Il fulcro del concetto di sovranità alimentare, così come ricostruito dopo un lungo percorso dal più grande movimento sociale del mondo, quello dei contadini di Via Campesina, è che non parte dall’alto, cioè da stati e governi nazionali, ma dalle comunità, dai territori, dalla loro biodiversità e dalle loro lotte per raggiungerla
Diciamo la verità, è difficile per tutti, anche per noi, sottrarci al chiacchiericcio e al nominalismo, cioè parlare (o peggio ancora urlare) per titoli e senza contenuti, metodi di cui i media italiani sono eccellenti maestri da molti anni. Dopo la nascita del nuovo “Ministero Agricoltura e Sovranità Alimentare”, vorrei tentare di approfondire quello che avevo scritto su Comune in maggio (L’ipocrisia della transizione ecologica), a proposito della necessità della sovranità energetica e sovranità alimentare.
Già prima della formazione del nuovo governo, il primo ottobre, in un incontro alla presenza di giornalisti, Coldiretti e Giorgia Meloni si erano dichiarati d’accordo sulla necessità di difendere l’agricoltura italiana con la Sovranità Alimentare. Subito, il 3 ottobre, l’Associazione Rurale Italiana-ARI, membro di Via Campesina Europea e Internazionale (VCI) , aveva diffuso un ottimo comunicato: Coldiretti e Fdi vi siete sbagliati, la sovranità alimentare non è l’autarchia.
Sono stato felice di leggere sul Manifesto di qualche giorno l’ottimo articolo di Barbara Nappini, presidente di Slow Food Italia, dal titolo “La sovranità alimentare non è sinonimo di autarchia”, in cui si ricorda che il concetto di Sovranità Alimentare è stato lanciato nel 1996 da Via Campesina Internazionale, un movimento che unisce oggi 200 milioni di piccoli contadini di tutti i continenti, probabilmente il più grande movimento al mondo. Spero che Slow Food partecipi in un prossimo futuro alla vita di VCI, tanto più dopo la recente scelta di Edward Mukiibi, un contadino ugandese come il nuovo Presidente di Slow Food Internazionale (succede a Carlo Petrini).
Stupenda è l’affermazione di Blandine Sankara, sorella di Thomas Sankara, rivoluzionario ed ex presidente del Burkina Faso assassinato nel 1987, riportata su Extraterrestre, l’inserto del Manifesto della scorsa settimana: «L’agroecologia e la sovranità alimentare non sono solo tecniche ma forme politiche di resistenza e strumenti per la decolonizzazione». Blandine Sankara si riferiva al colonialismo che continua nei confronti dei paesi poveri, con l’estrattivismo minerario e agricolo, ma è in tutto il mondo, anche in Italia, che abbiamo bisogno di essere decolonizzati.
Finalmente si inizia a parlare a livello ampio di Sovranità Alimentare. Si potrà così entrare nel merito di cosa significhi questo termine e iniziare a fare ri-educazione popolare, analizzando produzione e consumo del cibo. Se è giustissimo contestare la interpretazione nazionalista di Giorgia Meloni (Sovranità Alimentare non è il Made in Italy, tanto meno quello per export), è sacrosanto ricordare che finora tutti i precedenti governi “europeisti e atlantisti” non ne avevano mai voluto parlare e che una Legge Contadina è rimasta bloccata al Senato per oltre un anno, dopo l’approvazione alla Camera il 20 maggio 2021.
Io credo che Draghi e Cingolani, due obbedienti impiegati del capitalismo finanziario di Wall Street e delle industria delle armi (vedi Leonardo), di certo detestano questa espressione. Del resto, il 14 ottobre, a governo scaduto, alla riunione di ScoPaff, Comitato permanente su piante, animali, cibo e mangimi della Commissione europea, il governo italiano ha votato a favore della proroga di un anno all’utilizzo di glifosato, l’erbicida presente nei semi OGM e classificato come cancerogeno cinque anni fa dal Centro internazionale di ricerca sul cancro (IARC). Il glifosato è il pesticida più usato al mondo e in Italia è presente nelle acque superficiali e profonde (vedere i rapporti ISPRA sui Pesticidi nelle acque). Ancor peggio, nel 2017 il Governo italiano aveva votato contro la proroga per cinque anni del glifosato, di cui era scaduto il brevetto Monsanto, una proroga poi approvata per il voltafaccia all’ultimo momento della Germania, che aveva dovuto obbedire alla Bayer, proprietaria da poco di Monsanto.Ora invece la proroga di un anno è stata bocciata per l’astensione determinante di Francia, Slovenia e Germania. Quest’ultima ha già deliberato il divieto di uso del glifosato dal 1 gennaio 2024.
Vedremo cosa faranno Meloni e soci. Ma cosa significa sovranità alimentare? Anche nelle pubblicità si parla ormai spesso di agroecologia, troppi prodotti sono detti agroecologici, talvolta anche quelli dell’agrobusiness e dell’industria alimentare. D’altronde questo si giustifica anche con la vaga definizione di Wikipedia “L’agroecologia consiste nell’applicazione dei principi ecologici alla produzione di alimenti, carburante, fibre e farmaci nonché alla gestione di agrosistemi. Il termine comprende una vasta gamma di approcci e può significare «una scienza, un movimento e una pratica“.
