Nelle foto – di Riccardo Troisi – l’azione diretta di sabato 18 aprile contro i fantasmi del T-tip nel centro di Roma.
di Marco Bersani
600 in Europa, 75 in Usa, 12 in America Latina, 20 in Asia e 5 in Africa: sono dunque oltre 700 le iniziative che oggi 18 aprile si sono svolte in tutto il mondo contro i trattati di libero scambio, e contro il T-tip in particolare. Oltre 50 di queste sono avvenute nel nostro paese, segnando il raggiungimento di una prima tappa per la campagna Stop T-tip Italia: il silenzio è stato rotto, la mobilitazione si diffonde. Del resto, basterebbero alcune domande ai negoziatori del trattato fra Usa e Unione Europea, per dichiarare ancora una volta la nudità del re.
E allora formuliamole:
1) perché si dice che il T-tip risolleverà l’economia europea, producendo posti di lavoro e benessere per tutti, e non si dice che lo scenario più ottimistico delineato dagli stessi studi commissionati dall’Unione Europea parla di un +0,48 per cento di Pil a partire dal 2027?
2) perché, se si dice che il T-tip produrrà solo benefici, lo si negozia nella più assoluta segretezza e se ne pubblicano i documenti solo quando questi sono già stati ampiamente diffusi dalle reti di movimento?
3) perché si dice che il T-tip servirà ad aprire i mercati statunitensi ai prodotti alimentari dell’eccellenza europea e non si dice che questi prodotti sono già sugli scaffali statunitensi da oltre due decenni?
4) perché non si dice che il T-tip vuole abolire le “barriere non tariffarie” ovvero tutte le normative e i regolamenti volti alla tutela del lavoro, dell’ambiente, della salute e della sicurezza alimentare, giudicate ostacoli alla libertà degli investimenti delle multinazionali?
5) perché si dice che i servizi pubblici non verranno toccati dal T-tip, senza aggiungere che secondo la definizione di “servizio pubblico” adottata dal negoziato, possono essere identificati come tali solo le rotte del traffico aereo internazionale, l’amministrazione della giustizia, l’ordine pubblico e la difesa?
Sono solo alcune delle domande cui i negoziatori non possono dare risposta, pena ammettere che il T-tip è un trattato il cui unico scopo è quello di realizzare l’utopia delle multinazionali, ovvero un mondo dove diritti, beni comuni, servizi pubblici diventino le variabili dipendenti dai profitti degli investitori.
Del resto, basterebbe leggere quanto scritto sul sito della Direzione Generale Commercio dell’Ue nella sezione “Domande e risposte” in data 20 dicembre 2013 per capire l’obiettivo del T-tip. Alla domanda se sia vero che il trattato pregiudica l’autonomia delle istituzioni parlamentari statuali, ecco il testo della risposta: “Inserire misure per la protezione degli investitori non impedisce ai governi di adottare leggi, né comporta l’abrogazione di leggi esistenti. Al massimo può portare al pagamento di risarcimenti”.
Come dimostra questa incredibile risposta, il vero passaggio che il T-tip realizzerebbe è quello dallo stato di diritto allo stato di mercato: l’uguaglianza di fronte alla legge tornerebbe a valere solo per i sudditi e non più anche per i sovrani, oggi trasformati in divinità moderne e in conoscibili – i “mercati” – ma altrettanto determinanti sulla vita degli uomini e delle donne, che alle loro regole dovranno sottostare, comprimendo i propri diritti per mitigarne la collera e compiendo nuovi sacrifici per ottenerne la benevolenza.
Ma opporsi si può, a partire da una consapevolezza: se oggi mettono in campo il T-tip è perché negli ultimi decenni abbiamo bloccato tutti gli altri loro tentativi, dall’Accordo Multilaterale sugli Investimenti (Mai), all’ Accordo Generale sul Commercio dei Servizi (Agcs), alla direttiva Bolkestein. Sembrano forti, ma la loro ferocia è solo debolezza: sanno di non avere più il consenso e chiedono solo la nostra rassegnazione. A tutte e tutti noi il compito di deluderli.
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