Accade quasi sempre in modo non previsto, spesso senza un’organizzazione visibile. Le grandi sollevazioni di questi anni – le ultime hanno scosso la Turchia, il Brasile e la Bulgaria – cominciano con una protesta piuttosto piccola e circoscritta. Poi, d’improvviso, la rivolta si accende e travolge, almeno per un certo periodo, limiti considerati invalicabili. Immanuel Wallerstein, uno dei più prestigiosi analisti della geopolitica mondiale e dei movimenti antisistemici, lega questa ribellione all’onda lunga della rivoluzione-mondo cominciata nel 1968, una rivoluzione che non ha certo avuto successo, dal punto di vista della conquista del potere negli Stati, ma ha cambiato le società del mondo più in profondità di ogni altro evento del secolo scorso. Wallerstein segnala cinque importanti tratti comuni tra le ultime sollevazioni, quelle che si accendono mentre il sistema capitalista tramonta per cedere il passo a un sistema nuovo che potrebbe essere migliore oppure no. Dipenderà soprattutto da noi
di Immanuel Wallerstein
Alla persistente nuova sollevazione in Turchia ne è seguita una ancora più grande in Brasile, che, a sua volta, è stata seguita da un’altra meno nota, ma non meno reale, in Bulgaria. Non sono state le prime, naturalmente, ma soltanto le più recenti nella successione davvero mondiale di sollevazioni avvenute in questi anni. Ci sono molti modi possibili per analizzare questo fenomeno. Da parte mia, lo vedo come un processo continuo che è cominciato con la rivoluzione-mondo del 1968.
Di certo, ogni sollevazione è originale nei suoi dettagli e nell’intreccio interno delle forze di ogni paese. Ci sono, tuttavia, alcune similitudini che devono essere notate, se pretendiamo di dare un senso a quanto sta accadendo e se vogliamo decidere quel che dovremo fare tutti noi, come individui e come gruppi.
Il primo tratto comune è che tutte le sollevazioni tendono a cominciare con molto poco – un gruppetto di persone valorose che manifesta per qualcosa. Poi, le rivolte si accendono, cosa in gran parte imprevedibile, e diventano di massa.
Presto non è più solo il governo a esser posto sotto assedio ma, fino a un certo punto, lo Stato in quanto Stato. Queste sollevazioni vedono un’azione combinata tra coloro che puntano a sostituire il governo con un governo migliore e coloro che mettono in discussione la stessa legittimità dello Stato. Entrambi i gruppi invocano la democrazia e i diritti umani, sebbene le definizioni che offrono di questi termini siano molto varie. In generale, il tono di queste sollevazioni comincia dal lato sinistro della scena politica.
I governi che si trovano al potere, naturalmente, reagiscono. Ciascuno tenta di reprimere la sollevazione o cerca di placarla con alcune concessioni, oppure tenta entrambe le risposte. La repressione ottiene di frequente i risultati attesi dai governi, ma a volte è invece controproducente e attrae più gente nelle strade. Le concessioni da parte dei governi funzionano spesso ma, qualche volta, sono anch’esse controproducenti e fanno sì che la gente che è scesa in strada intensifichi le sue rivendicazioni. Parlando in generale, i governi tentano di agire più con la repressione che non con le concessioni. E, sempre in generale, la repressione tende a funzionare nel periodo relativamente breve.
Il secondo tratto comune di queste sollevazioni è che nessuna di esse prosegue a grande velocità per troppo tempo. Quelli che protestano si arrendono di fronte alle misure repressive. Oppure sono cooptati, fino a un certo punto, dal governo. In altri casi, li sfianca l’enorme sforzo che richiede fare manifestazioni continue. Questa flessione delle proteste aperte è assolutamente normale. Questo non ne indica affatto il fallimento.
È questo il terzo tratto comune delle sollevazioni. Comunque giungano alla fine, ci offrono un lascito. Hanno cambiato in qualcosa la politica del paese, e quasi sempre in meglio. Hanno posto nell’agenda pubblica un tema importante, come ad esempio le disuguaglianze. Oppure hanno fatto crescere il senso della dignità degli strati più bassi della popolazione. O, infine, hanno provocato un aumento dello scetticismo nei confronti della prolissità con la quale i governi tendono a mascherare le loro politiche.
Il quarto tratto comune è che, in tutte le sollevazioni, molti di quelli che si uniscono, specialmente se si uniscono in seguito, non lo fanno per approfondire gli obiettivi iniziali ma per distorcerli, oppure per spingere verso il potere politico gruppi di destra, gruppi differenti da quelli che sono al potere ma che non sono in alcun modo più democratici o interessati a proteggere i diritti umani.
Il quinto tratto comune è che tutti finiscono imbrigliati nella confusa competizione geopolitica. I governi potenti al di fuori del paese in cui si verificano le agitazioni lavorano duro, sebbene non sempre con successo, per favorire i gruppi che sono ben disposti verso i loro interessi. Questo accade con tale frequenza che, per ora, una delle domande immediate riguardo a una certa sollevazione è, o dovrebbe essere, sempre: quali saranno le conseguenze per l’insieme del sistema-mondo? È molto difficile saperlo, visto che le conseguenze geopolitiche potenziali potrebbero condurre al fatto che si vada nella direzione opposta all’iniziale direzione antiautoritaria.
Vogliamo ricordare, infine, che in questo, come in tutto quel che sta accadendo ora, siamo nel mezzo di una transizione strutturale che va da un’economia-mondo capitalista che svanisce a un nuovo tipo di sistema. Questo nuovo tipo di sistema potrebbe però risultare migliore o peggiore di quello attuale. Questa è la vera battaglia dei prossimi 20-40 anni, e il come ci comportiamo qui, là e ovunque si dovrà decidere in funzione di questa importante battaglia politica fondamentale a livello mondiale.
Fonte: la Jornada
Traduzione per Comune-info: m.c.
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Raquel Gutiérrez Aguilar | 4 luglio 2013 | 0 commenti
Quasi tutto quel che eravamo riusciti a capire con le sollevazioni degli anni passati è stato codificato e depotenziato in termini statali. Dobbiamo ritrovare l’orizzonte del comune che ha alterato i termini del discorso politico liberale moderno
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