Di certo più chiara è la definizione di Wikipedia di Sovranità Alimentare, in cui si ricorda che in otto paesi questo termine è entrato nelle Costituzioni (Ecuador, Venezuela, Mali, Bolivia, Nepal, Senegal ed Egitto).
A questo proposito restano illuminanti le parole rivolta da Thomas Sankara ad altri capi di Stato africani in un suo discorso ad Addis Abeba, centrato sull’annullamento del debito estero e sul disarmo: “Produciamo ciò di cui abbiamo bisogno, consumiamo quello che produciamo”.
La cosa migliore è conoscere la definizione di Sovranità Alimentare contenuta nella Dichiarazione di Nyéléni, prodotta dal Forum Internazionale sulla Sovranità Alimentare in Mali nel febbraio 2007, che ha visto la partecipazione di più di cinquecento delegazioni di movimenti contadini e organizzazioni della società civile, provenienti da ottanta Paesi:
«La sovranità alimentare è il diritto dei popoli ad alimenti nutritivi e culturalmente adeguati, accessibili, prodotti in forma sostenibile ed ecologica, ed anche il diritto di poter decidere il proprio sistema alimentare e produttivo. Questo pone coloro che producono, distribuiscono e consumano alimenti nel cuore dei sistemi e delle politiche alimentari e al di sopra delle esigenze dei mercati e delle imprese. Essa difende gli interessi e l’integrazione delle generazioni future. Ci offre una strategia per resistere e smantellare il commercio neoliberale e il regime alimentare attuale. Essa offre degli orientamenti affinché i sistemi alimentari, agricoli, pastorali e della pesca siano gestiti dai produttori locali. La sovranità alimentare dà priorità all’economia e ai mercati locali e nazionali, privilegia l’agricoltura familiare, la pesca e l’allevamento tradizionali, così come la produzione, la distribuzione e il consumo di alimenti basati sulla sostenibilità ambientale, sociale ed economica. La sovranità alimentare promuove un commercio trasparente che possa garantire un reddito dignitoso per tutti i popoli e il diritto per i consumatori di controllare la propria alimentazione e nutrizione. Essa garantisce che i diritti di accesso e gestione delle nostre terre, dei nostri territori, della nostra acqua, delle nostre sementi, del nostro bestiame e della biodiversità, siano in mano a chi produce gli alimenti. La sovranità alimentare implica nuove relazioni sociali libere da oppressioni e disuguaglianze fra uomini e donne, popoli, razze, classi sociali e generazioni».
Tuttavia, il concetto di sovranità alimentare è stato introdotto per la prima volta durante la Conferenza internazionale della coalizione internazionale Via Campesina1 a Tlaxcala, in Messico, nell’aprile del 1996, per essere poi proposto, nel corso del Forum parallelo al World Food Summit2 di Roma, nel novembre 2006, in opposizione a quello di “sicurezza alimentare” vigente nel 1974, un concetto che viene successivamente riformulato più volte. Dapprima, nel 1996 quando si afferma “il diritto di avere accesso al cibo e il diritto alla libertà dalla fame”, poi nella definizione FAO 2001:
“Tutte le persone, in ogni momento, hanno accesso fisico, sociale ed economico ad alimenti sufficienti, sicuri e nutrienti, che garantiscano il soddisfacimento delle loro esigenze e preferenze per condurre una vita attiva e sana”.
Il fulcro della definizione, dopo un lungo percorso evolutivo, si è dunque spostato dalla disponibilità all’accesso (fisico, economico e sociale), ma la Sovranità Alimentare è ben di più della Sicurezza Alimentare. Essa non parte dall’alto, dallo Stato e dai Governi nazionali, ma dalle Comunità, dai Territori, dalla loro biodiversità e dalle loro lotte per raggiungerla. Voglio ricordare l’importante Congresso Nazionale del Movimento Sem Terra del Brasile del 2014, in cui 20 mila contadini, provenienti da tutti i 26 Stati del Brasile, approvarono la necessità di superare l’obiettivo Riforma Agraria classica, continuando nella lotta per una Riforma Agraria Popolare. Cosa volevano dire? Una cosa molto semplice: per battere l’Agrobusiness, la sua produzione di cibo, che surriscalda il pianeta (deforestazione, agricoltura intensiva con monoculture OGM, allevamenti intensivi, produzione industriale e trasporti, refrigerazione ecc) ed è pieno di residui di pesticidi ed altri veleni, è indispensabile un’Alleanza Contadini-Cittadini, da costruire nei territori.
In realtà nell’attuale mondo globalizzato anche gran parte dei contadini (in Europa per la stragrande maggioranza) sono consumatori di cibo che non producono. La triste realtà è che mangiamo cibo di cui sappiamo e possiamo sapere poco o niente, anche dei cibi con tanto di etichetta e certificazione.
