Abbiamo bisogno di andare molto oltre la scuola, dicono gli autori di Scuola sconfinata (di cui pubblichiamo un capitolo). I patti educativi di comunità possono aiutarci perché non organizzano le risorse presenti in un territorio, ma sono al tempo stesso il frutto di relazioni già esistenti e un loro moltiplicatore. La comunità educante che prende forma intorno a un patto non si occupa di bisogni speciali ma di desideri di esperienze speciali e della presa in carico delle situazioni di maggior fragilità. Chi possono essere gli attori e le attrici di questi patti, insieme all’istituto scolastico pensato come centro di una didattica diffusa? Non solo associazioni, cooperative sociali, gruppi informali ma anche centri di produzione culturale, chi fa agricoltura sociale in città, chi gestisce fab-lab o falegnamerie di quartiere, insomma ambienti di apprendimento che possono offrire “un contributo decisivo al ripensamento della didattica, alla definizione di modelli di scuola fuori dalla scuola”, risorse “per praticare il nesso tra educazione ed esperienza”. Si tratta di mettere in gioco la città “non allestendola come spazio complementare alla scuola (un po’ di outdoor education, una passeggiata di quartiere, la classica visita di studio), ma come spazio altro rispetto alla scuola, facendo del corpo della città un corpo insegnante…”. Quali sono le azioni in grado di far nascere patti territoriali significativi? Incontrare, raccontare e ascoltare
Patti di comunità per una educativa diffusa e coordinata
“Io sono felice anche a scuola. La felicità è una cosa generale. Sono felice quando entro in classe perché vedo tutti i miei amici. I miei genitori vanno al lavoro alla mattina e perciò io vado con una mia amica e mia madre porta la mia amica con me a casa: quando andiamo e quando torniamo mi fa piacere, con lei mi diverto, rido” (Gabriele, 11 anni)
È possibile far entrare nella consuetudine, nella prassi “normale” della gestione delle scuole una relazione virtuosa con gli enti locali, il territorio, il terzo settore, il volontariato mantenendo la propria centralità nel sistema della pubblica istruzione? Un Patto educativo di comunità si realizza a monte dei tavoli e delle reti, sancisce l’alleanza tra gli adulti che hanno cura dell’educazione e tra questi e le giovani persone. Si tratta di restaurare un’alleanza primaria che va molto oltre la scuola, in quanto riguarda il patto intergenerazionale su cui si regge la continuità di una civiltà.
Il termine comunità è molto diverso da “tavolo di negoziazione”, contratto, rete perché riguarda un tipo di interazione umana basato sulla reciprocità, ossia sullo scambio di significati e sullo sviluppo di relazioni di interdipendenza.
I Patti educativi di comunità sono una condizione necessaria e indispensabile della Scuola Sconfinata.
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Possono essere declinati nella comunità classe, nella comunità scuola, in ciò che è intorno alla scuola, nel quartiere, fino al municipio/circoscrizione per arrivare a livello comunale o degli Uffici di Piano che associano diversi comuni.
Il Patto educativo di comunità sancisce la collaborazione tra istituzioni scolastiche pubbliche, istituzioni sociosanitarie, imprese sociali, associazioni, gruppi informali e in generale la popolazione del territorio, al fine di costruire una comunità educante capace di sostenere l’apprendimento cooperativo, laboratoriale, partecipato e solidale per tutti i giovani (0-18 anni) del territorio.
L’obiettivo principale del Patto è quindi di garantire il carattere pubblico dell’istruzione e dell’educazione ovunque e comunque si realizzino. In questo senso il Patto garantisce contemporanea mente il diritto costituzionale all’istruzione e il diritto altrettanto forte a vedere rispettate le proprie peculiarità individuali e culturali. A tal fine il Patto agisce a molti livelli per sostenere lo sviluppo di comunità e insieme la crescita personale individuale.
Il Patto si basa sulla considerazione dell’unicità di ciascuno, dall’attenzione a qualsiasi forma di disagio, sia derivato da sofferenze di origine sociale come la povertà e l’emarginazione, sia come effetto di incomprensioni e difficoltà nelle relazioni familiari e/o tra pari, collegabili ad angosce esistenziali relative alla crescita che possono coinvolgere indiscriminatamente i giovani a prescindere dalle situazioni di agio o disagio.
