Ogni luogo e ogni attività della città possono diventare occasione di scambio educativo per ripensare non solo l’idea di scuola, ma il modo di essere società. “Per difendere veramente la scuola pubblica occorre superarla e rifondarla sottilmente ma radicalmente sperimentando e lasciando sperimentare con fiducia e coraggio…”. Un appello prezioso
Attrezzi semplici e materiali di riciclo, le mani esperte del maestro e quelle curiose dei bambini, l’ascolto, l’ideazione, il mettersi in gioco, gli errori che fanno crescere, il fare consapevole e la gioia della creazione. Il maestro Gianfrancesco Minetto sperimenta con i bambini al Museo del Gioco di Soave (Vr) l’arte antica di costruire un giocattolo. Foto e didascalia di Luciana Bertinato
L’educazione diffusa è educazione totale. In una città educante coinvolge bambini e adulti, anziani, pensionati, lavoratori e può essere la medicina per l’ignoranza che ci sta portando ad una società illiberale, mercantile, autoritaria ed escludente. Una medicina da prendere subito, prima che sia troppo tardi. La scuola come è ora ha costruito generazioni di analfabeti sociali e funzionali e sta costruendo nuovi pericolosi egoismi dettati dalla paura di chi non sa e non vuol sapere. Ogni luogo e ogni attività della città possono diventare occasione di scambio educativo e aiutare a superare la separazione tra generazioni, tra chi studia e chi lavora o chi ha perduto la bussola della vita per aver perduto il tempo della ricerca e della riflessione preso dalla corsa al profitto e ad un falso benessere.

Sono incoraggianti i risultati di esperienze di contaminazione tra generazioni e attività per quello che il dialogo tra mondi che finora sono stati tenuti rigorosamente e pericolosamente distinti può generare di virtuoso. I mentori e gli esperti, gli spazi diversi, trasformati e resi multiformi diventano i mediatori di una educazione permanente che non si sviluppa in verticale ma in orizzontale, o meglio in tante dimensioni contemporaneamente.
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Una società educante e diffusa è una via per libere scelte anche collettive che porterebbero pluralità e rispetto nell’ambito della pubblica educazione per superare la coercizione, il controllo, la competizione, le classificazioni, l’esclusione e la dispersione attraverso il superamento delle istruzioni, delle formazioni, degli addestramenti, del “dressement”, delle cento educazioni, prime tra tutte l’educazione formale, informale e non formale. Il pubblico può essere democratico e fondato sulla libertà di apprendere.
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Se pubblico significa libertà di insegnamento e apprendimento (cosa, dove, come e con chi) – nel rispetto di una Costituzione dove “l’obbedienza non è una virtù” – e l’obbligo diventa solo garanzia di un diritto, sarà un nuovo concetto pubblico, inclusivo e comunitario nell’accezione di una intera società educante. Un’alternativa dunque c’è.
La fuga crescente di cittadini anche verso forme educative che sono discutibili, elitarie, ghettizzanti e spurie così come l’incremento sensibile della dispersione scolastica è un segnale che va colto per non trascurare e valorizzare gli esperimenti più originali e innovativi oltre che figli di tanti mirabili pedagogisti d’avanguardia nella storia dell’educazione. Per difendere veramente la scuola pubblica occorre superarla e rifondarla sottilmente ma radicalmente sperimentando e lasciando sperimentare con fiducia e coraggio.
Che le istituzioni sappiamo leggere e valorizzare ciò che si muove in questa virtuosa direzione.
Firma Sperimentare l’educazione diffusa nella scuola pubblica