Fino a pochi decenni si pensava che i grandi cambiamenti climatici globali si verificassero in un arco di tempo molto ampio, secoli o millenni. La tendenza a cambiare in modo relativamente repentino è stato uno dei risultati più sorprendenti dello studio della storia della Terra. Ancora oggi, malgrado la frequenza e la consistenza di affermazioni che tendono a mettere in dubbio la drammaticità della crisi climatica sia piuttosto scemata, si tendono a trascurare i tempi rapidi e l’intensità con cui essa potrebbe evolvere e, forse soprattutto, le interrelazioni tra i fenomeni. La semplice elencazione dell’ampia serie di cambiamenti biofisici e socio-economici in corso non è infatti in grado di mostrarne in pieno la complessità e il grado di connessione. Lo segnala con preoccupazione, tra le altre cose, questa terza conclusiva parte della rilettura del libro di Ian Angus “Anthropocene, capitalismo fossile e crisi del sistema Terra” che ha fatto Alberto Castagnola (trovate qui la prima e la seconda). Di particolare interesse l’approfondimento della relazione tra i “punti di non ritorno” e il caos climatico e del concetto dei “limiti planetari”, i confini entro cui gli esseri umani possono agire senza intaccare gli equilibri del pianeta
![La terza e conclusiva parte della rilettura di](https://comune-info.net/wp-content/uploads/2022/02/dead-trees-947331_1280-1024x682.jpg)
In questo terzo articolo di introduzione al libro di Ian Angus sull’Anthropocene si affronta un aspetto fondamentale dell’intera proposta delineata dal gruppo di scienziati che sostengono l’idea di una nuova epoca geologica, definita dal ruolo fortemente distruttivo svolto dall’umanità all’interno delle dinamiche geologiche del pianeta.
Questi scienziati sono molto coscienti del fatto che il solo elenco dell’ampia serie di cambiamenti biofisici e socio-economici in corso non riesce a catturarne in pieno la complessità e il grado di connessione, poiché tra tutti i fenomeni descritti esistono moltissimi collegamenti e interazioni, anche perché spesso i reciproci cambiamenti accelerano o modificano profondamente i singoli fenomeni e amplificano i loro effetti. Tali complessi cambiamenti, inoltre, in gran parte non avvengono in modo lineare, “poiché quando si superano certe soglie conseguono rapidi e non lineari cambiamenti”.
Questo capitolo del libro, il quarto, intitolato “Punti di non ritorno, caos climatico e limiti planetari” è molto delicato in quanto molti sono gli scienziati che non accettando l’impostazione generale della nuova epoca, possono negare singoli aspetti o dinamiche particolari. D’altra parte, la gravità della attuale crisi climatica viene negata o trascurata proprio perché si dimenticano queste interrelazioni e i tempi rapidi nei quali si possono evolvere, e quindi le indicazioni contenute nel capitolo sono di importanza fondamentale per le politiche più realistiche e tempestive che si dovrebbero adottare in tempi piuttosto ristretti. Quindi le cautele nell’accettazione di ipotesi e previsioni sono assolutamente legittime, la loro negazione di principio sarebbe da evitare perché troppo rischiosa per l’intera umanità.
La base delle analisi sono le ricerche condotte fin dai primi anni ’90 dall’International Geosphere-Biosphere Program, dagli originali otto progetti realizzati fino alle ricerche più recenti, in particolare il PAGES, Past Global Changes, poiché “in qualunque momento lo stato del sistema Terra riflette non solo le caratteristiche che indicano i processi in corso, ma anche altre che sono ereditate da influenze passate, agendo inoltre su scale temporali differenti”.
Inoltre i nuovi metodi di estrazione e analisi dei carotaggi dei ghiacciai hanno fornito dati fondamentali sulla storia delle temperature, sulla composizione atmosferica, sui livelli degli oceani e così via. I carotaggi effettuati in Groenlandia agli inizi degli anni anni ’90 fornirono dati risalenti a centomila anni fa.