Quando si ragiona di sovranità alimentare dobbiamo sempre ripartire dalla considerazione che la produzione e il consumo di cibo nel suo complesso hanno pesantissime implicazioni sui consumi totali di energia e acqua, quindi sul surriscaldamento globale e sue conseguenze.
A proposito del consumo di acqua voglio citare la Fondazione Barilla (una realtà legata alla nota multinazionale): “Il 70% dell’acqua dolce prelevata da fonti di superficie o falde acquifere è impiegata nel settore agricolo ed è, quindi, alla base della produzione di cibo, mentre oltre il 90% della nostra impronta idrica (cioè l’indicatore che misura l’ammontare di acqua usata nelle fasi di produzione di un bene) è legata al consumo di cibo“ (fonte Ansa).
A causa di questo modello produttivo, siccità e crisi climatica stanno mettendo a rischio il futuro dell’agricoltura e secondo l’Onu, circa due miliardi di persone nel mondo vivono in zone a elevato stress idrico, ossia con difficoltà ad accedere all’acqua.
A proposito di energia: “Circa 5 miliardi di tonnellate di cibo prodotte ogni anno consumano tra produzione, trasformazione e distribuzione, circa 491 Ej (Exajoule) di energia da fonti fossili. Senza contare che gli alimenti, dalla produzione al consumo finale, richiedono un importante uso di energia, restituendo all’uomo, attraverso l’alimentazione, un decimo di quella stessa energia. Nel caso degli ortaggi surgelati, un trentesimo” (fonte Focus).
Sono ben note le connessioni tra perdita di fertilità della Terra (e del mare!) e ipersfruttamento e devastazione della stessa, con l’aumento delle emissioni di gas serra e dell’incapacità della terra, secca e sterile, a trattenere l’acqua dolce piovana, quindi con l’attuale alterazione per accelerazione del ciclo dell’acqua.
Penso che vada riconsiderata la proposta del Wwf di valutazione dell’impronta ecologica di ognuno di noi nel consumo di cibo, ma non solo come calcolo della stessa, presa di coscienza individuale e diminuzione personale del consumo dei cibi ad alta impronta (ad es. cibi processati e congelati, carni rosse ecc). È possibile richiedere a livello legislativo Ue che sulle etichette del cibo che si acquista sia specificata la quantità di CO2 emessa e di acqua consumata per la produzione dello stesso? Sappiamo che l’Europa con la PAC dà la maggior parte dei finanziamenti all’agrobusiness, che vive sullo sfruttamento e l’import di materie prime e foraggi, soprattutto da Africa e America Latina.
Ci sono valori discordi sui numeri, ma è indubbio che i prodotti di origine animale da allevamenti intensivi (e la carne rossa in particolare), hanno la maggior impronta ecologica. Perché non lottiamo affinché sia obbligatorio dettagliare tutta la filiera di questi prodotti, cioè cosa e quanto mangia e beve l’animale che produce questi alimenti? Le persone comuni continueranno a comprare e bere latte, pur certificato e pulito, se ci fosse scritto che la mucca che l’ha prodotto ne faceva 60 litri al giorno, come avviene negli allevamenti intensivi?
Di certo Bayer e gli altri big dell’agrobusiness UE sono e saranno nemici di queste lotte, ma anche queste sono le battaglie a mio parere necessarie per corrispondere al bellissimo manifesto di VCI in occasione del 16 Ottobre, giornata Mondiale dell’Alimentazione, in cui si dice che “La Sovranità alimentare è l’unica soluzione, i contadini possono nutrire tutti i popoli e raffreddare il Pianeta”.
Finisco con le parole e la proposta lanciata due anni fa alla ministra dell’Agricoltura Bellanova da Famiano Crucianelli, exparlamentare e attualmente Presidente del Biodistretto Della Via Amerina e delle Forre (ilmanifesto.it).
“La sola risposta che oggi abbia un significato reale è l’integrazione del reddito dei contadini, un reddito minimo garantito per i lavoratori della terra di ieri e per quei tanti giovani che nella terra potrebbero ritrovare il loro futuro smarrito. Sarebbe un virtuoso investimento, il giusto riconoscimento della funzione sociale dei contadini, la premessa di quella rivoluzione del mondo agricolo grazie alla quale sarebbe possibile ridare un nuovo ordine alle priorità del vivere sociale; e la grandissima condizione essenziale perché la lotta ai cambiamenti climatici possa essere una strategia vera e non parole al vento per le conferenze e le campagne elettorali“.
Gli appelli alla cura e rigenerazione della Terra, urgente e principale, vengono quotidianamente da molte parti, Vandana Shiva è instancabile in questo. Se non riusciamo a coscientizzare le persone e iniziare scelte, boicottaggi e lotte incisive, ci faremo, tra l’altro, anche continuare a prendere per il sedere da un sorridente Bill Gates che, oltre a finanziare studi sull’immortalità, denuncia che gli allevamenti intensivi sono criminali e che bisogna andare verso il suo cibo sintetico, che, secondo lui, non utilizza acqua né emette Gas Serra.
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