La terza parte del Rapporto AR6 un vista della Cop 26 di Glasgow sottolinea che sono numerosi i cambiamenti indotti dal caldo crescente: in particolare l’aumento della frequenza e dell’intensità degli “eventi estremi”, delle ondate di calore marine, delle forti precipitazioni nella siccità agricola ed ecologica in alcune regioni, nelle caratteristiche dei cicloni tropicali più intensi, nella crescente riduzione del ghiaccio marino artico, della copertura nevosa di montagne e pianure, e del continuo scioglimento del permafrost
La terza parte dell’AR6, il rapporto presentato alla COP 26, nella sua forma di sintesi per i decisori politici, offre un’ampia gamma di previsioni concernenti i principali fenomeni climatici, influenzati dal riscaldamento globale, nei loro andamenti recenti e previsti.
Il testo sottolinea infatti che sono numerosi i cambiamenti indotti dal caldo crescente, in particolare l‘aumento della frequenza e dell’intensità degli “eventi estremi”, delle ondate di calore marine, delle forti precipitazioni nella siccità agricola ed ecologica in alcune regioni, nelle caratteristiche dei ciccloni tropicali più intensi, nella crescente riduzione del ghiaccio marino artico, della copertura nevosa di montagne e pianure, e del continuo scioglimento del permafrost.
Le indicazioni che seguono sono molto importanti e dovrebbero essere verificate continuamente nei prossimi mesi e anni, poichè definiscono un quadro scientifico indiscutibile e che non permette illusioni.
E’ certo che la superficie terrestre continuerà a riscaldarsi più di quella oceanica, almeno di 1,4-1,7 volte di più, e che l’Artico continuerà a riscaldarsi a una velocità due volte superiore a quella della temperatura superficiale globale. Ad ogni ulteriore incremento del riscaldamento globale, i cambiamenti negli eventi estremi continueranno ad aumentare.
Ad esempio, ogni 0,5 grado centigrado in più di riscaldamento globale provoca diversi effetti: aumenti chiaramente percepibili dell’intensità e della frequenza degli eventi estremi dovuti al caldo, ivi comprese le ondate di calore e le forti precipitazioni, nonché la siccità dei terreni agricoli e le condizioni ecologiche generali, specie in alcune regioni ormai chiaramente individuate.
Inoltre alcuni eventi estremi avranno aumenti senza precedenti causati da da un ulteriore riscaldamento globale anche dopo aver raggiunto la temperatura di 1,5 C rispetto al periodo preindustriale.
Quest’ultima notazione è molto rilevante perchè elimina molte delle illusioni in circolazione concernenti i limiti invalicabili degli obiettivi climatici medi globali in discussione in molte sedi e introduce un elemento di realismo assolutamente non trascurabile a livello politico.
A livello territoriale il rapporto prevede che alcune regioni alle latitudini intermedie e semi aride e la vasta regione sudamericana dei monsoni vedranno il più alto aumento della temperatura media dei giorni più caldi, quelli che hanno un tasso di riscaldamento che è 1,5-2 volte più alto della media globale.
L’Artico invece sperimenterà il più alto aumento della temperatura media dei giorni più freddi, pari a circa tre volte il tasso di riscaldamento globale.
Inoltre, è molto probabile che in presenza di un ulteriore aumento del riscaldamento globale, si intensifichino gli aventi di forte precipitazione acquea e soprattutto diventino più frequenti nella maggior parte delle regioni. Su scala globale, si prevede che gli eventi estremi di precipitazione di pioggia giornaliera si intensificheranno di circe il 7% per ogni grado centigrado di riscaldamento globale. La proporzione di cicloni tropicali intensi (categorie 4 e 5 ) e la velocità del vento di picco dei cicloni più intensi aumenteranno su scala globale.
Il recente ciclone Ida che ha colpito dai Caraibi fino a New York con venti iniziali a 240 chilometri orari è l’ennesima conferma di questa previsione.
Infine si prevede che un ulteriore riscaldamento globale amplifichi ancora di più lo scioglimento del permafrost, la perdita della copertura nevosa stagionale, del ghiaccio terrestre e del ghiaccio marino artico. E’ anche probabile che l’Artico sarà praticamente privo di ghiaccio marino a settembre almeno una volta prima del 2050, con occorrenze più frequenti per livelli di riscaldamento più elevati. In realtà, i risultati di studi apparsi negli ultimi mesi, cioè quando il rapporto era già stato diffuso, forniscono numerosi dati di supporto a queste previsioni, accompagnati da ipotesi di ulteriori accelerazioni di questi effetti.
Analoghe considerazioni vengono svolte nel Rapporto riguardo all’acqua, poichè si prevede che il continuo riscaldamento globale intensifichi ulteriormente il ciclo dell’acqua a livello planetario, ivi comprese la sua variabilità nel tempo, le precipitazioni monsoniche e la gravità degli eventi di precipitazione delle piogge e di aumento del grado di siccità.
