di Donatella Donati*
Morte ai vecchi, di Franco “Bifo” Berardi e Massimiliano Geraci (ed. Baldini e Castoldi) è un romanzo strano e non facile. All’inizio non mi piaceva. A un terzo del testo stavo quasi per smettere, perché mal sopportavo le parti in cui non solo non c’è, almeno mi pare, un filo narrativo, ma non c’è neanche una sintassi né un lessico che non sia oscuro o di sana pianta inventato. E poi mi chiedevo: ma questi personaggi sono esseri umani o sono alieni? Sono vivi o sono morti? Non lo capivo.
Però per fortuna ci sono anche pagine in cui ai personaggi capitano cose che mi sono più familiari, in luoghi e tempi ordinari, non onirici, non surreali, e così sono andata avanti aggrappandomi al vecchio Isidoro, se non altro per vedere che cosa combina questo professore indeciso. E a poco a poco ho cominciato a riconoscere anche altri personaggi, Martina che gli vuole bene, il preside che dalla lucidità fugge nella paranoia, e … ma mi accorgo adesso che sono tutti vecchi i personaggi che mi hanno attirata.
Comunque il titolo “morte ai vecchi” è fuorviante secondo me. Che bande di ragazzini e ragazzine uccidano persone vecchie è quanto si vede in superficie, ma in realtà anche i/le giovani mica son tanto vivi, anzi tendono alquanto al suicidio. La morte respira in tutte le pagine, e il sesso pure, ma nessuno fa l’amore con nessuno anche se lo fa, e parecchi lo fanno da soli. Del resto che la masturbazione possa servire a placare l’angoscia si sa. Ma l’angoscia c’è nel romanzo? Non lo so, ma la fuga dall’angoscia c’è di sicuro, attraverso pasticche e vari altri artifici cui si ricorre automaticamente, come per prevenzione. Isidoro invece per prendere le pasticche aspetta che il mal di testa sia cominciato, ma lui appunto non è un essere formattato, lui è vecchio, desueto, lo sente, lo sa ed è, forse, ancora vivo.
E le persone più giovani che cosa fanno? Sono parte più o meno attiva e consapevole dei progetti di due grandi imprese rivali, imprese che propongono la felicità illimitata. Sono vittime della propria intelligenza, staccata dall’emotività. Il dolore non manca però, e c’è anche una forsennata ricerca di evitare il dolore, il dolore della solitudine, della paura, della mancanza di qualcosa che dovrebbe esserci e invece non c’è. Mamma. La mamma non c’è, Mel adolescente non crede più che verrà. Oppure c’è troppo la mamma, è pericolosa e seduttiva e allora la si uccide per autodifesa. L’autodifesa è molto presente in questo romanzo, mi pare; del resto mi sembra lo sia sempre più anche nella vita non romanzata, e in modo così poco efficace, contro meccanismi che non si sa da chi siano stati messi in moto e ancor meno si sa come fermare.
Il bene si cerca, anche in buona fede: Federica e Luca sanno il segreto della connessione diretta tra il cervello umano e l’energia cosmica originaria, è un segreto tramandato di generazione in generazione tra donne e sciamane. Alex, che è giornalista, indaga con audacia a rischio della vita.
Mentre leggevo mi sono venuti in mente altri lavori: Memoria del futuro di Wilfred Bion per la logica irrazionale, Uova fatali di Bulgakov per il progetto avventato, e L’onda, film del 2008 di Dennis Gansel per l’esperimento sociale che sfugge di mano all’insegnante che l’ha messo in atto sulla (o con la) propria classe. Ma in nessuno c’è la destrutturazione del discorso che vedo in Morte ai vecchi, dove certe pagine sembrano liquide addirittura; non un dibattito fra diverse parti del soggetto come in Bion, ma il disfacimento stesso del soggetto, e in luogo del discorso la droga, parole drogate che forse non sono parole.
La fantascienza di Asimov è, specialmente sul piano stilistico, una meraviglia di razionalità in confronto a Morte ai vecchi. E se là i robot tendevano ad essere umani, qua gli umani tendono a diventare robot. E tuttavia si dibattono ancora, proprio automi non sono. “Come ho potuto uccidere?” si chiede Walanski, e alla fine si arriva allo scontro fra Lucifero e il Creatore, si cerca il senso della vita. Pare che il Creatore sia un ragno; può avere senso un mondo creato da un ragno? Forse sì, se si ha la sensibilità di non schiacciarlo, povero ragno. Questo però lo dico io, nel romanzo non c’è e chissà se gli autori sarebbero d’accordo con me.
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