di Lino Di Gianni*
Racconti da un corso di italiano per stranieri
La prima volta che ho visto cinquanta migranti africani, nella mia classe, non li vedevo. Vedevo delle persone con la pelle scura, vedevo occhi, corpi,berretti, cellulari, ma non loro. Loro erano fuori dalla mia conoscenza: poco per volta sono entrati nella mia testa.
Sono entrati con i loro nomi, la prima soglia da superare, per me. Un nome, è importante: vuol dire che qualcuno ti riconosce. Il suono del tuo nome è un legame che si crea tra te e un altro: sta parlando con te, esistiamo in quello spazio, in quel momento.
Come se io avessi scattato una fotografia, ad un gruppo. Poi, mentre mettevo la carta nel bagno fotografico degli acidi per sviluppare, avessi visto emergere piano piano i volti di Boubacar, di Doumbia, di Issa, di Salif, e di tanti altri. Persone, amici, con una voce e una personalità unica.
È un grande privilegio, per me, conoscere questi giovani così pieni di energie, di voglia di fare, di pazienza, di curiosità. E scoprire le capacità artistiche, o sportive, o culturali di ciascuno di loro mi lascia sempre stupefatto, e mi insegna molto.
Il corpo, delle persone, dobbiamo imparare a leggerlo per arrivare ad aprire le porte dell’accoglienza, anche delle nostre paure.
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Ps. Firmate nella campagna “Io ero straniero” per il riconoscimento della cittadinanza italiana a chi è nato e studia e vive in Italia: è una legge che qualunque paese democratico avrebbe già approvato
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Assunts dice
Maestro prezioso, abbiamo bisogno di chi fa la differenza!!!