Il carattere pubblico delle istituzioni educative – siano esse gestite con risorse statali o con risorse private – deriva dalla loro capacità di rivolgersi a tutte e tutti senza uniformarsi ma sostenendo le peculiarità individuali. I Patti educativi di comunità sono in questo senso espressione di una capacità di co-progettazione, integrazione di competenze e corresponsabilità educativa di tutta la comunità.
Questi strumenti di partecipazione, più o meno formalizzati, sono già attivi in molti territori e sono frutto della sensibilità di singole insegnanti 1dirigenti scolastici, amministratrici dell’ente pubblico che hanno saputo creare sinergia tra scuola, enti non profit, altre istituzioni pubbliche e in alcuni casi anche enti profit, dando legittimità, coerenza, continuità educativa agli apprendi menti formali e informali descritti nel capitolo sulla Didattica per una Scuola Sconfinata.
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Dal punto di vista istituzionale il Patto educativo di comunità è uno strumento introdotto dal Ministero dell’Istruzione nel giugno 2020 dopo il lavoro della commissione presieduta dall’attuale ministro Patrizio Bianchi per produrre linee guida relative alla riapertura delle scuole nel settembre 2020. Tale strumento era proposto per dare la possibilità a enti locali, istituzioni pubbliche e private, realtà del terzo settore e scuole di sottoscrivere specifici accordi, rafforzando così non solo l’alleanza scuola-famiglia, ma anche quella tra la scuola e tutta la comunità locale, che in questo modo può diventare pienamente ed effettivamente “educante”.
La scuola non abdica al suo ruolo di presidio culturale, formativo, educativo, ma, attraverso le relazioni che i patti le garantiscono, lo potenzia, lo rafforza e lo innova. I Patti educativi di comunità sono, in questo senso, espressione di una capacità di co-progettazione, integrazione di competenze e corresponsabilità educativa di tutta la comunità. Il Patto vede l’istituto scolastico come luogo focale di incontro partecipato e di elaborazione dei saperi (formali, non formali, informali) prodotti e/o trasmessi nel territorio, ovvero come centro di una didattica diffusa che, come evidenziato in un altro capitolo di questo libro, sia capace di valorizzare e integrare tanto l’insegnamento magistrale quanto quello laboratoriale ed esperienziale, nel territorio prossimo e nel territorio globale rappresentato dal Web.
Questa impostazione metodologica, che permette di rappresentare la quotidianità e l’esplorazione del mondo come altrettanti compiti di realtà, è fondamentale per fare della scuola uno spazio attrattivo, di cura del bene comune e produzione di senso culturale, capace di promuovere la crescita di ciascuno e quindi anche di reintegrare bambine e ragazzi dispersi e prevenire ulteriori abbandoni.
Ma che cosa intendiamo per comunità? Utilizziamo questo termine per intendere una struttura caratterizzata da reciprocità, interdipendenza, solidarietà, apertura. Il Patto educativo di comunità si realizza quando in un’organizzazione sociale e istituzionale, quale è la scuola e quali sono le reti istituzionali più o meno esplicitamente collegate alla scuola, si stabiliscono vincoli di solidarietà basati sullo scambio significativo e sulla negoziazione dei contenuti e dei valori educativi.
Il Patto educativo di comunità non organizza le risorse esistenti, ma promuove lo sviluppo, è una struttura generatrice, un insieme maieutico che genera nuova umanità, persone sociali in grado di prendere posto attivo nella vita sociale. Grazie a esso bambine e ragazzi possono avvalersi del capitale sociale espresso da realtà differenziate presenti sul territorio – culturali, educative, artistiche, ricreative, sportive, parti sociali, produttive, terzo settore – arricchendosi dal punto di vi sta sia formativo sia educativo. Allo stesso tempo ciascuna di queste realtà può sviluppare molto le proprie competenze in termini di intenzionalità e coerenza educativa che parte da una co-progettazione e dalla costruzione di significati condivisi.
La comunità educante considera le giovani persone – da 0 a 18 anni – soggetti attivi e non solo destinatari, pertanto non fonda la relazione con loro su una lettura oggettiva dei bisogni, quasi che la giovane persona sia oggetto di intervento, ma mette al primo posto l’espressione dei desideri delle giovani persone, ossia l’espressione del cambiamento di sé anziché degli oggetti che popolano la sua vita. E non costituisce obiezione il fatto che esiste una fase in cui il bambino non parla: esistono figure specializzate in grado di ascoltare e leggere i desideri delle bambine anche in quella fase, e farsi portavoce dei desideri piuttosto che dei bisogni materiali che sono di fin troppo facile lettura. Per tutto questo noi diciamo che una comunità educante non si occupa di bisogni educativi speciali, ma di desideri di esperienze speciali destinate a soddisfare i desideri giovanili, come definito nel Patto educativo di comunità promosso da Maestri di Strada.
