Come facciamo a creare un dialogo fecondo tra scuola e città? «Dal punto di vista della scuola una risposta possibile è la proposta di una scuola “diffusa” o “sconfinata” che è il punto di vista di una scuola che per andare verso il futuro si deve aprire al suo territorio e al mondo – scrive Gianluca Cantisani del progetto nazionale “Scuole Aperte Partecipate in rete” – Ma abbiamo bisogno anche del punto di vista della città che deve aprire un’attenzione sulla scuola e sul mondo giovanile…». Tuttavia questa reciprocità indispensabile non basta. «Noi abbiamo bisogno anche di un luogo fisico di tutti dove è possibile fare e sperimentare insieme; perché spesso nelle scuole e nelle città non c’è neppure un luogo libero e aperto dove potersi sporcare con i colori, dove giocare insieme, incontrarsi, scambiare le proprie speranze. Un luogo così non solo aiuterebbe a mettere in dialogo la città e le scuole ma mette le ali alla società tutta…»
Questo articolo fa parte dell’inchiesta
Fammi giocare. La città e il gioco
Le generazioni più anziane hanno vissuto l’infanzia in città più amiche dei bambini, si poteva giocare per strada, nei giardini, nei cortili, si poteva uscire per la strada, essere più sicuri ad andare da soli nei luoghi di gioco ma anche a scuola. Oggi le cose sono peggiorate e non è più possibile farlo. E stiamo verificando che, addirittura, in molti casi c’è un conflitto sugli spazi nella città; quando si vuole pedonalizzare una strada davanti a una scuola per tutelare alcuni spazi una parte della comunità adulta si oppone arrivando a fare battaglie sproporzionate.
A partire da una storia di pedonalizzazione di una strada scolastica l’esperienza di una scuola aperta e partecipata di Roma propone una via per il cambiamento delle nostre città.
La pedonalizzazione di via Bixio, una strada scolastica romana
Partiamo da questa storia. Nel 2005 un bambino della scuola Di Donato di Roma viene travolto sulle strisce pedonali. Era una domenica pomeriggio di luglio, la scuola era aperta e veniva a giocare nella piazza più bella del quartiere, il cortile scolastico, ormai sempre aperto da un anno e dove avrebbe trovato tanti altri amici. Da quel momento la comunità scolastica e quella del quartiere si mobilitano e ogni anno ricordano il bambino, chiudendo la strada davanti alla scuola.
Negli anni la comunità, raccolta intorno ad alcune associazioni di quartiere, tra cui l’associazione dei genitori della scuola Di Donato, ha costruito un decalogo di richieste da fare agli amministratori della città riguardo a quella che abbiamo chiamato “Una città a misura delle bambine e dei bambini” (leggi anche Abbiamo aperto il cortile della scuola). Una città a misura delle bambine e dei bambini è una città a misura di tutti; la comunità dei bambini in qualche modo è un metro per tutte le altre comunità. Quindi se siamo attenti ai bambini, siamo attenti anche agli anziani e alle persone più fragili. Tutti diventeremo anziani e tutti possiamo essere fragili ma anche gli adulti non fragili di una città hanno bisogno di vivibilità, di spazi di gioco e ricreativi, di andare in bicicletta in sicurezza, di fare sport.
Dopo quindici anni di iniziative, a gennaio 2021 una richiesta che giaceva al Comune di Roma da tempo viene improvvisamente accolta e il Comune decide di chiudere proprio quella strada scolastica che veniva chiusa, sino a quel momento, una volta l’anno simbolicamente. A questo punto si è scatenata una piccola parte della comunità adulta del quartiere, prima indifferente alle esigenze dei bambini, che ha pensato di sfruttare la chiusura della strada in vista delle prossime elezioni comunali, per costruirci un consenso politico rispetto a tutte le lamentele che può portare il fatto di chiudere una qualunque strada di una città. Raccogliendo il peggio dell’adultità si è tentato di gettare discredito su quei genitori invece impegnati da anni per rendere la città più a misura dei bambini. Una operazione vergognosa, espressione della peggiore politica dei tempi che viviamo.
Questa è una storia in corso che ha buone possibilità di avere un lieto fine perché la parte più attenta del quartiere, ben quindici realtà della società civile, si sono mobilitate e hanno organizzato un’assemblea pubblica che hanno preparato per due mesi con un’accortezza e con un’attenzione bellissime. È stato costruito un manifesto ed è stata preparata una conduzione a tante voci lasciando spazio alla partecipazione di tutti. L’assemblea è stato un momento in cui si è fatta un’operazione fondamentale: provare a condividere la scelta sull’uso degli spazi della città che non può mai essere calata dall’alto ma deve essere partecipata dalla cittadinanza, altrimenti rischia di non essere accolta. E si sono messe le basi per iniziare una progettazione partecipata di questo spazio “liberato” dalle auto.
