Cambiare il mondo partendo da un’alternativa energetica. Una sfida difficile quanto straordinaria, raccontata attraverso l’esperienza concreta, cresciuta in soli dieci anni, delle due cooperative che Gianluca Ruggieri ha contribuito a fondare. Adesso il cerchio di quell’idea ispirata da un’economia diversa si sta per chiudere: consumare meglio ma consumare meno e condividere le decisioni con i soci. Il problema è come crescere senza snaturarsi
di Luca Cirese
Gianluca Ruggieri, ricercatore universitario e attivista energetico, ci racconta la storia delle due cooperative che ha contribuito a fondare – Reternergie ed ènostra – e che ora sono in procinto di fondersi, per dare maggiore forza al progetto di produrre e distribuire – chiudendo il cerchio – energia etica ed eco-sostenibile. Un percorso di economia solidale che ha scelto consapevolmente la forma della cooperativa come un metodo e come obiettivo e che si iscrive nella transizione in atto, che sta già trasformando il nostro sistema energetico in senso più equo ed efficiente.
Come comincia la storia della cooperativa Retenergie?
La storia di Retenergie comincia ormai quasi dieci anni fa, alla fine del 2008, in seguito al progetto “Adotta un kilowatt” di Marco Mariano, agricoltore che voleva installare un impianto fotovoltaico sui suoi capannoni, grazie alla presenza di agevolazioni sulle rinnovabili. La novità dell’iniziativa è nel metodo: invece di chiedere un prestito a una banca, Marco decide di raccogliere i fondi tra i suoi conoscenti, lanciando sul suo blog la campagna per “adottare un kilowatt”. La risposta, assolutamente oltre le aspettative, spinge Marco e chi aveva progettato l’impianto a fondare una cooperativa, Retenergie appunto, che funzioni allo stesso modo, realizzando tanti impianti di energie rinnovabili ad azionariato diffuso e di conseguenza in proprietà condivisa. Io mi aggrego in fase di costituzione.
Già nel 2009 siamo operativi, finanziando, grazie agli incentivi, una serie di impianti fotovoltaici, che, per motivi di impatto ambientale, decidiamo di costruire su tetto e non su suolo agricolo. In seguito, con la fine degli incentivi, diviene purtroppo meno conveniente installare pannelli fotovoltaici e questo ci spinge in altre direzioni: l’acquisto di impianti già funzionanti, l’efficientamento energetico e la produzione di altre fonti energetiche. Tra i vari progetti di impianti che abbiamo realizzato negli ultimi anni, ci sono un piccolo impianto eolico in Sardegna e un micro-idroelettrico presso Varese, non ancora completato.
Per quanto riguarda l’efficientamento energetico, a Vicenza abbiamo collaborato alla ristrutturazione della sede della cooperativa sociale Tamgram, un ex-asilo nido in gestione al comune per vent’anni. Nel progetto abbiamo previsto interventi di efficienza energetica, come l’isolamento e la costruzione di un nuovo impianto di riscaldamento, con una conseguente riduzione dei consumi e dunque dei costi.
Retenergie ha avuto il ruolo di finanziatore, mentre per la progettazione si è cercato un partner che condividesse sensibilità e obiettivi: la Esco Sinergia di Vicenza. La cooperativa Tamgram ha così potuto realizzare l’efficientamento senza dover anticipare i capitali, che verranno rimborsati con la formula del pagamento della bolletta a prezzo pieno per alcuni anni.
Come vengono finanziati i progetti?
Con il capitale sociale e il prestito sociale. Il primo viene ottenuto con il meccanismo dei fondi di sviluppo che, a seconda delle tecnologie rinnovabili, hanno una durata che va dagli 8 ai 12 anni: un volta chiusi, se ci sono utili nel bilancio, l’assemblea decide se remunerare i fondi o utilizzarli per altro, con la possibilità anche di tenerli in riserva. Il prestito sociale può essere invece stipulato dai soci: più è vincolato, cioè più dura, più viene remunerato, fino a un massimo del 2,5%. Retenergie, col tempo, ha raggiunto la quota di 1.100 soci, soprattutto nelle regioni italiane del Nord-ovest. La nostra intenzione fin dall’inizio era però, come scrivemmo anche nello Statuto della cooperativa, quella di chiudere il cerchio, cioè di fare in modo che l’energia prodotta dai nostri impianti arrivasse nei contatori di casa.