I Patti sono necessari a bambine e bambini, ragazze e ragazzi
Quello dei bambini e delle ragazze è un bisogno formativo ampio, cui la scuola, anche nel migliore dei casi, può dare risposte solo parziali. Essa è lo spazio e il percorso formativo cui accedono tutte le bambine e i ragazzi e che deve garantire loro un’esperienza di costruzione di sé e del proprio sapere in grado di sviluppare le competenze essenziali sugli alfabeti necessari a esercitare i propri diritti di cittadinanza, secondo quanto previsto dalla nostra Carta costituzionale, e la scuola si colloca dentro la rete senza un ruolo di regista unico.
Inoltre, la messa in rete di tutte le risorse ne consente la razionalizzazione e l’ottimizzazione. Si delinea, in tal modo, a livello locale una linea di politica minorile rivolta alla promozione del benessere, della salute di tutti i bambini e le ragazze, in termini di equità, a partire dai più deboli.
La priorità, infatti, in tempi in cui le criticità individuali e collettive si intrecciano e sovrappongono a causa dell’emergenza sanitaria e delle restrizioni che essa pone, è soprattutto la cura e la presa in carico delle situazioni di maggior fragilità. Grazie a quei circoli in cui la comunità si costruisce e progetta, si può lavorare per rimuovere le disuguaglianze di diversa natura e per prevenire e contrastare la crescente povertà educativa di cui ciascuno dovrebbe sentirsi responsabile.
I Patti sono necessari per dare concretezza all’idea di didattica sconfinata descritta nella Parte 1, per poter raggiungere l’equità nell’offerta formativa formale e informale. In questo senso i Patti svolgono anche funzione di sussidiarietà, come previsto dalla Costituzione e superano la concezione privatistica del Terzo settore o degli enti profit o non profit come alternativa al sistema pubblico.
La comunità diventa, in tal modo, educante perché fondata su un Patto educativo, che dà continuità, senso e valore unitario alle proposte delle varie agenzie, che promuove lo scambio e si impegna a una continua riflessione sull’agire, per permetterne il divenire e correggerne la rotta, e a ricercare coordinamento e integrazione nella sua azione di sostegno alla crescita della persona.
La costruzione di Patti educativi di comunità necessita di almeno due passaggi, nel primo si pongono le basi nel breve periodo per arrivare in una seconda fase alla realizzazione nel medio-lungo periodo di un Sistema Educativo Integrato Territoriale che impegni l’intera comunità, intesa come l’insieme di tutte le agenzie educative. Per andare concretamente in questa direzione, il nucleo che si costruisce intorno a questo percorso dovrà avere come condizione di partenza una riflessione sul significato stesso dell’idea di educare, formare, istruire e sul come ha senso accompagnare bambine e ragazzi verso una partecipazione consapevole alla comunità di cui fanno parte. Questi processi nascono attorno a tavoli di lavoro e progettazione facilitati da figure individuate allo scopo, per avviare percorsi virtuosi di valorizzazione delle risorse e di costruzione di una rete funzionale non solo dal punto di vista operativo ma anche da quello comunicativo e relazionale.
Realizzare pienamente i bisogni dei bambini e dei ragazzi delle nostre comunità implica un salto di complessità da parte di chi, per età e ruolo, ha maggiori responsabilità: si rende necessario costruire specifici percorsi di formazione di cui parliamo in altro capitolo di questo libro.
I Patti sono necessari a genitori e insegnanti. Le sfide della corresponsabilità educativa
Gli adulti che abitano la scuola sono tanti, come abbiamo visto nel capitolo Persone, ruoli, relazioni. Ripensare la formazione, ma è utile aprire un focus specifico sui rapporti tra genitori e insegnanti.
Negli ultimi quindici anni abbiamo assistito innegabilmente a una progressiva trasformazione socioculturale di queste relazioni verso varie forme di arroccamento e di distanziamento. Tali trasformazioni possono essere discusse attraverso vari punti di vista, tra cui, senza pretesa di esaustività, la questione del riconoscimento reciproco di ruoli e competenze, la gestione del potere, l’utilizzo delle parole e in termini più ampi i diversi significati dell’appartenenza a quella comunità educante di cui si par la in questo volume.
