La manifestazione del 5 ottobre, al di là dei racconti televisivi, ha mostrato come la stretta repressiva non attende l’odioso decreto sicurezza. Ma ha anche ricordato come il conflitto apre sempre possibilità enormi di cambiamento. “Stanno provando a ridurre il conflitto sociale a una piccola piazza – scrive Valentina Pescetti -, a un lumino non autorizzato. E noi possiamo spegnerlo, quel lumino, oppure alimentarlo, spargere scintille ovunque, e fare un gran casino…”
L’obbedienza non è una virtù. La speranza disobbedisce a chi vuole il silenzio. La speranza è sorella del conflitto.
La piazza, sabato 5 ottobre, a Roma, era piena. Non solo di gente, non solo di giovani. C’erano anche bambini e bambine, c’erano anche persone ebree, c’erano tante persone (come me, con i capelli bianchi) e la ferrea convinzione che si dovesse essere lì, pur conoscendo le minacce, pur marchiati dalle strumentalizzazioni passate, pur prevedendo le strumentalizzazioni future.
Le notizie di domenica, che dilagano, sono ovviamente quelle che fa piovere il governo, quelle calate dall’alto delle industrie che controllano gran parte dell’informazione. Ed è ovvio che mostrino quei pochissimi, sulle sette/ottomila persone, che hanno lanciato bottiglie e cartelli stradali. E allora?
Possiamo dividerci, e fare il vecchio gioco di chi impera; oppure possiamo andare oltre, vedere oltre, riconoscere che la rabbia è legittima. Forse sì, forse quei pochi erano infiltrati, messi lì apposta per provocare la reazione. Forse no, forse erano indignati come noi, e lo hanno espresso con un conflitto portato anche a livello fisico contro un governo reazionario.
Possiamo aver paura di un gruppetto di giovani incappucciati che in una manifestazione pacifica (ma chiusa da griglie e schedature) ha tentato di aprirsi un varco fra i blindati e i manganelli. Oppure possiamo essere terrorizzati dalle leggi fasciste che stanno tornando a imporsi, e dal continuo appoggio politico, militare ed economico del governo italiano al governo genocidario israeliano.
Si può essere o meno d’accordo, con il conflitto fisico, con la partecipazione a una manifestazione non autorizzata, in cui sono presenti anche persone che hanno diffuso uno slogan odioso; possiamo continuare in queste ore a ribattere la lingua sul tamburo della banda militare, e ripetere “Avete visto? Ve lo avevamo detto di non farla”. Possiamo continuare a guardare il dito che indica la luna. Oppure no, oppure possiamo vedere tutto illuminato dallo squarcio che il conflitto, nelle sue forme di protesta, apre.
Stanno provando a ridurre il conflitto sociale a una piccola piazza, a un lumino non autorizzato. E noi possiamo spegnerlo, quel lumino, oppure alimentarlo, spargere scintille ovunque, e fare un gran casino. Perché è di questo che abbiamo bisogno per contrastare il decreto Piantedosi (n. 1660), che garantisce sicurezza solo a chi ci vuole azzittire e annientare. Che garantisce sicurezza di continuare ad agire impunemente soltanto a chi ha già massacrato oltre 42.000 persone, e a chi provoca la distruzione del clima, della biodiversità e dell’umanità.
Mi ripeto, dunque, ancora e ancora: stanno provando a ridurre il conflitto sociale a una piccola piazza, a un lumino non autorizzato. E noi possiamo spegnerlo, quel lumino, oppure alimentarlo…
Valentina Pescetti ha aderito alla campagna Partire dalla speranza e non dalla paura
Marcello Gidoni dice
Continuare cocciutamente a gridare, gridare, gridare contro il cinismo e la stupidità’
Uno con i capelli bianchi.