Pensare alla scuola come un luogo nel quale si coltiva ogni giorno il futuro significa spalancare finestre che a volte restano chiuse per molto tempo e per questo dimenticate. Significa, ad esempio, essere consapevoli che gli edifici scolastici sono delle comunità e dei comuni e non dei dirigenti scolastici; significa aprire sempre di più la scuola al territorio; significa anche costruire percorsi per affidare ai genitori la gestione dei locali negli orari extrascolastici e avviare occasioni di apprendimento con e per gli adulti. Significa, prima di tutto, occuparsi del bene comune e dunque imparare ad attribuire più importanza ai processi che ai risultati. Intervista a Lucia Portolano, dirigente scolastica dell’I.C. Sant’Elia/Commenda di Brindisi
Questo articolo fa parte dell’inchiesta Brindisi alla scuola aperta
In un recente incontro pubblico con insegnanti, genitori e realtà del territorio ha detto che gli edifici scolastici sono dati in prestito a chi la scuola la vive ogni giorno. Cosa significa esattamente?
Gli edifici scolastici sono di proprietà comunale, infatti la loro manutenzione spetta all’ente locale. Tutti gli operatori scolastici, dal dirigente al collaboratore scolastico, in orario prevalentemente antimeridiano, utilizzano gli spazi degli edifici per organizzare un servizio di utilità sociale e culturale che riguarda il futuro dei giovani. Sarebbe bello mantenere sempre aperti gli spazi della scuola per attività di vario tipo: rinforzi pomeridiani, studio assistito, attività ludico-ricreative per alunni e genitori, seminari tematici… Il problema è la gestione di tutto l’impianto organizzativo: chi apre i cancelli della scuola nel pomeriggio? Chi vigila sul rispetto degli ambienti e degli arredi? Chi igienizza e pulisce a fine attività? La gestione degli spazi scolastici affidata ai genitori appare una strada da percorrere, ma è molto in salita: è necessario far precedere una tale assunzione di responsabilità da un processo di consapevolezza che conduce all’idea di bene comune inteso come bene da tutelare, proteggere, perché appartiene a tutti e tutte. Occorre essere sinceri: a Brindisi si è ancora lontani dal raggiungimento di questo obiettivo, perché i genitori, anche se molto giovani, sono distratti da altre priorità.
Perché l’Istituto comprensivo Sant’Elia/Commenda ha aderito a un progetto di Scuola aperta e partecipata? Quali forme prenderà questa adesione?
L’Istituto Comprensivo Sant’Elia/Commenda ha aderito naturalmente al progetto Scuola aperta e partecipata in rete, poiché da diversi anni realizza il raccordo con il territorio attraverso accordi di rete, formalizzati e non, con lo scopo di dare centralità, valore e visibilità all’operato dei docenti, che, nella maggior parte dei casi, rappresentano punti di riferimento importantissimi per la crescita formativa dei bambini del quartiere. Molte criticità, nel tempo e grazie a questa apertura, sono state risolte, penso per esempio alle continue assenze dei bambini già nelle classi della primaria oppure alla scarsa frequenza del tempo mensa. Nei plessi con le classi a tempo pieno, i docenti hanno coinvolto i genitori nei laboratori didattici, proprio per far vedere loro che il tempo scuola pomeridiano è tempo di crescita formativa a tutti gli effetti. I genitori vanno educati al rispetto di un’istituzione importante come la scuola e vanno formati sui valori base della cittadinanza attiva. Riportarli a scuola è l’obiettivo che vorrei raggiungere nel breve periodo, anche attraverso l’adesione al progetto di Scuola aperta e partecipata.
Da un presidio sociale importante come la scuola, che tipo di periferia appare oggi Sant’Elia?
Sant’Elia è un quartiere con potenzialità di altissimo livello per l’eterogeneità sociale e culturale, per la numerosità degli abitanti, per gli spazi verdi e abitativi, per la presenza di impianti sportivi di vario tipo. La presenza della cooperativa “Legami di Comunità” sta favorendo la collaborazione e la partecipazione dal basso e ciò sta aiutando la scuola. Facendo una riflessione su come è cambiato nel tempo l’atteggiamento dei genitori nei confronti della scuola, posso dire che gli sforzi di tutti stanno producendo i primi risultati: i genitori non arrivano a scuola urlando contro il dirigente o i docenti, ma chiedendo di parlare con il dirigente o con i docenti. Certo, c’è ancora tanto da fare…
Intanto i recenti dati diffusi dall’Osservatorio #conibambini ricordano che la Puglia registra il 17,9% di abbandono scolastico, contro il 13,5% di media nazionale, e il 30% di Neet di giovani tra i 15 e 29 anni, contro il 22% di media nazionale. La scuola aperta e partecipata può contribuire a contrastare la crescita della povertà educativa?
Non basta aprire la scuola per incidere sulla povertà educativa. Come dicevo prima, è necessario educare i genitori; bisogna riportarli a scuola. I titoli di studio dei genitori dei nostri bambini si attestano sulla quinta primaria, terzo anno della secondaria; alcuni non hanno mai conseguito la vecchia licenza media… Questo spiega perché molti bambini e bambine nel pomeriggio non vengono seguiti nei compiti: i genitori non possiedono gli strumenti per farlo, ma non sentono nemmeno il bisogno di migliorare la propria condizione culturale. Su questo bisogna intervenire; è necessario far nascere nei genitori il bisogno di studiare, conoscere e approfondire. L’apprendimento per tutta la vita deve diventare una condizione essenziale per diventare cittadini consapevoli. È la società che ce lo impone. Quasi automaticamente, si perpetuano meccanismi di disagio che la scuola accoglie, nella consapevolezza che tale disagio nasce nella famiglia. Per questo, la scuola ha un ruolo importantissimo nella vita dei bambini, ma non può sopperire a tutto.
Nel libro Chiamare le cose con il proprio nome, la scrittrice Rebecca Solnit, scrive: “Coltivare la speranza significa pensare che il futuro è imprevedibile e che noi non possiamo sapere cosa accadrà, ma sappiamo che potremmo essere in grado di incidervi in prima persona”. È d’accordo?
Condivido. La scuola è senz’altro il luogo all’interno del quale si coltiva il futuro. Chi sceglie di stare nella scuola, di fare la scuola, coltiva sempre la speranza di incidere sulle generazioni che prova a formare. Lavorare dando un senso alle ore spese e alle energie profuse è ciò che ci fa andare avanti. Sicuramente non vedremo i risultati nel breve periodo, ma piccoli segnali di miglioramento si colgono e si continueranno a cogliere. Questo è importante: il processo attivato e non il risultato raggiunto.