Qualche anno dopo in Russia, a Vostok, un gruppo di lavoro francorusso risalì fino a quattrocentoventimila anni fa e pubblicò i dati nel 1999. Successive perforazioni hanno permesso di risalire fino a ottocentomila fa. Il testo di Angus presenta un esempio di questi collegamenti. Fin dal 1850 sappiamo che piccole quantità di anidride carbonica nell’atmosfera aiutano a regolare la temperatura della Terra.
Se l’effetto serra non fosse esistito, la temperatura media del pianeta terrestre sarebbe di 35 gradi C più fredda rispetto ad oggi, molto più fredda rispetto alle ere glaciali più estreme. Inoltre sappiamo che il costante scambio di anidride carbonica che avviene tra atmosfera e oceani concorre a mantenere stabili i livelli di anidride carbonica. Sappiamo anche che l’angolo di incidenza della luce solare sulla Terra cambia con dei ritmi di circa centomila, quarantamila e ventimila anni, a causa delle lente variazioni nell’orbita terreste e dell’inclinazione dell’asse terrestre.
Però questi ultimi cicli, detti di Milankovitch, producono variazioni troppo piccole per avere gli effetti riscontrati nella realtà. Ne consegue che le cause sono da ricercare nei collegamenti tra due processi apparentemente separati – i cicli nello spazio e il ciclo del carbonio terrestre – e che invece le piccole variazioni di raffreddamento o riscaldamento dei cicli di Milankovitch innescano l’assorbimento o il rilascio di anidride carbonica dagli oceani, producendo cambiamenti repentini e sproporzionati rispetto alle variazioni della radiazione solare in arrivo.
Un ciclo analogo coinvolge le emissioni di metano. (pag.91-94). Questa lunga descrizione è stata riportata per far comprendere la complessità dei meccanismi che nei millenni hanno permesso di far emergere un clima che ha agevolato la nascita e lo sviluppo dell’intera umanità, ma anche i rischi che corriamo quando emettiamo sostanze che, in un breve volgere di tempo, possono sconvolgere equilibri molto delicati. Il testo prosegue affermando che “i meccanismi di questo sistema di controllo estremamente rigoroso non sono ancora del tutto chiari, ma non c’è dubbio che la Co2 atmosferica sia la manopola di controllo del termostato terrestre.
Ad esempio, circa 56 milioni di anni fa, ci fu un rilascio massiccio di anidride carbonica sepolta (probabilmente causato da un supervulcano o da una collisione di comete) che ha fatto aumentare le temperature globali di 5-9° gradi in un istante geologico, ma ci sono voluti circa 200.000 anni perchè la C02 in eccesso venisse riassorbita e le temperature tornassero alla normalità.
La quantità di Co2 rilasciata in quel caso era all’incirca uguale a quella che verrebbe prodotta se bruciassimo tutte le restanti riserve di carbone, petrolio e gas naturale. La situazione odierna è diversa per molti aspetti, quindi non dobbiamo aspettarci una replica di quel fenomeno, però “una importante somiglianza dovrebbe essere notata” Riportiamo una citazione di Berrien Moore, che ci sembra molto realistica:
“Influenzata dalla combustione di combustibili fossili, l’atmosfera ha oggi una concentrazione di Co2 di circa 100 parti per milione al di sopra del precedente limite massimo di 280-300 ppm. L’attuale concentrazione di metano è ancora più elevata (in proporzione rispetto ai limiti massimi dei periodi interglaciali). In sostanza, il carbonio è stato rimosso da una zona relativamente immobile del ciclo lento del carbonio (riserve di combustibili fossili) e immesso nell’area relativamente mobile del ciclo veloce del carbonio (l’atmosfera).”
