“Il potere è prima di tutto un groviglio, il cui senso è essere un groviglio, cioè qualcosa impossibile da sbrogliare… Dei soldi accumulati dal potere non sappiamo nulla. Navighiamo nel buio”. Secondo Riccardo Orioles, giornalista tra i più esperti di mafia, il potere è sempre più fuori da qualsiasi controllo. Catania, ad esempio, spiega Orioles, oggi “è prima di tutto una città surreale…, il potere è in mano ad alcune famiglie, poi ci sono molti mercanti con le mani in diversi affari, infine, c’è la malavita organizzata. Ecco, in realtà, Catania è per molti aspetti una città tipica italiana di questo tempo”. Ma c’è un altro problema più complesso con cui fare i conti, nelle periferia di Catania come nel resto del mondo: “L’omologazione dei luoghi e del pensiero è un fiume in piena…”. Da dove cominciare per alimentare il coraggio di lottare? Ad esempio dal movimento che con ostinazione da anni lotta per il riuso dei beni confiscati alla mafia

Questo articolo fa parte dell’inchiesta su Catania, Lapilli di comunità

Per allargare lo sguardo su Catania, abbiamo scambiato due chiacchiere con Riccardo Orioles, uno dei più autorevoli giornalisti antimafia, fondatore con Pippo Fava nel 1982 del mensile I siciliani, edito a Catania. Da qualche anno quella rivista – tra i primi giornali a denunciare le attività di Cosa Nostra – ha ripreso vita on line, anche grazie a Riccardo Orioles, con I siciliani giovani (sottotitolo della testata: “A che serve vivere, se non c’è il coraggio di lottare?”), sviluppando una rete di piccole realtà editoriali indipendenti. La sede de I siciliani giovani dal 2017 è un piccolo immobile, confiscato alla mafia, con un giardino sito in via Randazzo, a Catania.
Al di là dello sguardo della politica istituzionale, oggi Catania che tipo di città è?
È prima di tutto una città surreale. Provo ad essere molto schematico: il potere è in mano ad alcune famiglie, poi ci sono molti mercanti con le mani in diversi affari, infine, c’è la malavita organizzata. Ecco, in realtà, Catania è per molti aspetti una città tipica italiana di questo tempo… Naturalmente resta una città importante per dimensioni e attività, come lo sono ad esempio Genova o Bologna.
In questo orizzonte, c’è qualche esperienza significativa che tenta di ricucire le relazioni sociali?
Certo, penso ad esempio ai beni confiscati alla mafia che sono spesso abbandonati e vandalizzati. In alcuni casi sono ancora occupati dai mafiosi. Eppure esistono dei beni che riescono a trovare nuova vita e vengono restituiti alla comunità, grazie all’azione di molti giovani: è accaduto a Palagonia, comune situato al margine sud della piana di Catania. Negli ultimi anni con la rivista “I Siciliani giovani” e l’Arci, insieme ad altre associazioni, abbiamo visitato e censito centinaia di beni confiscati in Sicilia: il simbolo di questo percorso è una bottiglia d’olio, realizzata con le olive trovate in un bene confiscato proprio a Palagonia. Le olive erano state raccolte dai mafiosi che lo avevano occupato fino alla nostra denuncia. Quell’olio buono è stato da poco consegnato ad alcune associazioni che si occupano di distribuire la spesa a nuclei familiari con difficoltà economiche, in quartieri come Librino e San Cristoforo a Catania, ma anche a Palagonia. Del resto in Sicilia c’è un movimento che si occupa di beni confiscati dagli anni Ottanta e raccoglie ormai persone di età molto diverse.
Fare informazione a Catania cosa significa?
Non c’è informazione a Catania come non c’è in tutta la Sicilia. Mi spiego: di coloro che sono al potere non sappiamo nulla. Il potere è prima di tutto un groviglio, il cui senso è essere un groviglio, cioè qualcosa impossibile da sbrogliare e che è fuori dal qualsiasi controllo e legge. Dei soldi accumulati dal potere, a Catania come nel resto del mondo, non sappiamo praticamente nulla. Navighiamo tutti nel buio e ogni tanto ci scontriamo con un iceberg, cioè con un atto isolato di arroganza del potere, più visibile di altri, e ci illudiamo di contrastarlo. Un esempio recente è il caso di Micromega, rivista che non amo, ma che verrà brutalmente chiusa a fine mese dal suo editore, il gruppo Gedi, cioè dalla famiglia Agnelli. Non solo le ragioni di quella decisione non sono chiare e non sono motivate, ma il vero scandalo è che un padrone ti può licenziare quando e come vuole e fartelo sapere con due righe: “Gentili Signori, vi informiamo che dalla data del primo gennaio 2021, Gedi Gruppo Editoriale S.p.A. cesserà la pubblicazione del periodico MicroMega. Cordiali saluti”...
Vuoi dire che mancano prima di tutto delle buone inchieste giornalistiche?
Ti racconto un episodio che mi è capitato qualche anno fa. Ho partecipato a un dibattito come tanti promosso a Roma, dedicato ai temi dell’antimafia. Tra i relatori c’era Luciano Violante. Durante l’incontro ho preso parola anche io per parlare di una famiglia mafiosa. A fine dibattito ho salutato alcune persone, sono andato a prendermi un gelato in piazza Esedra e sono tornato a casa. Prima di cena ho controllato la posta elettronica: c’era un messaggio scritto in inglese dai un gentile giornalista di Budapest, che non conoscevo, e che mi chiedeva qualche notizia della famiglia… citata nel dibattito. Erano trascorse meno di tre ore. Quella volta ho avuto davvero molto paura. Non so come sia stato possibile e chissà quante cose non so di quella famiglia. La maggior parte delle mie indagini portate avanti negli ultimi anni è finita con un non lo so… L’informazione indaga sempre meno e quando lo fa purtroppo raramente è in grado di far emergere questioni importanti e collegate tra loro. Di sicuro il mondo si rinnova continuamente e velocemente ed è complicato ragionare. È una situazione standard in tutto il pianeta.
La pandemia cosa ha svelato di Catania e del suo territorio?
C’è un’immagine che può rappresentare la pandemia a Catania: è marzo e un capannello di persone sono in strada, in fila, distanziati, davanti all’ingresso di un supermercato. Ovviamente l’immagine di persone in fila davanti a un supermercato è comune a migliaia di altre città di tutto il mondo… Il punto è proprio questo: per molti aspetti, perdonami il ragionamento un po’ rozzo, Catania non esiste più, le differenze con altre città si riducono sempre di più anche se magari da queste parti ci divertiamo a recitare la parte dei siciliani… Tutto è banale, l’omologazione dei luoghi e del pensiero è un fiume in piena. Abbiamo sempre meno la capacità di leggere in profondità la realtà e le persone: il mondo sembra non interessarci più.
LEGGI ANCHE L’olio buono