Non servono eserciti nelle periferie italiane. Secondo Carlo Cellamare, docente di urbanistica e direttore del Laboratorio di Studi Urbani “Territori dell’abitare” presso l’Università “La Sapienza” di Roma, da Tor Bella Monaca a Scampia non bastano interventi di riqualificazione edilizia e urbanistica, serve prima di tutto riconoscere la presenza di esperienze attive sui territori, dalle associazioni ai gruppi informali di abitanti passando per reti di mutualismo, cooperative sociali, singoli abitanti, insegnanti ed educatori. Serve sostenere le scuole che si aprono alla città. Servono tante e diverse iniziative culturali e sociali. Ma serve anche un racconto differente per contrastare la stigmatizzazione di certi quartieri
In questi giorni abbiamo assistito all’ennesima farsa, che ha pure risvolti drammatici, con le grandi manovre delle forze dell’ordine in alcuni quartieri delle periferie italiane, soprattutto romane e napoletane, tra cui Tor Bella Monaca, dove lavoriamo da molti anni come laboratorio universitario in percorsi di ricerca-azione con le realtà locali. Sappiamo tutti che questo è un modo distorto e strumentale di intervenire, che non porta niente di buono e utile, anzi alimenta effetti negativi, ma bisogna pur dire qualcosa ancora una volta – nonostante ormai lo ripetiamo da anni e lo ripetono tutti quelli che lavorano seriamente in questo campo – non foss’altro che per esternare la propria frustrazione (e di tanti come noi impegnati nelle varie periferie romane e italiane), ma soprattutto per esprimere con forza la nostra solidarietà ed il nostro supporto a quelle realtà (associazioni di vario tipo, gruppi informali di abitanti, reti di mutualismo, cooperative sociali, terzo settore, fondazioni e privato sociale, singoli abitanti, insegnanti ed educatori, movimenti, ecc.) che da anni lavorano in questi contesti con serietà, impegno e grandi fatiche seguendo ben altre strade e ben altri approcci.
Bisogna anche dare una diversa narrazione e contrastare quella ricorrente e d’effetto di alcuni cattivi organi di informazione, che restituisce un’immagine solo negativa di questi quartieri, tutta fondata su parole d’ordine come degrado, decoro e criminalità, contribuendo alla loro stigmatizzazione, frustrando qualsiasi possibilità di pensarsi diversamente e negandogli la possibilità di un futuro differente. Le realtà locali vivono la frustrazione di una subalternità nei confronti dei mass media, di non riuscire, cioè, a veicolare un’informazione e un’immagine differenti, nonostante i loro sforzi. Le loro opinioni diverse vengono marginalizzate. I loro commenti critici rispetto a informazioni non corrette vengono bloccati sui siti.
Sebbene quindi si tratta di cose note bisogna ripeterle a chiare lettere. Sono cose ben note persino a quelle amministrazioni (come quella romana) impegnate, tra mille difficoltà, nella riqualificazione delle periferie, con progetti finanziati dal PNRR che sono ora sotto la spada di Damocle del definanziamento, nonostante il governo tenti di rassicurare che troverà altri fondi (senza dire quali). Alimentando così una più grande incertezza (che va in tutt’altra direzione rispetto ai proclami) e la radicata convinzione negli abitanti che nulla cambierà.
Bisogna quindi ribadire alcuni punti centrali.
