
Se guardo le donne di potere, quelle arrivate a ricoprire ruoli apicali e che decidono pertanto della vita di chi non arriva in nessun posto e spesso nemmeno alla fine del mese, mi chiedo cosa hanno in comune con le donne come me. Cosa hanno di diverso, rispetto agli uomini di potere, Ursula von der Leyen, presidente della Commissione europea, a Kaja Kallas, l’Alto rappresentante dell’Unione per gli affari esteri e la politica di sicurezza, Roberta Metsola, presidente del Parlamento europeo, Christine Lagarde, presidente della Bce, Giorgia Meloni, la nostra presidente del Consiglio. Niente. Nulla di diverso. Il paradigma è lo stesso, maschile, usato anche nel sostantivo del ruolo, da noi ci tiene a farsi chiamare “il presidente”, come se l’articolo femminile fosse una diminutio del potere, e per sgombrare ogni possibilità altra di esercitarlo.
Quindi per me pari sono, non sento nessuna affinità, figuriamoci una qualche pallida sorellanza.
Tutte riarmate. Tutte che si adattano e perpetuano il canone invalso. Tutte che ignorano la lezione della Woolf:
«Il modo migliore per aiutarvi a prevenire la guerra non è di ripetere le vostre parole e seguire i vostri metodi, ma di trovare nuove parole e inventare nuovi metodi».
L’Unione Europea dovrebbe professare la pace in tutte le direzioni possibili, è per questo che è nata, è per questo che nel 2012 le fu assegnato il Nobel per la pace. L’Unione Europea è un nome collettivo di genere femminile, perciò fa un po’ ribrezzo vedere le donne presidenti pronte a riarmarsi, per deterrenza dicono. Incapaci di balbettare una qualche proposta di pace e di disarmo.
Si usa dire “le donne” come se fossero una sola cosa, direbbe la mia amata Natalia, ma non è così. Non c’è niente in comune con queste donne di potere in tailleur, col loro modo di stare al mondo e di renderlo meno sicuro, proprio come da sempre ha fatto la maggioranza degli uomini.
Auguri. Ne abbiamo bisogno.
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C’è una tendenza all’interno del pensiero liberal, che vuole farsi portavoce delle questioni civili e dei diritti, inglobando anche le istanze femministe, ma che rimuovendo, invece, la questione sociale, sposta in altro ambito, quello del carrierismo e delle apparenze, la problematica evidenziata dai femminismi. La messa in discussione, nel privato come nel pubblico, dei ruoli prestabiliti da una concezione atavica della società è la vera forza destituente e ricostituente di un movimento transgenerazionale che continua a lottare per l’emancipazione delle menti e dei corpi. Ripensare le relazioni e con essa l’intera (sovra)struttura societaria.