Quindi i cambiamenti indotti dall’uomo stanno spingendo il pianeta ben oltre i suoi normali parametri di funzionamento. Il sistema si trova in un delicato equilibrio, sicchè un piccolo stimolo può portare ad un grande cambiamento: le domande riguardano il quanto e con che velocità. Nel suo insieme l’analisi sembra piuttosto equilibrata, evita qualunque esagerazione ma non sottovaluta i rischi. (pag. 95-96)
Sulla base di queste analisi scientifiche, il libro inizia a descrivere il meccanismo dei “punti di non ritorno”: “L’accumulo di piccoli cambiamenti crea una complessità sempre maggiore, finchè l’oggetto, l’organismo o il sistema passano improvvisamente da uno stato ad un altro radicalmente diverso, in quello che spesso viene chiamato cambiamento di fase. Comunemente, queste transizioni sono chiamate “punti di non ritorno”. Nel sistema Terra, i punti di non ritorno non sono insoliti, sono la norma. E poi la citazione di uno specifico articolo scritto da un gruppo di scienziati: “Fino a pochi decenni orsono era opinione diffusa che i grandi cambiamenti climatici globali si verificassero gradualmente, in un arco di tempo molto ampio, secoli o millenni, difficilmente percepibili durante la vita umana. La tendenza del clima a cambiare in modo relativamente repentino è stato uno dei risultati più sorprendenti dello studio della storia della Terra”.
![](https://comune-info.net/wp-content/uploads/2019/09/school-strike-4-climate-4057677_960_720.jpg)
E poi per la prima volta Angus fa riferimento all’IPCC . “Nonostante questa scoperta, la maggior parte delle pubblicazioni, comprese le relazioni dell’IPCC, presuppongono implicitamente che il cambiamento globale sia graduale. Il XXI secolo sarà più caldo, più tempestoso e con meno biodiversità rispetto al precedente; meno piacevole ma non fondamentalmente diverso.” (pag.96-97) Questo giudizio riveste una gravità eccezionale, sia perchè inficia gran parte delle conclusioni dei vari rapporti prodotti, sia perchè colloca dibattiti e conflitti tra Stati in questa atmosfera serena e rilassata, mentre in realtà incombono eventi drammatici e crisi strutturali di dimensioni apocalittiche, che potrebbero verificarsi in tempi talmente rapidi da impedire qualunque spostamento di popolazione o misura di prevenzione. In sostanza, gli studi e le ricerche geologiche degli ultimi dieci anni stanno delineando una natura in condizioni di instabilità molto consistenti e diffuse, e permettono ormai di descrivere una sorta di caos climatico, derivante anche da forzanti relativamente piccole ma che possono spingere il sistema a superare una soglia oltre la quale si verificano bruschi cambiamenti nella funzione chiave.
“L’esistenza di questi cambiamenti è stata dimostrata in modo convincente dai dati paleoclimatici accumulati negli ultimi dieci anni” (pag.99) Segue una descrizione, apparentemente sintetica ma che evidentemente poggia su una base analitica molto approfondita, del clima che ha caratterizzato l’evoluzione del genere umano. Si parte dal Pleistocene, un’epoca di 2,6 milioni di anni, con ripetuti periodi glaciali e interglaciali e negli ultimi centomila anni i Sapiens vivevano in piccoli gruppi nomadi di cacciatori-raccoglitori, poichè l’agricoltura e la vita sedentaria erano impossibili. Solo con L’Olocene, l’agricoltura, che ha bisogno non solo di un clima caldo ma anche stabile e prevedibile, si è diffusa nei cinque continenti.