In questa logica è interessante pensare la relazione tra genitore e insegnante nell’ottica della corresponsabilità educativa come una tensione, in cui tutti gli adulti attorno al bambino nella scuola si predispongono a muoversi2 Non parliamo necessaria mente di definire visioni condivise o allineate, sarebbe probabilmente illusorio. Si tratta piuttosto di un incamminarsi intenzionale, dove il primo passo è quello della conoscenza reciproca, come persone, con il proprio mondo culturale specifico. Come in ogni processo di trasformazione è necessario un soggetto che inneschi l’avvio della relazione, che la imposti intenzionalmente. Indubbiamente l’insegnante può esprimere in modo sistematico questo impulso, interpretando così un aspetto del suo ruolo istituzionale. L’altro, il genitore, che normalmente le sta di fronte, potrebbe essere invitato a mettersi accanto. La corresponsabilità educativa, infatti, è una postura relazionale, parte dalla intenzionalità curiosa di almeno una delle parti, è paragonabile a un movimento direzionato, implica la necessità e la disponibilità a riconoscere la competenza e la cultura educativa dell’altra, nasce da un incontro culturale, anzi interculturale.
I contenuti delle relazioni nella prospettiva della corresponsabilità educativa rispondono a campi di significato che hanno carattere culturale: lo studio, la figura dell’insegnante, il ruolo del genitore nella scuola, il dovere, il rapporto tra insegnante e genitore, la voce della bambina, le relazioni nel digitale, lo spazio della DaD nella famiglia… Si potrebbe andare avanti all’infinito in questo esercizio di significazione dei temi possibili nel confronto/scontro tra genitori e insegnanti.
La dimensione interculturale, intesa nella sua accezione più ampia e corretta, ovvero oltre le interazioni tra aspetti etnico culturali differenti è una chiave interpretativa e operativa utile. Infatti, è fondamentale assumere la consapevolezza che nell’ambito di una scuola o addirittura di uno stesso gruppo classe le persone adulte siano portatrici di culture educative potenzialmente molto differenti, distanti o addirittura contraddittorie tra di loro.
Ponendosi in quest’ottica è necessario fare appello ad alcune competenze interculturali che l’insegnante deve poter sviluppare e mettere in atto3, grazie anche alla co-progettazione e al confronto con altre figure educative. Nell’incontro interculturale la capacità di interpretare le culture diverse dalle proprie si accompagna a quella di superare i pregiudizi e gli sguardi stereotipati, per provare a giungere alla capacità di costruire orizzonti culturali condivisi.
Un esercizio quanto mai utile e concreto per avviare relazioni nella direzione della corresponsabilità educativa consiste negli attraversamenti del mondo culturale altrui, l’esplicitazione e il dialogo sulle competenze educative proprie e degli altri. Raccontarsi attraverso ciò che si sa, si sa fare e si sa essere (non è detto che le persone siano sempre immediatamente in grado di compiere questa operazione sia in una posizione sia nell’altra), e contemporaneamente ascoltare la stessa narrazione dell’altra apre numerose porte. Ci si “costringe” a esplicitare i significati dei propri convincimenti e le pratiche educative. Allo stesso tempo questa operazione permette la legittimazione dei ruoli, dei confini dei campi di azione e degli sconfinamenti accettabili nei “territori” di competenza altrui. Va notato inoltre che la definizione dei campi di reciproca competenza, la loro porosità possibile, gli sconfinamenti accettabili, le radure dell’incontro, il confronto del dialogo non potranno mai essere definiti a priori, ma sono e devono essere sempre il contenuto principe della relazione.
D’altra parte, sono numerose le esperienze di effettivo riconoscimento delle specifiche competenze di adulte e adulti; si fa riferimento a casi in cui genitori – a livello individuale o in gruppo – concordano spazi d’azione della scuola, all’interno della scuola, non solo attraverso attività integrative o collaterali (organizzazione di eventi, giornate dedicate ai vari temi di salute, gestione della biblioteca…), ma anche attività articolate e strutturali, dove la scuola non è il soggetto gestore, ma è il campo di interesse e l’agente promotore, nella consapevolezza e nel riconoscimento che solo dei genitori in quell’ambito possono agire.
