I grandi sostenitori dello sviluppo che passa attraverso 3500 chilometri di tubi dislocati tra Grecia, Albania e Italia sembrano molto meno sicuri del fatto loro di quanto volesse far credere nel febbraio scorso il ministro Calenda. Nei primi giorni di marzo una nuova pesante tegola è caduta sul terzo segmento del Trans Adriatic Pipeline (Tap). Viene dall’ Iniziativa per la trasparenza nell’industria estrattiva (Eiti), che ha mostrato il “cartellino giallo” all’Azerbaigian, mettendo così a rischio i possibili e ingenti finanziamenti pubblici necessari alla realizzazione del mega gasdotto. Intanto, Amnesty International rincara la dose denunciando che un software sarebbe stato usato per accedere a computer e telefoni di attivisti, giornalisti e oppositori politici del governo Aliyev. Secondo le persone prese di mira, dietro la campagna spionistica, che va avanti da almeno 13 mesi, si cela il governo dell’Azerbaigian. Partner tecnologici sono aziende italiane e israeliane
di Luca Manes
L’ Extractive Industries Transparency Initiative (EITI, l’Iniziativa per la trasparenza nell’industria estrattiva) è un organismo su base volontaria. Mette insieme governi, compagnie e organismi non governativi, ha come obiettivo di incentivare la trasparenza nei pagamenti riguardo le transazioni sulle commodity del settore estrattivo e, dettaglio tutt’altro che secondario, le sue decisioni non sono vincolanti da un punto di vista legale. L’EITI è anche lo spazio politico dove i governi che ne fanno parte si impegnano a riconoscere il ruolo della società civile, e permettono a istituzioni internazionali come la Banca mondiale di dire che il petrolio ha un effetto positivo sullo “sviluppo” del paese.
Ciò detto, se l’EITI decide di sospendere uno dei suoi membri per il mancato rispetto di alcune libertà fondamentali e la continua violazione dei diritti di realtà e soggetti della società civile, la ricaduta politica di un provvedimento del genere è molto alta, e diventa un problema per le istituzioni finanziarie pubbliche che hanno come obiettivo quello di portare appunto “sviluppo” nelle operazioni che finanziano in alcune aree del pianeta. Proprio alla fine della settimana scorsa l’iniziativa ha mostrato il “cartellino giallo” all’Azerbaigian, mettendo così a rischio i possibili e ingenti finanziamenti pubblici per il TAP. È ormai pendente da anni una richiesta di un prestito di ben due miliardi di euro alla Banca europea per gli investimenti per il TAP, così come anche la Banca europea per la ricostruzione e lo sviluppo è stata chiamata in causa.
Turchia e Azerbaigian stanno chiedendo alle stesse istituzioni altri 600 milioni di euro per il finanziamento del Tanap, la tratta turca del gasdotto. Alquanto sorprendente in questo proposito è stata la mossa dell’esecutivo di Baku, che ha comunicato di voler abbandonare l’EITI. Situazione del tutto fluida, non si escludono quindi altri colpi di scena. La domanda è: che faranno queste istituzioni pubbliche, e le banche private che pensavano di investire nel gasdotto usando proprio gli standard dell’EITI?
Nel frattempo un rapporto di Amnesty International dal titolo “Falsi amici: finti account e malware contro i dissidenti dell’Azerbaigian” aggiunge ulteriori elementi sul contesto azero, dove i diritti umani sono spesso e volentieri ignorati. Secondo Amnesty, un software sarebbe stato usato per accedere a computer e telefoni di attivisti, giornalisti e oppositori politici del governo Aliyev, con lo scopo di accedere a informazioni personali e a comunicazioni private. Secondo le persone prese di mira, dietro questa campagna, che va avanti da almeno 13 mesi, si cela il governo dell’Azerbaigian.
“Dalle nostre ricerche è emerso che è in corso una campagna coordinata e precisa di cyber attacchi contro voci critiche che, nella maggior parte dei casi, subiscono da tempo la repressione del governo“, ha dichiarato l’autore del rapporto Claudio Guarnieri. “I virus malevoli usati sono stati realizzati appositamente per raccogliere il massimo numero possibile di informazioni. Sapendo chi sono le persone prese di mira, non è difficile capire perché ritengano responsabile il governo”.
Guarnieri ha spiegato che in “l’operazione” consisteva nell’invio di una email con un allegato contenente un virus malevolo inviata da un finto indirizzo. Se l’allegato viene aperto, il virus s’installa automaticamente e manda al mittente immagini dello schermo del destinatario, consentendogli di vedere cosa sta scrivendo. Una delle persone fatta oggetto del malware è l’avvocato e attivista Rasul Jafarov, che lo scorso dicembre è stato ospite di Re:Common in un incontro organizzato presso la Federazione Nazionale della Stampa Italiana proprio per parlare della complessa situazione del suo Paese.
Reduce da un anno e mezzo di carcere per una condanna a detta di tutti gli osservatori internazionali a dir poco pretestuosa, nell’ottobre 2016 Jafarov è stato messo in guardia da un suo collega che gli ha detto di aver ricevuto una e-mail con un allegato da un indirizzo molto simile al suo. “Ritengo che le autorità azere stiano cercando di controllare da vicino chi le critica e chi porta avanti attività, campagne o progetti sgraditi al governo”, ha commentato Jafarov.
Il controllo delle comunicazioni telefoniche e via Internet è facilitato da leggi che consentono alle autorità di avere accesso diretto alle reti, cosa che è stata criticata dalla Corte europea dei diritti umani: la sorveglianza può essere effettuata senza autorizzazione giudiziaria “allo scopo di prevenire gravi reati contro singole persone o reati particolarmente pericolosi contro lo stato“.
Da tempo i dissidenti azeri denunciano tentativi di hackeraggio contro chi esprime critiche nei confronti delle autorità. Dalle ricerche condotte da Citizen Lab e da altre informazioni divenute pubbliche è emerso che l’Azerbaigian ha acquistato software spia dall’azienda italiana Hacking Team. E-mail di Haking Team diventate pubbliche fanno riferimento a vendite da parte di un’azienda sua partner commerciale, l’israeliana NICE Systems, al ministero della Sicurezza nazionale e di proposte d’incontro con il ministero dell’Interno. In queste stesse mail si parla di soggetti dell’intelligence azera impegnati a utilizzare con successo la piattaforma di Hacking Team.
La ricerca non è stata in grado di collegare direttamente i cyber attacchi a funzionari o agenzie del governo. Tuttavia, un’identità mascherata col nome “pantera” e che, a quanto pare, controlla il virus malevolo usato negli attacchi, ha usato un indirizzo IP preso da un “blocco” di indirizzi che ospita prevalentemente strutture governative, come il ministero degli Affari esteri, il ministero della Giustizia e la televisione di stato.
Per leggere il rapporto di Amnesty: https://www.amnesty.it/azerbaigian-attivisti-colpiti-cyberattacchi-sponsorizzati-dal-governo/
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