaveri di migranti affogati nel tentativo di raggiungere l’Europa – di cui i media hanno dato ampio risalto -, hanno disinnescato il potenziale della cittadina. Le sue spiagge sono per lo più vuote e anche i tanti, troppi, B&B che avvelenano tutte le località turistiche, hanno dovuto abbassare i prezzi e limitarsi a sognare i bei tempi delle stagioni da “tutto prenotato”.
Zarzis è tutto questo ma anche molto di più. E’ una tappa obbligatoria per i migranti che, lavorando su queste strade, raccolgono il denaro per proseguire il lungo viaggio che ha per meta un’Europa misticheggiata. Ma Zarzis ha anche un’altra faccia che non è quella dello sfruttamento, è la città dei pescatori che sfidano apertamente i divieti imposti dalle politiche europee volte a esternalizzare la frontiera e salvano i migranti abbandonati in mare. Ed è per questo che la carovana Europezarzisafrique è scesa sino a qui, con l’obiettivo di avviare uno o più progetti economici in collaborazione con la gente del posto e i migranti.
Nei prossimi giorni, in cui parteciperemo agli incontri organizzati dall’associazione dei pescatori di Zarzis, saremo più precisi in merito ma, fondamentalmente, i progetti sono tre: avviare una attività di pesca dei pregiati granchi blu, potenziare l’artigianato delle ceramiche o creare una stazione per la raccolta e il riutilizzo delle plastiche.
“La nostra è la proposta di un’azione dal basso, un’azione autonoma rispetto ai disegni di chi è ‘potente’ o ‘influente’ o ‘benestante’ – spiega Monica Scafati del gruppo informale “Europe Zarzis Afrique”, una delle ideatrici del progetto. Ma è una proposta che pur partendo con poco può fare molto. Può creare una piccola oasi di autogestione collettiva e orizzontale nella tragica ‘invisibilizzazione’ e militarizzazione dei territori di frontiera. Può essere replicabile in altri luoghi e per altre attività. Può funzionare!”.
Leggi il contributo di Monica Scafati “Oltre l’immaginario sulla Tunisia, verso Zarzis“
Europe Zarzis Afrique: prove d’azione in uno spazio di frontiera
“Noi, che siamo implicati”.
Dinanzi alla condizione dei migranti in Libia. Prove d’azione in uno spazio di frontiera
La scena delle persone migranti in Libia è quella di una assoluta mostruosità: migliaia di persone detenute nei campi formali e informali, torture, stupri, estorsione di soldi alle famiglie, lavoro forzato, condizioni di vera e propria schiavitù, mentre la via di fuga verso il mare e i viaggi verso l’Europa sono quasi del tutto bloccati dalle politiche di esternalizzazione dell’Unione europea e in particolar modo dell’Italia, dal sempre più frequente blocco delle imbarcazioni da parte della guardia costiera libica e dalla chiusura dei porti italiani e europei per l’approdo.
È una scena che tutti conosciamo, aggravata in questi ultimi giorni dalla guerra tra i due governi libici, affiancati da diverse milizie, per il controllo della città di Tripoli e di altre aree strategiche del territorio. Le ultime notizie parlano di migranti intrappolati tra i combattimenti e di altri costretti a combattere per una delle parti in guerra.
In quanto semplici abitanti e attiviste di una zona che dalla Libia passa per la Tunisia e arriva in Europa, dal momento che, in modi diversi, siamo implicati/e nella condizione infernale dei migranti in Libia (perché in Libia sono detenuti, perché in Tunisia in parte transitano e negli ultimi mesi in misura sempre maggiore, perché in Europa alcuni arrivano e perché l’Europa è stata determinante nella creazione dell’inferno libico), da qualche mese stiamo cercando di mettere in moto un processo in grado di rompere, almeno in parte, tale situazione.
Abbiamo provato a immaginare un’azione dal basso, completamente diversa da quella degli stati e delle organizzazioni internazionali co-implicate nelle loro politiche, ma che, contemporaneamente, cerca di andare al di là del quadro estremamente limitato in cui le politiche migratorie dell’Unione europea sono riuscite a incanalare le azioni di contrapposizione.
Lo faremo a partire dalla città di Zarzis, sulla costa tunisina e vicina alla frontiera con la Libia, luogo di partenza di molti giovani tunisini, e di arrivo, in questi ultimi anni, di alcune persone migranti sub-sahariani, soccorsi in mare o passati attraverso la frontiera terrestre.
Una città di frontiera dove la produzione di morte delle politiche migratorie dell’Ue e degli stati co-implicati in tali politiche è esperienza quotidiana, nel dolore delle famiglie dei migranti tunisini dispersi, nel ritrovamento dei corpi in mare da parte dei pescatori, nel loro continuo impegno nel soccorso dei naufraghi, nel seppellimento dei morti, nella documentazione e costruzione della memoria di ciò che sta accadendo.
Qui, vorremmo provare a costruire forme di produzione di economia e di esistenza alternative, per gli abitanti di Zarzis così come per i/le migranti in arrivo dalla Libia, e per iniziare tale processo ci siamo dati appuntamento durante la prima settimana di agosto 2019 (dall’1 al 5) con diverse iniziative: alcuni laboratori su pratiche alternative di agricoltura, artigianato, pesca, turismo e una marcia alla frontiera con la Libia, in questo momento luogo cruciale del gioco delle necropolitiche migratorie.
Vi invitiamo a leggere e a sottoscrivere l’appello sul nostro sito:
europezarzisafrique.org
Facebook
E a partecipare all’iniziativa di Zarzis dal 1 al 5 agosto 2019 (qui il programma)
Per contatti:
mail:
Gruppo informale Europe Zarzis Afrique, Carovane Migranti
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