Nella baracca chiamata Scola Jungla dalle bambine e i bambini di Scampia, per molti anni si sono consolidate prima di tutto le relazioni tra le persone, abitanti del quartiere e della città, e si è cercato di costruire le condizioni favorevoli alla partecipazione, attraverso iniziative culturali e sociali che ancora oggi proseguono anche se la baracca, che a tanti bambini sembrava un castello, non c’è più. Per ragionare di territori bisognerebbe sbirciare tra alcuni albi illustrati come quello curato da Giovanna Pignataro con le illustrazioni straordinarie di Tiziano Squillace, “Chi rom e chi no”

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Fammi giocare. La città e il gioco
Quando nelle favole si parla di un castello, si pensa a una grande casa in pietra circondata da prati e alberi, con torri, merli, scale a chiocciola, stanze alte con ampie finestre e portoni ad arco. Quello tirato su in un campo rom della periferia di Napoli vent’anni fa da un gruppo di giovani con la macchina rossa non assomigliava a un castello. Per tanti era solo una baracca abusiva in campo abusivo. Tranne per Anna, una bambina che non andava molto bene a scuola ma a cui piaceva ascoltare storie belle, di principesse, principi e castelli e che da qualche tempo aveva cominciato a frequentare quel campo.

Di certo intorno a quella baracca è nata a suo modo una favola fatta di amicizie, feste, libri, giochi, merende. E fantastici cortei di carnevale. La costruzione di quel luogo di incontro insieme alle persone che abitavano il campo, per l’associazione “Chi rom… e chi no” di Scampia è stato prima di tutto un atto politico. Nella baracca, chiamata Scola Jungla dalle bambine e i bambini, per molti anni, con enorme difficoltà, si sono consolidate prima di tutto le relazioni tra le persone, abitanti del quartiere e della città, e si è cercato di costruire le condizioni favorevoli alla partecipazione, attraverso iniziative culturali e sociali che ancora oggi proseguono anche se la baracca non c’è più. Da allora a Scampia e in altri territori si alimentano in molti modi diversi con i rom importanti riflessioni e azioni sul tema dell’abitare, sul superamento dei campi – nati, a Napoli come in altre città, come risposte “emergenziali” a situazioni confuse e diventati le soluzioni abitative definitive -, sulla riqualificazione creativa dal basso degli spazi pubblici, sulla relazione tra territorio e scuole, sul bisogno di restituire le città ai bambini e alle bambine.

Nello bellissimo albo illustrato di Giovanna Pignataro Chi rom e chi no, edito da Marotta&Cafiero (casa editrice nata a Scampia) e accompagnato dalle illustrazioni straordinarie di Tiziano Squillace, tra l’altro, si legge:
Da quando c’è la baracca, vengono spesso altri gagé nel campo.
Si sta tutti insieme, si gioca, si impara, si racconta.
Una volta addirittura hanno portato il teatro nel campo:
una cosa mai vista!
Quando vengono, portano da mangiare
e anche la mamma di Julia e le altre donne
preparano dei dolci per tutti.
È sempre un po’ una festa
e la sera i giovani gagé sono molto stanchi,
ma è perché fanno tante cose.
Il libro è liberamente ispirato alla storia dell’associazione, raccontata agli autori dai suoi veri protagonisti. Come Julia, che in quel campo è nata, e Anna, che invece vive in uno dei palazzoni di Scampia, quartiere raccontato dai grandi media solo per gli alti livelli di disoccupazione e dispersione scolastica e per la presenza di gruppi criminali.

Un giorno, si legge nel libro, al campo sono venuti dei giovani gagè e hanno detto a Julia e agli altri bambini che potevano stare insieme a loro per fare i compiti e giocare. “Sono stati lì tutto il pomeriggio. È stato bello, c’erano anche altri bambini delle case nuove…”. Nello stesso periodo quel gruppo di giovani sono andati sotto al palazzo di Anna e hanno detto a tutti che potevano dare una mano ai bambini per i compiti, ma prima di tutto per giocare e imparare con loro cose nuove, “non solo le cose di scuola”. A giocare c’erano anche i bambini del campo rom vicino.

Insomma, quella di Chi rom e chi no è una storia che, lentamente, cerca di percorrere strade nuove per rompere le diffidenze, le chiusure, il razzismo favoriti dai “campi nomadi” e nello stesso tempo di superare la relazione assistenziale prevalente tra gagé e rom. In realtà i vent’anni di questa associazione hanno soprattutto riempito di significati nuovi parole-concetto importanti come territorio, partecipazione, pedagogia, comunità, perfino speranza. Per questo bisognerebbe far conoscere quel libro in tanti territori.
Una volta all’anno arriva il corteo di Carnevale,
con le maschere, i tamburi, l’allegria,
tutto si colora e sembra che
ci sia speranza…