Siete riusciti a chiudere il cerchio? Come siete diventati fornitori di elettricità rinnovabile e sostenibile?
Inizialmente abbiamo deciso di legarci con il Gruppo Dolomiti Energia, municipalizzata che opera a Trento e Rovereto. Abbiamo sviluppato un accordo per cui, vendendo la nostra elettricità in eccesso, i soci di Retenergie la ottengono dal gruppo a prezzo ridotto. Ma, nonostante il gruppo Dolomiti rispetti i nostri criteri ambientali ed etici, non ci bastava. Il biennio di snodo della nuova fase del progetto è stato il 2012-13, in cui, come creatori di Reternergie, siamo stati coinvolti da altre cooperative energetiche nel progetto europeo Rescoop 20-20-20, finalizzato a sviluppare nuove iniziative nei paesi dove ancora il settore è agli albori, come l’Italia. Questo ci ha permesso di entrare in contatto con alcune grandi realtà strutturate europee, dalla Germania alla Francia, dal Belgio alla Spagna. Questi incontri ci hanno spinto a fare il passo nel 2014: avendo Avanzi come partner e in collaborazione con EnergoClub e, per un primo periodo, con Forgreen Spa abbiamo costituito la cooperativa “ènostra”, con cui siamo finalmente riusciti a chiudere il cerchio, cioè a vendere elettricità rinnovabile e qualificata, quindi a basso impatto ambientale e sociale. Per rispettare questa nostra mission abbiamo sviluppato delle griglie di valutazione simili a quelle di Banca Etica e, come cooperativa, abbiamo istituito un comitato scientifico esterno che valida i vari passaggi per acquistare l’energia.
Oltre a questo obiettivo, come cooperativa, volevamo anche aiutare i soci a consumare meno e meglio e a trovare finanziamenti per chi volesse costruire impianti di fonti rinnovabili. La nuova cooperativa è diventata operativa, con 300 soci, nel 2015: le prime bollette sono arrivate nella primavera dell’anno successivo. Da marzo scorso abbiamo raggiunto finalmente un significativo risultato, che ci proietta verso la sostenibilità economica, con 1.700 soci e 2.000 contratti. Oggi siamo in un trend di crescita: con sei-sette nuovi contratti al giorno, pensiamo di arrivare a 2.000 aggiuntivi entro l’anno. Già con il raggiungimento di 1.600 soci alla fine dell’anno scorso, abbiamo ottenuto un risultato di cui siamo fieri: uno conto di due euro a megawattora che abbiamo deciso di applicare a partire da dicembre 2017.
Colpisce che un fornitore elettrico abbassi i costi delle bollette ai suoi clienti. Dicevi che uno dei vostri obiettivi è far consumare meno e meglio i vostri clienti: non è paradossale?
Può sembrare paradossale ma in fondo non lo è: abbiamo costruito il business plan non per fare utili ma per avere più soci, con cui condividiamo un percorso. Per essere sostenibili economicamente noi puntiamo sulla quota fissa delle bolletta, quella che rimane togliendo i consumi, gli oneri di sistema e il costo dei servizi. Dal punto visto delle regole di mercato, un’altra nostra decisione che può sembrare paradossale è che come cooperativa abbiamo una tariffa agevolata per il terzo settore. Ma anche questo si inserisce nello stesso discorso: è una cosa che ci qualifica e ci permette di fare rete con realtà con cui abbiamo in comune una visione del mondo.