Per 11.700 anni la temperatura media annua mondiale non ha subito variazioni superiori o inferiori ad un grado. Però l’Olocene era anche caratterizzato da siccità, carestie, ondate di calore o di freddo e tempeste e di eventi atmosferici estremi che hanno mietuto milioni di vittime. Poi, improvvisamente 11.700 anni fa, le temperature medie salirono di nuovo. Però, quanto sono stati “improvvisi” questi cambiamenti? E qui Angus fornisce un elemento di conoscenza prezioso. Ogni cambiamento ha richiesto alcuni decenni, ma il cambiamento nella circolazione atmosferica che ha provocato il riscaldamento sembra essersi compiuto in un arco di tempo tra uno e tre anni. (pag.101)
Questa infomazione richiede certamente di essere ancora studiata e approfondita, ma evidentemente apre prospettive del tutto nuove, mai tenute presenti a livello degli Stati, ma che non possono essere ignorate in ua situazione di grave crisi climatica come l’attuale. Secondo il testo, è improbabile che le cause specifiche del caos climatico del passato possano ripetersi, dunque il quadro nel quale avverranno i cambiamenti sarà certamente diverso.
Però vi è un fattore, in passato quasi inesistente, che negli ultimi sessanta anni ha continuato a crescere senza sosta, e cioè l’impatto dell’attività umana sul clima, e ciò rende altamente probabile l’ipotesi formulata da un gruppo di scienziati nel 2012, ossia che la Terra sia alla vigilia di un cambiamento di stato, con grandi, bruschi e indesiderati eventi climatici locali o mondiali. (pag.102-103)
A tale proposito, il testo di Angus approfondisce un altro concetto, quello dei “limiti planetari”, ossia i confini entro i quali gli esseri umani possono agire senza intaccare gli equilibri del pianeta. Nel 2007 si iniziò un altro programma di studi, “per identificare quali processi sono determinanti per mantenere la stabilità del pianeta come lo conosciamo e per mantenere la Terra in condizioni simili all’Olocene, ora che nell’Antropocene l’uomo è diventato una forza di cambiamento planetario”.
Il progetto è stato avviato dallo Stockholm Resilience Center e ha coinvolto un gruppo molto qualificato di scienziati, tra i più noti ed impegnati dell’epoca. I primi risultati apparvero nel 2009, ed erano stati identificati i limiti planetari di nove processi ecologici. Perturbare uno qualsiasi di questi processi potrebbe portare a cambiamenti ambientali lineari e improvvisi su scala continentale e planetaria. Nel 2015 furono modificate alcune denominazioni e questo è l’elenco più aggiornato; tra parantesi da economista ho aggiunto i dati disponibili entro il 2021:
Cambiamento climatico: la concentrazione di gas serra nell’atmosfera è più alta di quanto sia mai stata nelle ultime centinaia di migliaia di anni; nel 2015 la concentrazione media globale di Co2 ha superato le 400 parti per milione (414,2 ppm e aumentano di oltre 2 ppm ogni anno, il metano ha raggiunto le 1900 parti per miliardo);
Cambiamenti dell’integrità della biosfera (tasso di perdita di biodiversità): si è stimato che le specie si stanno estinguendo ad un ritmo circa mille volte superiore a quello del periodo preindustriale; (perdiamo oltre due specie al giorno).
Flussi biogeochimici (azoto e fosforo); fertilizzanti chimici per l’agricoltura, il 50% finisce nelle acque e nei mari, (si moltiplicano i casi di “zone morte ” come quella nel Golfo del Messico).
Riduzione dello strato dell’ozono: vedere il quinto capitolo del libro per la lotta contro il CFC, clorofluorocarbonio, (è stato sostituito dall’HCFC, supposto innocuo e invece rivelatosi altrettanto dannoso; inoltre sembra che lo strato di ozono si sia ricostituito solo nella misura del 9% e dei “buchi” siano ancora esistenti).