Oltre la corresponsabilità educativa: la cura educativa condivisa
Quello della scuola è uno spazio a più dimensioni in cui si intrecciano la cura, l’istruzione, la formazione di competenze di vita e professionali, l’educazione come empowerment e crescita personale e sociale. La compresenza di queste quattro dimensioni è già di per sé fonte di conflitto, perché le esigenze della cura o dell’educazione non necessariamente collimano nell’immediato, lo sviluppo delle competenze di base non sempre combacia con lo sviluppo delle competenze di vita. Potremmo dire che la “disarmonia” nello sviluppo delle diverse dimensioni del crescere va assunta come dato di fondo in quanto la complessità della vita contemporanea porta ciascuna giovane persona a sviluppare in modo diverso le diverse dimensioni del crescere. In questo quadro di complessità va individuato il terreno su cui deve con urgenza realizzarsi un’alleanza tra genitori e docenti, tra genitori e ogni altra figura in qualche modo preposta alla cura delle giovani persone.
Se è stato possibile che genitori e docenti, genitori e educatori si siano collocati su fronti opposti invece che uno accanto all’altro, ciò deriva proprio dal fatto che invece di mettere al primo posto la comunità come luogo di scambio o negoziazione dei significati, si è messo al primo posto la rappresentazione degli interessi, la delega alla rappresentanza democratica piuttosto che il lavoro di comunità. In questo senso alla “corresponsabilità educativa” intesa come estensione di una sorta di regolamento di istituto, va sostituita la tensione creativa attiva tra le diverse dimensioni dell’educare, principalmente tra la dimensione della cura e dell’affettività e le dimensioni della cognizione e del fare, tensione creativa che è anche la base della conversione in cooperazione della competizione e del conflitto tra “categorie” di educatrici che tirano da parti opposte il groviglio dei fili educativi.
La declinazione progettuale del Patto educativo nel contesto urbano
Chi saranno i protagonisti di questo ribaltamento di prospettiva? Chi saranno le attrici con cui costruire tali percorsi? Diversi sono gli interlocutori da intercettare: non solo il terzo settore, che già gestisce servizi sociali in regime di accreditamento con il soggetto pubblico, ma nuove protagoniste dell’innovazione urbana. Sono quelle che in Italia (a Milano in maniera rilevantissima negli ultimi anni) hanno prodotto innovazione urbana: chi ha aperto centri di produzione culturale nelle periferie; chi ha promosso centri di servizi per e con la comunità; chi fa agricoltura sociale; chi gestisce fab-lab o falegnamerie di quartiere. Sono ambienti di apprendimento, che lavorano per promuovere educazione partendo da pratiche e protagonismo sociale. Possono offrire un contributo decisivo al ripensamento della didattica, alla definizione di modelli di scuola fuori dalla scuola. Sono una risorsa promettente per praticare il nesso tra educazione ed esperienza, convocando la città come docente. Mettono in gioco la città, non allestendola come spazio complementare alla scuola (un po’ di outdoor education, una passeggiata di quartiere, la classica visita di studio), ma come spazio altro rispetto alla scuola, facendo del corpo della città un corpo insegnante.
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Una scuola avveduta dovrebbe aprire occasioni di confronto con queste esperienze. Le comunità educanti sono quelle che aprono un patto tra scuole e città su un piano di parità e di chiarezza, rompendo la barriera tra i saperi e fra questi e la vita4.
Naturalmente, tutto questo richiede condivisione e co-progettazione. Come in tante altre forme di relazione, quando si inserisce la dimensione progettuale, la prospettiva dell’essere insieme-per, quando si introduce la logica del co-costruire, in qualche modo questo muoversi, che è la ricerca della corresponsabilità educativa come tensione, è indotto e accelerato.
Non sono certo nuove le riflessioni riguardo i cambiamenti e le trasformazioni dei gruppi in gruppi di lavoro5, sebbene questi processi non accadano in modo magico e necessitino di sapiente accompagnamento, di attenta osservazione e costante cura. Per questo motivo, per lo sviluppo dei Patti di comunità occorre un figura professionale specifica che sappia facilitare la comunicazione, raccogliere bisogni, favorire legami, sottolineare i punti di forza di ciascuno, che sia capace di far crescere il gruppo intorno a un obiettivo condiviso.