In primo luogo, i problemi delle periferie, soprattutto dei quartieri di edilizia residenziale pubblica, non si risolvono con gli interventi di ordine pubblico (sebbene questi possano avere una loro utilità in alcuni momenti), ma neanche soltanto con interventi che mirano alla riqualificazione edilizia e urbanistica, sebbene questi siano importantissimi perché comunque migliorano le condizioni materiali di vita degli abitanti. Pensiamo alle condizioni di molti alloggi (quello sì è degrado), invasi dalle infiltrazioni o dalle risalite dalle fogne, che sono letteralmente invivibili. Pensiamo alle condizioni degli spazi pubblici e delle aree verdi, spesso mantenuti in condizioni accettabili dagli abitanti in assenza del pubblico, spesso contesi tra gli spacciatori e i gruppi di abitanti, soprattutto le madri, che cercano di difenderli per permetterne un uso ordinario, soprattutto ai bambini. Ma ci vuole ben altro. Ci vogliono servizi, attrezzature, attività culturali, sostegno reale alle scuole (e agli insegnanti impegnati) che sono oggi l’ultimo presidio pubblico in questi contesti, accompagnamento delle numerose famiglie in difficoltà, sostegno agli anziani e a chi ha difficoltà di accesso ai servizi sociosanitari, ecc.. Ci vuole tutto quello che rende “accessibile” il diritto alla città e all’abitare, con le sue opportunità, superando le enormi disuguaglianze che esistono. Ma soprattutto, in un complessivo approccio integrato, bisogna sostenere il lavoro e l’occupazione, con particolare attenzione alle economie locali. Le economie criminali prosperano dove più forte è la povertà e dove spesso rappresentano una delle poche alternative alla mancanza di reddito. È questo il terreno più importante di impegno. In questi quartieri quello che chiedono sempre gli abitanti e le realtà sociali sono “casa e lavoro”.
In secondo luogo, bisogna riconoscere la presenza di realtà attive sui territori, impegnate in una grande battaglia da molti anni. Sono spesso queste le realtà che permettono la realizzazione di progetti di reale riqualificazione (pensiamo a Scampia o ai Quartieri Spagnoli, ad esempio). A Tor Bella Monaca sono attive tante realtà, il Cubolibro (con una biblioteca pubblica autorganizzata), “el Chéntro” sociale, Libera, il “polo ex-fienile”, e tante altre; è attivo il primo “patto educativo di comunità” costituito fuori GRA a Roma; vi sono molte iniziative sociali e culturali; alcune realtà sono impegnate nel presidio del territorio e nella lotta alla criminalità organizzata; un gruppo di madri gestisce una ludoteca autorganizzata; sono in corso importanti progetti di riqualificazione da parte di Roma Capitale. Con il supporto di una fondazione è stata realizzata la riqualificazione di una scuola (l’I.C. Melissa Bassi proprio a via dell’Archeologia) e dei suoi spazi esterni da condividere col quartiere, ed è in corso quella di un grande spazio pubblico, polifunzionale, con la collaborazione degli abitanti e delle realtà locali, già iperutilizzato ancor prima che sia completato. Tra l’altro i due aspetti ricordati sono strettamente legati. Un approccio integrato non può essere sviluppato senza l’impegno delle realtà locali come protagonisti.
Gli interventi come quelli del governo nei giorni scorsi hanno un effetto contrario rispetto a tutto il lavoro fatto. Deprimono le energie spese e i progetti realizzati e in corso, non riconoscendogli adeguato valore. Con questi interventi spot che non risolvono nulla e che si concentrano soltanto in alcuni punti e in alcune vie (lasciando il resto dei quartieri nelle condizioni di sempre), a cui seguono giorni in cui si ritorna subito a come era prima, non si fa altro che alimentare la convinzione che nulla cambierà e che gli interventi delle istituzioni sono solo di facciata e non reali. Rendendo ancora più difficile il lavoro di quelle realtà che proprio sul coinvolgimento degli abitanti si fondano, sulla ricerca di dignità, sulla responsabilizzazione e il senso di rivalsa.
Bisogna imparare a lavorare dentro i territori, con politiche strutturali di lungo periodo, con un approccio integrato, accompagnando i processi e soprattutto sostenendo le realtà impegnate nei territori, che rappresentano i veri anticorpi sociali per affrontare i grandi problemi e le grandi disuguaglianze esistenti.
Carlo Cellamare è docente di urbanistica presso l’Università “La Sapienza” di Roma e direttore del Laboratorio di Studi Urbani “Territori dell’abitare”, Nell’archivio di Comune-info i suoi articoli sono leggibili qui.
Questo testo è stato inviato anche a il manifesto
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