Paolo avrà settant’anni, compone musica e vive in strada. Anche Romano vive in strada, ha 57 anni, ha perso tutti i denti e dice che si spendono troppi soldi per le guerre e per le armi. Due ottantenni, intanto, da molti anni ogni notte fanno comparire cibo e coperte per chi non ha un tetto ma devono fare i conti anche il dolore per la figlia che ha rischiato di morire a causa della violenza del compagno. Poi ci sono due ventenni, uno morto di eroina, l’altro, figlio di una donna immigrata coraggiosa, ucciso per un’orrenda sciocchezza. C’è anche la donna zingara che vive con i suoi tre figli, il marito l’ha mollata e cerca un lavoro. Infine c’è la vita nostra, circondata sempre più da vite ferite… In un tempo che distrugge l’umanità restano due domande difficili. La prima: cosa possiamo fare per alleviare quelle ferite e non smettere di desiderare un mondo diverso? La seconda: abbiamo il tempo per accogliere questa domanda?
Sette vite. La prima vita è di Paolo. Avrà settant’anni, lo incontro al tramonto, nel nostro Giardino (del borgo San Frediano Oltrarno di Firenze, nel quale è nata una piccola quanto straordinaria esperienza comunitaria, ndr). Parla in modo raffinato, voce gentile e appena ironica, e mi fa subito simpatia. “È la prima volta che capito qui… ma mi chiedo, avete per caso uno spazio coperto? Io non ho alcun reddito, dormo all’Albergo Popolare, ma di giorno, vedete, io vado alla Biblioteca Thouar… ho trovato un angolo tranquillo, mi metto lì e tiro fuori la mia tastierina e le cuffie, e compongo musica, senza disturbare nessuno. Solo che adesso stanno facendo i lavori in biblioteca, non ci posso più andare… Tu sei messicano? Mia sorella andò in Argentina per studiare il tango! Che musica creo? Io sono vecchio, i miei maestri sono i Beatles e Jimmi Hendrix”.
La seconda vita è di una coppia luminosa di quasi ottantenni, che da decenni, di notte, fanno comparire cibo e coperte per quelli che dormono per strada (compreso quello che diceva, “io preferisco dormire per strada, perché all’Albergo Popolare c’è gente troppo schifosa“). La figlia della coppia luminosa è musicista, il compagno della figlia si occupa di teatro. E lui una sera la massacra a colpa di pentolate, le spacca le costole, la sta per strangolare, e lei trova la forza di fissarlo negli occhi, lui caccia un urlo e scompare e il giorno dopo lui si suicida lanciandosi da un ponte. Lei ieri è andata a fare un concerto, vi serve una musicista classica?
La terza vita la incontro all’autostazione di Bologna. Lui tiene in mano una lattina di birra, lei è tutta piegata e spinge un carretto. Al mondo, lui urla, con tutte le sibillanti emiloromagnole, “Io pago le tasse, e con le mie tasse pagano la guerra in Ucraina! Romano Prodi non lo avrebbe mai fatto!”. E siccome io sono una calamita vivente, dopo aver passato decine e decine di persone, lui torna di me, e mi dice, “Sono Pavanelli Romano, ho cinquantasette anni e Prodi mi fece trovare lavoro! Prodi non avrebbe mai speso i nostri soldi in missili per la guerra, lei è d’accordo? Ma lei da dove viene?”. “Sono messicano”, rispondo. “Che onore! Io mi sono vaccinato tre volte per il Covid – questa è solo la seconda birra che bevo oggi – e mi sono cascati tutti i denti! Il mio medico dice che è per il vaccino! Lei è di Firenze? Mio zio Pavanelli Lino lavorò per la principessa Strozzi, di Firenze!”. Ci stringiamo forte la mano e trovo bellissimo il suo sguardo, sento che nella sua follia, è un amico vero.
La quarta vita, me la raccontano quasi a caso, è di un ragazzo figlio unico della profonda Sicilia che andò a studiare giurisprudenza a Bologna, avrebbe potuto studiare anche a Palermo. Una sera i genitori telefonano, lui non risponde, risponde il compagno di stanza, “gli ho bussato, ma non lo vogliamo disturbare”, e i genitori presi da una strana intuizione, insistono, ma niente… quando la polizia sfondò la porta, lo trovano morto d’eroina.
La quinta vita, non c’è più nemmeno quella, è di un ragazzino di diciannove anni, figlio di una mamma immigrata semplice e coraggiosa, che ha fatto ciò che poteva… l’hanno ammazzato l’altra notte a coltellate qui a Firenze, per qualche orrenda inutile sciocchezza, che avrà distrutto anche le vite degli assassini.
La sesta vita la incontro sul Ponte. La zingara del Kosovo, anni e anni che ci incrociamo con la sua pelle scura di indiana, anni fa mi raccontava che erano in diciassette a vivere tutti in un unico appartamento scampato non si sa come agli speculatori. Sul ponte dedicato ad Amerigo Vespucci, la zingara mi racconta che ha tre figlioli, e il marito l’ha mollato, e mi chiede, se posso trovarle lavoro, qualunque lavoro. “Ma io spero solo in Dio, perché in Lui ci credo!”. Appena nato il suo bimbetto, dissi, ما شأالله che vuol dire, “è quello che Dio ha voluto”, e così nessuno può sospettare invidie… e stasera, anche lei mi dice, mashaa’Allah come è bella!, guardando mia figlia, e penso a lei, ai suoi tre figlioli, a come senza soldi deve pagare settecento euro di affitto, e alla sua splendida fede che è l’unica arma che ha.
La settima vita è la mia, e io mi chiedo, cosa può fare per tutta questa piccola gente, e poi magari anche questa settima vita avrebbe profondamente bisogno di qualcosa, solo che non ho il tempo per chiedermi, di cosa.
* Miguel Martínez è nato a Città del Messico, è cresciuto in giro per l’Europa e soprattutto in Italia, ed è laureato in lingue orientali (arabo e persiano). Di mestiere fa traduttore e trascorre molto tempo in un giardino comunitario del borgo San Frediano Oltrarno di Firenze. Questo il suo mai banale blog.
Marco dice
Grazie