In particolare, il ciclo globale dell’acqua continueràa intensificarsi con l’aumento della temperatura globale, le precipitazioni e i flussi di acqua superficiali dovrebbero diventare più variabili nella maggior parte delle regioni terrestri, sia a scala stagionale che di anno in anno. Si prevede che le temperature terrestri medie aumenteranno dello 0-5% nello scenario di emissioni di gas serra molto basse (SSP 1-1,9) e dell’!-13% nello scenario di emissioni molto alte (SSP 5-8,5) entro il 2081-2100 rispetto al 1995-2014. A tale proposito si potrebbe notare che il periodo scelto per il confronto nel passato è in realtà piuttosto vicino, mentre le precipitazioni in aumento sono proiettate verso l’ultimo ventennio del secolo. Sembra quasi che il fenomeno sia stato “appiattito” nelle sue dinamiche, mentre le esperienze della scorsa estate – in particolare quanto avvenuto in Germania, inatteso e molto rapido – farebbero piuttosto pensare a fenomeni in via di accelerazione.
Si prevede che le precipitazioni aumenteranno alle alte latitudini, nel Pacifico equatoriale e in alcune regioni monsoniche, ma diminuiranno in alcune regioni subtropicali e in aree limitate dei tropici.
In realtà nei mesi scorsi tempeste improvvise e molto violente hanno investito molte più regioni, anche distanti tra loro, e ciò farebbe pensare a dei nuovi fenomeni tra loro collegati anche su grandi distanze (ad esempio che hanno origine nell’indebolimento della Corrente del Golfo ma si verificano in Europa o nel nord degli Stati Uniti)
Inoltre un clima più caldo intensificherà gli eventi meteorologici e climatici molto umidi o molto secchi, con implicazioni per inondazioni o siccità, ma la localizzazione e la frequenza di questi eventi dipendono dai cambiamenti nella circolazione atmosferica regionale.
Infine si prevede che le precipitazioni monsoniche aumentino nel medio-lungo termine su scala globale, in particolare nell’Asia meridionale e sudorientale, nell’Asia orientale, e nell’Africa occidentale, tranne che nell’estremo ovest del Sahel.
Per quanto riguarda gli scenari per il futuro in cui aumentano le emissioni di anidride carbonica, si prevede che i serbatoi di carbonio oceanici e terrestri saranno meno efficaci nel rallentare l’accumulo della CO2 in atmosfera. Più in dettaglio, sulla base delle proiezioni contenuti nei modelli, nello scenario intermedio che stabilizza le concentrazioni atmosferiche dell’anidride carbonica in questo secolo (SSP 2-4,5) i tassi di CO2 assorbiti dalla terra e dagli oceani dovrebbero diminuire nella seconda metà del 21° secolo .
Negli scenari di emissioni di gas serra bassi e molto bassi ((SSP 1-2,6 e SSP 1-1,9), la terra e gli oceani iniziano ad assorbire meno carbonio in risposta al calo delle concentrazioni atmosferiche di anidride carbonica, nello scenario più basso, diventano una debole fonte netta di emissioni entro la fine del secolo.
Sembra importante dedurre, pur nel rispetto delle metodologie adottate dagli scienziati dell’IPCC, che sia in relazione alla scadenza trentennale della metà del secolo, sia nella successiva metà, l’inizio delle riduzioni delle emissioni dannose e l’avvio della diminuzione della concentrazione di sostanze dannose nell’atmosfera sono sempre spostati molto avanti nel tempo.
E’ evidente che gli scienziati sono piuttosto realistici per quanto riguarda i momenti di eventuali scelte radicali delle imprese produttrici di carburanti fossili. Inoltre tengono anche presente i tempi di salita dei gas serra nell’atmosfera (stimati intorno ai dieci anni). In altre parole, è noto che passa un lungo periodo di tempo prima che eventuali drastiche decisioni sui fossili, facciano veramente effetto sul riscaldamento climatico. Resta da vedere se questo realismo a livello scientifico in realtà non contribuisca a ritardare le nessarie decisioni dei governi (e infatti finora solo un paio di governi di piccoli Stati hanno cominciato ad assumere decisioni che vadano nella direzione ormai inderogabile.
E in effetti – e in aggiunta – il testo ricorda che l’ampiezza delle correlazioni (dei feedback) tra i cambiamenti climatici e il ciclo del carbonio diventa più grande ma anche più incerta negli scenari ad alte emissioni di anidride carbonica. Ulteriori risposte degli ecosistemi al riscaldamento non ancora completamente riflesse nei modelli climatici finora utilizzati ( ad esempio i flussi di anidride carbonica e di metano provenienti dalle zone paludose, la velocità di disgelo del permafrost e gli incendi in fase di moltiplicazione), potrebbero aumentare ulteriormente la concentrazione di questi gas in atmosfera.
Qualche lettura selezionata può contribuire ad una comprensione più profonda di tutti questi fenomeni:
Luca Mercalli, Che tempo che farà, breve storia del clima con uno sguardo al futuro. Rizzoli, Milano, 2009
Jeremy Leggett, Fine corsa, sopravviverà la specie umana alla fine del petrolio? Einaudi, Torino, 2005
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