Lavorare insieme per costruire, per modificare gli spazi in terni ed esterni delle scuole, per immaginare e regolare i loro utilizzi sono campi di sperimentazione reale di corresponsabilità educativa e al tempo stesso si offrono come occasioni preziose di formazione degli insegnanti su questi temi. Siamo di fronte, quindi, a una grande sfida non certo affidabile alla volontà o alla capacità dei singoli, ma che deve essere raccolta in modo strutturale e competente. Una sfida che abbraccia dimensioni preventive in ogni contesto e curative, laddove gli strappi sono avvenuti o dove le relazioni non si sono mai attivate veramente. Una sfida aperta alla dimensione della progettazione in cui i diversi soggetti trovino il proprio spazio possibile di azione riconosciuto e valorizzato dagli altri.
Capitolo tratto da Scuola sconfinata. Proposta per una rivoluzione educativa Nella parte del finale del testo, scaricabile gratuitamente, vengono segnalati il patto educativo della sesta municipalità di Napoli, il patto del progetto QuBi di contrasto alle povertà promosso a Milano e le azioni previste dai patti educativi di comunità nella Zona sociale 3 dell’Umbria.
Alcuni consigli per approfondire
G. Del Bene, A.L. Rossi, R. Viaconzi, La Comunità Educante. I Patti educativi per una scuola aperta al futuro, Fabbrica dei Segni editore, Novate Milanese 2021.
P. Dusi, La comunicazione docenti-genitori. Riflessioni e strumenti per tessere alleanze educative, Franco Angeli, Milano 2012.
F. Frabboni , F. Pinto Minerva, Manuale di pedagogia e didattica, Editori Laterza, Roma-Bari 2013, pp. 262-284.
C. Melazzini, a cura di C. Moreno Insegnare al principe di Danimarca. 11 anni di esperienze di una comunità educante, Sellerio, Palermo 2011.
C. Moreno e S. Parelli (a cura di), Sconfini dell’educazione. Quando irrompono emozioni violente nel lavoro educativo, edizioni La Meri diana, Molfetta 2018.
V. Vivoli e C. Migani (a cura di), La scuola va nella comunità, in Promuovere benessere nelle scuole: esperienze e prassi a confronto, Carocci editore, Roma 2007.
P. Vittoria, L’educazione è la prima cosa! – Saggio sulla comunità educante, Società Editrice Fiorentina, Firenze 2017.
P. Mottana, G. Campagnoli, Educazione diffusa. Istruzioni per l’uso, Terra Nuova Edizioni, Firenze 2020.
S. Tramma, Pedagogia della comunità. Criticità e prospettive educative, Franco Angeli, Milano 2009.
Note
1 Come spiegato nell’Introduzione, abbiamo voluto mettere particolare attenzione alla questione del maschile universale che caratterizza la lingua italiana. Pur consapevoli che non sia una soluzione perfetta, abbiamo deciso di usare il femminile e il maschile in maniera intercambiabile, trasformandoli in femminile e maschile universale (per esempio bambina, ragazza indicano anche bambino, ragazzo e viceversa), per sottolineare la necessità di una società inclusiva e paritetica e quanto le parole diano corpo ai pensieri.
2 Sul concetto di corresponsabilità educativa si vedano tra l’altro P. Cardi nali, L. Migliorini, Scuola e famiglia. Costruire alleanze, Editore Carocci, Roma 2013; S. Matteoli, M. Parente, Il Patto educativo. Proposte e strumenti per costril ire relazioni positive tra insegnanti e famiglie, Editore Franco Angeli, 2014; S. Lawrence-Lightfoot, Dialoghi tra genitori e insegnanti. Una conversazione essen ziale per imparare uno dall’altro, Edizioni Junior, Reggio Emilia 2012.
3 P. Reggio, M. Santerini, Le competenze interculturali nel lavoro educativo, Carocci, Roma 2014.
4 Questo sarebbe anche un modo per ripensare la tradizione delle scuole civiche. A tale proposito, vi sono esperienze in corso, promosse dal Comune di Milano, come la Scuola dei Quartieri (https://www.lascuoladeiquartieri.it), che appaiono promettenti.
5 5 G. P. Quaglino, S. Casagrande, A. Castellano, Gruppo di lavoro, lavoro di gruppo, Cortina, Milano 1992.
Autori: Claudio Calvaresi, Sonia Coluccelli, Nicola Iannaccone, Ulderico Maggi, Cesare Moreno, Ilaria Rodella, Silvio Tursi