La recente crescita dei soci è arrivata sia grazie alla decisione, avvenuta a maggio 2017, di abbassare la quota di adesione da 150 a 50 euro, sia grazie al successo di vari accordi che abbiamo stipulato, da Banca Etica a Legacoop, da Altreconomia a Radio Popolare di Milano. Banca Etica si occupa da sempre della gestione dei nostri conti, oltre a parlare di noi ai suoi clienti, mentre più recente e significativo è l’accordo con Radio Popolare di Milano, di cui siamo diventati fornitori di elettricità; abbiamo previsto un duplice sconto, sia al socio che arriva tramite la radio, sia alla radio stessa, che se arriva a portarne cinquemila non paga più la bolletta. È un accordo importante perché ci permette di fare rete con una realtà con cui condividiamo l’approccio comunitario e cooperativo. A Radio Popolare abbiamo anche avviato “C’è Luce”, una trasmissione in cui, oltre a raccontare le novità sulla transizione energetica, facciamo da sportello rivolto a soci e non, per dare informazioni sull’efficienza energetica e sulle bollette; un programma radiofonico che ci ha permesso di farci conoscere e di aumentare la nostra credibilità. Infine, continua a funzionare il passaparola dei nostri soci e i vari incontri pubblici in piccoli e grandi centri, dalle fiere del commercio equo e solidale alle iniziative organizzate da Gas locali che ci chiamano a parlare della nostra esperienza.
Siete ora in procinto di fondere le due cooperative: quali sono le prospettive?
Lo scorso 3 febbraio, abbiamo indetto un’assemblea molto partecipata che ha accolto con favore il nuovo progetto. Per me è stato un momento molto coinvolgente, ho ritrovato persone con cui avevo condiviso pezzi di vita e di attivismo. La nuova cooperativa si chiamerà “ènostra”, ma manterrà nel nome, grazie alla grafica, il ricordo di Retenergie. Si è trattato di un evento cruciale reso possibile dal fatto che “ènostra” comincia a diventare sostenibile economicamente e dunque non rappresenta più un rischio per chi ha investito in Retenergie.
La fusione ci porterà a 2.500 soci e ci permetterà di porci degli obiettivi più ambiziosi: stiamo pensando di finanziare impianti più grandi, come ad esempio quelli a eolico da megawatt, cercando anche in questo caso di diminuire al massimo l’impatto ambientale e paesaggistico. La nostra sfida ora è continuare a crescere senza snaturarci: sarà fondamentale trovare le forme giuste di partecipazione per ogni socio, mantenendo sempre il metodo della condivisione delle nostre decisioni; già oggi i soci partecipano attivamente sia nelle assemblee che nella mailing list, ma si può e si deve fare di più, magari grazie a una scuola di autoformazione dei soci. Infine, nel prossimo futuro sarà centrale interrogarci su quale sia la dimensione migliore per i nostri obiettivi e dunque se, oltre una certa soglia, sarà più utile fondare altre cooperative per gemmazione.
Cosa vi ha spinto a scegliere la cooperativa come forma organizzativa?
È stata una scelta dettata dal fatto che per noi è centrale la questione del metodo, perché crediamo, per dirla con una frase di Gandhi a cui siamo molto legati, che “tra mezzi e fini c’è la stessa relazione che esiste tra seme e albero”. Abbiamo scelto un modello che risponde ai nostri obiettivi e al contempo prevede una governance in cui i soci sono potenzialmente tutti uguali e hanno diritto di parola indipendentemente dalla quota versata o dall’anzianità. In più la cooperativa non prevede dei dividendi nel caso di utili. Questo ci permette di pensare a come utilizzare i guadagni per i nostri obiettivi: prima parlavamo della diminuzione del costo dell’elettricità suddivisa equamente tra tutti i soci, ma c’è anche la possibilità che l’assemblea decida di finanziare dei progetti di cooperazione internazionale.
Dietro c’è anche una passione politica…
Tutti noi fondatori veniamo da un impegno di vario genere, in alcuni casi politico, in altri sociale e associativo. Quand’ero all’università, collaboravo al circolo culturale “Tempi moderni”, nato dall’occupazione della Pantera al Politecnico di Milano e portato avanti negli anni Novanta da studenti di ingegneria e architettura; recentemente ho anche partecipato ad alcune campagne elettorali, ma non mi sono mai trovato a mio agio nei partiti. Personalmente, e questo nodo è per me centrale, mi ha sempre convinto l’approccio di quella che possiamo chiamare in vari modi, economia sociale, altra economia o economia solidale. Alla fine l’idea è che il “voto con il portafoglio” è importante quanto il voto sulla scheda elettorale. Che poi vuol dire che ognuno di noi può fare la propria parte e ottenere cambiamenti significativi.
*L’intervista è stata originariamente pubblicata, con il titolo “Il voto con il portafoglio”, su Una Città – mensile di interviste n. 247 – marzo 2018
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