Acidificazione oceanica: la Co2può interferire con la sopravvivenza dei coralli, di molti crostacei e del plancton (oltre la metà delle barriere coralline è ormai “sbiancata”)
Uso di acqua dolce: si stanno esaurendo molte falde acquifere e lo scioglimento dei ghiacciai sta prosciugando le fonti di molti fiumi. L’attuale consumo di acqua da parte dell’uomo ammonta a circa 2600 chilometri cubici all’anno: è al di sotto del limite mondiale, ma in molte aree il consumo supera il limite locale. (Si stanno ampliando le zone colpite dalla siccità, l’elenco sarebbe molto lungo)
Cambiamento del sistema del suolo (cambiamento d’uso del suolo). Circa il 42% di tutti i terreni privi di ghiaccio sono attualmente utilizzati per l’agricoltura, queste terre un tempo ospitavano il 70% delle praterie, il 50% delle savane, il 45% delle foreste decidue temperate. La perdita di questi ecosistemi riduce la biodiversità e danneggia il clima e i sistemi idrici (Si stanno moltiplicando gli incendi in California e nell’Amazzonia, per indicare solo i casi più documentati, e le “ondate di calore” rendono le foreste sempre più esposte a tali rischi).
Eccesso di aerosol atmosferico. L’inquinamento dell’aria causa circa 7,2 milioni di morti all’anno. (Ancora molto poco è stato fatto per migliorare la qualità dell’aria, specie nelle grandi città)
Introduzione di nuove sostanze, (inquinamento chimico). In commercio ci sono circa centomila sostanze chimiche di sintesi, nanomateriali e polimeri artificiali. Nella maggior parte dei casi si sa poco degli effetti isolati o combinati sulla salute dell’uomo e dell’ecosistema. (pag.104-106)
I limiti planetari non devono essere confusi con i punti di non ritorno. Ogni limite è associato ad un’area di incertezza, a volte molto ampia. Queste aree riflettono le inadeguatezze e le imprecisioni delle conoscenze scietifiche e le incertezze inerenti al funzionamento del sistema terrestre.
![](https://comune-info.net/wp-content/uploads/2022/02/nuclear-power-plant-4535760_1280-1024x682.jpg)
Nel 2009 l’articolo mostrò che tre di questi limiti (cambiamento climatico, inquinamento da azoto e perdita di biodiversità) si trovavano già nella zona di pericolo, mentre altri tre vi si stavano approssimando. Però nel 2015 si giunse alla conclusione che quattro dei nove confini erano già stati superati. “due sono nell’area ad alto rischio (integrità della biosfera e interferenza con i cicli dell’azoto e del fosforo) , mentre altri due sono nell’area di pericolo (cambiamento climatico e cambiamento d’uso del suolo).” Gli scienziati dovrebbero giungere quanto prima ad aggiornare le loro valutazioni, poichè i dati disponibili al 2021 sembrano descrivere una situazione ulteriormente peggiorata.
Inoltre, sottolinea Angus, non possiamo dimenticare che i limiti planetari sono tra loro strettamente collegati e se un limite viene superato, anche gli altri sono a rischio. E poi, gli scienziati associati all’IGBP hanno avvertito che un cambiamento climatico improvviso è particolarmente pericoloso: “Le società possono avere o non avere il sentore che un fattore forzante si sta avvicinando ad una soglia, ma quando saremo in grado di osservare una qualche perturbazione nel funzionamento del sistema terrestre, probabilmente sarà troppo tardi per evitarne la crescita”.
E poi il testo porta ad esempio il primo dei limiti elencati, il cambiamento climatico e afferma: “La concentrazione media atmosferica di anidride carbonica ha ormai superato la soglia delle 400 ppm, mentre non aveva mai superato le duecentoottanta all’epoca delle oscillazioni climatiche più marcate del Pleistocene.
Non si tratta di un piccolo colpo, sicchè nessuno dovrebbe essere sorpreso di vedere la bestia irascibile reagire violentemente, nè di vedere emergere un mondo diverso da ciò che l’umanità ha conosciuto finora”. L’economista non può fare a meno di essere molto preoccupato da una concentrazione che negli ultimi anni ha visto procedere a più di 2ppm ogni anno senza flessioni e con un ritmo che non è stato alterato nemmeno dalle consistenti riduzioni delle attività produttive imposte da una pandemia a scala mondiale. E alla quale si sta aggiungendo l’azione del metano, molto più dannoso, anche di 80 volte, della anidride carbonica. (pag. 106-109).
Lascia un commento