Dai buoni propositi al cambiamento
Di formazione sono urbanista ma ho vissuto questa storia da genitore di due figli. Oggi sono presidente di una rete di volontariato che è il MoVI e guardo a questa storia come un’esperienza che ci deve insegnare qualcosa. L’insegnamento che vedo è questo: noi siamo pieni di buoni propositi come comunità adulta. Non parlo di quegli adulti distratti o indifferenti ma di noi che siamo impegnati a cambiare le cose; ad esempio la comunità degli insegnanti e di quelli che lavorano intorno alla scuola, che si propongono di formare i giovani all’età adulta ed anche la comunità dei tecnici, degli urbanisti, degli architetti che si pongono l’obiettivo di pensare soluzioni per la città. Spesso manca un pezzo ai nostri buoni propositi, quello della partecipazione; nel successo dei nostri propositi la differenza si fa se si attivano o meno reali processi di partecipazione.
Io ho fiducia di quello che succederà a via Bixio rispetto alla chiusura della strada. La mia fiducia nasce dal fatto che quindici anni di lavoro non possono essere cancellati, sono la garanzia che ci potrà anche essere qualche ostacolo ma alla fine il coinvolgimento della comunità salverà il processo.
Però teniamo anche conto che i processi condivisi sono spesso molto lenti ed hanno bisogno del dialogo con gli amministratori cittadini; dieci-quindici anni fa, insieme alla chiusura della strada, erano stati individuati anche dei percorsi sicuri per i bambini tra scuola, palestre e giardini che non sono stati mai presi in considerazione nella trasformazione della città. Ad esempio c’è una grande piazza vicino alla scuola che è piazza Vittorio Emanuele, la più grande di Roma con un bellissimo giardino. Qui non esiste la possibilità di entrare in sicurezza per un bambino perché la priorità è stata data al traffico veicolare “che deve scorrere veloce verso la stazione Termini”.
La scuola e la città come mondi separati
La cultura della comunità adulta della città di Roma vede solo gli spazi per le auto e confina i pedoni su stretti marciapiedi, privilegia gli spostamenti in auto a quelli pedonali e ciclabili. I bambini vengono per ultimi e sono confinati in spazi chiusi.
Come Movimento di volontariato italiano ci siamo posti questa questione politica: come facciamo a far dialogare la scuola e la città per permettere che i buoni propositi diventino cambiamento?
Dal punto di vista della scuola una risposta possibile è la proposta di una scuola “diffusa” o “sconfinata” che è il punto di vista di una scuola che per andare verso il futuro si deve aprire al suo territorio e al mondo. Ma noi abbiamo bisogno anche del punto di vista della città che deve aprire un’attenzione sulla scuola e sul mondo giovanile. Senza questa visione reciproca la scuola e la città rimangono isolate. Se la scuola è stata così poco finanziata e così poco ascoltata è perché la città non dialoga con la scuola del suo territorio. Quindi non la cura, non cura la crescita dei propri giovani, e non determina il proprio futuro ma lo subisce.
Tutto questo è favorito dal fatto che la scuola è un mondo a sé, che l’ente locale è un mondo a sé, che ognuno pensa a sé stesso come il confine del mondo. Non è chiaro chi nella città si debba prendere il compito di costruire legami tra tutti questi mondi che rimangono separati, ma che invece dovrebbero sedersi intorno a un tavolo per risolvere insieme i problemi.
L’esperienza di una scuola aperta e partecipata alla città
La risposta del quartiere è un secondo insegnamento che prendo da questa storia. Poiché nella grande città di Roma, nel quartiere Esquilino dove avviene questa storia nessuno lo faceva, è accaduto che un gruppo di genitori ha iniziato a costruire dei legami di comunità. Prima costituendo un’associazione di genitori, poi gestendo da venti anni alcuni spazi ed il cortile scolastico nell’orario extrascolastico e aprendoli al territorio. Creando quindi un ponte tra scuola e territorio. All’interno della scuola Di Donato dopo le 16,30 i genitori, che hanno le chiavi della scuola, la tengono aperta e gestiscono gli spazi fino alle 22 restituendola pronta per le lezioni del giorno dopo. Questo succede tutto l’anno e questo lo fanno i genitori in quanto cittadini responsabili che hanno costituito un’associazione specifica che agisce la mediazione tra la scuola e il territorio. Sono i cittadini-genitori che vivono il quartiere a comprendere l’importanza di riconnettere scuola e territorio e che hanno creato questo ponte e lo sostengono con il loro impegno che è volontario, gratuito e politico di partecipazione alla costruzione di una città più vivibile.
In questo spazio aperto avviene l’integrazione tra la scuola e la città. In questo spazio i cortili della scuola e la strada limitrofa sono tornati a essere il cortile libero che avevano le generazioni più anziane. I nostri figli hanno avuto questa possibilità, di poter crescere all’interno del cortile che è diventato uno spazio di ristoro importante in una città che non è a loro misura. In questo cortile i bambini non hanno visto solo i docenti e i genitori ma anche la città che ha cominciato a entrare facendo molte cose.
Quello che abbiamo creato è un polo civico, di quelli che sognano gli urbanisti, creato però dagli stessi cittadini in assenza di una capacità di iniziativa delle istituzioni, che fortunatamente hanno poi dialogato, altrimenti la cosa non poteva realizzarsi. Un preside ha aperto la scuola ai genitori, un municipio ha sostenuto l’integrazione della città, molti servizi si sono appoggiati ad un luogo civico che ha funzionato da collante sociale.
Quello che è interessante è che alla fine non c’è qualcuno che può avere più meriti di altri. Le scuole o le città che si dimenticano di far partecipare i cittadini ai propri processi non vanno lontano. Viceversa i cittadini che non sono in grado di dialogare e di riportare le istituzioni al loro compito, non possono, a loro volta, avere successo; creano delle realtà che sono di privato sociale che risolvono i problemi nell’emergenza ma non cambiano la città.
Progettare poli civici per cambiare la città (e la scuola)
Quello che dobbiamo costruire sono dei luoghi dove il dialogo avviene. Questo è il passaggio politico-culturale che dobbiamo fare, cioè restituire le nostre città ai cittadini in maniera che sappiano farne un uso migliore di quello che abbiamo costruito in questi decenni. Questa azione l’abbiamo chiamata “Scuola aperta partecipata” perché riconosciamo nella scuola il luogo naturale dove questo deve avvenire e perché la scuola è simbolicamente la guida del Paese in quanto è il luogo dove parliamo di futuro con le giovani generazioni.
In una visita ad una periferia di Barcellona abbiamo visto la preside che organizzava e gestiva l’assemblea del quartiere e chiedeva agli abitanti, adulti e bambini, quale futuro si immaginavano per quel luogo. La scuola può avere questo compito. In questo momento non se lo prende perché è incastrata in paletti molto angusti.
Dopo di che, la scuola deve avere la capacità di accettare di mettersi in dialogo alla pari con tanti altri soggetti che servono a far funzionare la scuola stessa, a farla diventare importante per la comunità, a renderla motore del cambiamento. Se, ad esempio, qui discutiamo di come migliorare la scuola è perché c’è un gruppo di persone di diverse discipline tecniche che organizza un dibattito sui temi della nostra città e questi sono temi che riguardano tutti e che necessitano di mettere insieme punti di vista e risorse diverse. Una scuola e una città mature devono essere in grado di integrare tutte le risorse a disposizione da qualsiasi parte provengano.
Territori educativi che hanno cura di scuole e città
Il MoVI ha costruito un progetto per promuovere la diffusione delle esperienze di scuole aperte e partecipate; l’obiettivo è di avere un luogo di dialogo in ogni quartiere della città; che ci sia almeno una scuola o un cortile scolastico, un giardino, uno spazio anche fuori dalla scuola, ma che deve essere adeguato e condiviso, che funzioni da polo civico e da luogo d’incontro di quel quartiere, dove le persone possono scambiarsi idee, proposte ed essere utili alla propria comunità. Anche i mestieri, il mondo degli adulti che lavorano, possono offrire molto alla scuola e alla città portando esperienza, testimonianza e la connessione con il mondo del lavoro.
Noi abbiamo bisogno anche di un luogo fisico di tutti dove è possibile fare e sperimentare insieme; perché spesso nelle scuole e nelle città non c’è neppure un luogo libero e aperto dove potersi sporcare con i colori, dove giocare insieme, incontrarsi, scambiare le proprie speranze. Un luogo così non solo aiuterebbe a mettere in dialogo la città e le scuole ma mette le ali alla società tutta.
Ne parliamo come di una proposta innovativa ma già succede in tante parti d’Italia. Abbiamo cominciato a raccogliere su Territori educativi le tante esperienze che si stanno facendo perché le soluzioni possono essere molte e diverse. Il criterio che abbiamo scelto per selezionarle è la generatività; esperienze che aiutino a risolvere i problemi in maniera stabile per il futuro, che abbiano una loro sostenibilità, non legata a un progetto che si apre e si chiude con qualche fondo, ma ad una partecipazione diffusa che resiste nel tempo.
Mettere in rete tutte queste esperienze ci permette di avere già un parco di soluzioni senza doverle cercare ex novo. In Italia possiamo già contare su tante esperienze straordinarie che stanno aiutando a costruire il futuro delle nostre scuole e delle nostre città. Il cambiamento rimane proprio ed è unico per ogni territorio ma le esperienze degli altri possono aiutarci concretamente ad iniziare e soprattutto ci dimostrano che è possibile.
Via Bixio sarà sicuramente una bellissima strada pedonale nel futuro di Roma.
Gianluca Cantisani
MoVI, Movimento di Volontariato Italiano
responsabile progetto “Scuole Aperte e Partecipate”
www.territorieducativi.it
Articolo pubblicato su Urbanistica Informazioni n-296-2021, rivista dell’INU Istituto Nazionale di Urbanistica (l’articolo riprende l’intervento del 21 maggio 2021 alla Biennale dello Spazio Pubblico nella sessione “Il gioco, la scuola e la città”)