Borgate è un reportage fotografico di Pasquale Liguori. Una raccolta di sguardi attenti alle dodici borgate “ufficiali” romane, sorte durante il ventennio fascista. Sguardi su una città complessa e ferita, con i quali desiderare e immaginare trasformazioni urbane e sociali. Dopo aver guardato il reportage, i ragazzi (seconda media) del laboratorio di giornalismo del venerdì pomeriggio dell’IC Fratelli Bandiera – promosso all’interno del progetto Scappare che lega tre scuole aperte partecipate di Roma – hanno realizzato questa intervista con Pas Liguori.
Perché per il libro Borgate hai scelto di fotografare proprio quei quartieri? Cosa ti ha ispirato?
Devo dire che l’idea progettuale partiva dall’esigenza di comunicare una Roma meno conosciuta ai più, sia residenti che non. Quella Roma, a mio parere, assolutamente più importante. Nella parte esterna al centro storico, quello della cosiddetta “grande bellezza”, vi è infatti il cuore pulsante sociale cittadino. Occupandomi di fotografia urbana e dell’edilizia popolare, avevo indirizzato le mie ricerche a quartieri periferici. Per esigenze di progetto fotografico e di coerenza storica e per descrivere aree cittadine disperse nello sviluppo caotico di Roma, mi sono concentrato sulle borgate “ufficiali” che sono sorte durante il ventennio fascista. Alcune di esse sono pervenute a noi quasi immutate nella loro fisionomia architetturale e urbana, altre invece non vi sono più perché demolite a causa delle loro condizioni dovute a costruzioni realizzate con materiali scadenti e inosservanti delle più basilari garanzie igieniche per gli abitanti. Altre ancora, invece, sono state oggetto di numerosi interventi e modifiche che ne hanno mutato l’assetto originario. Partendo quindi da un’età istitutiva comune, ho potuto percorrere storia e periferia della città per trarne un panorama attendibile ed esaustivo dal punto di vista delle condizioni sociali e dell’abitare la città al suo bordo. È anche vero che, rispetto all’epoca della fondazione, alcune delle borgate storiche sono ormai pezzi costitutivi del centro urbano consolidato. Quindi, le borgate hanno offerto un buon terreno di studio e di contesto per la realizzazione di progetto.
Una volta scelto il quartiere, come hai individuato il luogo esatto nel quale realizzare le foto?
Per effettuare un progetto fotografico, la prima cosa da fare è non scattare fotografie d’impulso. Mi spiego: è fondamentale dapprima recarsi nei luoghi, effettuare debite ricognizioni ambientali e, soprattutto, parlare con chi in quei luoghi ci vive. E questo per due ragioni: la prima, più ovvia, per acquisire maggiori elementi di conoscenza evitando di far foto un po’ a casaccio, prive di nerbo e significato. La seconda, fondamentale, per prender confidenza con quelle strutture e le storie a esse sottese per meglio interpretarle venendo, al contempo, percepito dagli abitanti dei luoghi oggetto di indagine come persona credibile e non occasionale e pettegolo avventore. Molto spesso ho parlato con edicolanti, baristi, preti, farmacisti prima di tirar fuori la fotocamera dallo zaino e piantarla sul cavalletto e ho conosciuto persone nei condomini per assorbire informazioni o semplici curiosità. Da quei suggerimenti sono venute molteplici indicazioni su cosa e come ritrarre in foto. E su dove posizionare l’apparecchio per un miglior inquadramento a favore di immagine. Credo sia un approccio consapevole e rispettoso. Molto spesso vedo fotografi, sedicenti tali, recarsi nei luoghi della difficoltà sociale con spavalderia e senza tatto verso le persone dei luoghi. Ecco, credo che le loro foto molto difficilmente possano far scaturire esiti significativi e di interesse sociale. Prima di fotografare, è bene essere sensibili verso il soggetto da ritrarre anche per esserne più coinvolti e, possibilmente, creativi senza colpi a effetto.
Perché hai deciso di scattare tutte le fotografie la domenica invernale, alle prime luci?
Questa è proprio una bella domanda! Non credo ci sia una decisione legata al tipo di stagione. All’orario, invece, sì. Ebbene, dopo aver acquisito elementi necessari di conoscenza e parlato il più possibile con chi quei luoghi li conosce, ho preferito ritrarre le borgate in assenza di persone. Assenza solo apparente perché, mentre fotografavo, e molto spesso lo facevo all’alba, quegli edifici erano intrisi di umanità. In quella fase della giornata, vi è la massima presenza umana nelle abitazioni con gli edifici al loro interno popolati dal massimo numero di persone lì residenti. E poi c’è una seconda motivazione: è frequente e, talvolta, maldestro, associare la periferia a persone e attività tipiche svolte nel degrado che fungono da clichè rappresentativi che bene non fanno, a mio avviso, al potenziale urbano e sociale insito nell’umanità della periferia. Insomma, è tutto sommato facile associare la presenza di soggetto a un’estetica della periferia che chiaramente esprima miseria con soddisfazione fotografica da pubblicare magari su un social per raccattare qualche “mi piace”. È un’operazione disonesta. Ho preferito prendere distanza da ciò e dare spazio e tempo all’osservatore della fotografia di percepire umanità anche in assenza di soggetto ed elaborare il vibrante potenziale di ciò che viene definito periferia partendo da bellezze talvolta sorprendenti e anche da ferite urbane per riflettere sulla città e i suoi spazi. Su come potrebbero essere vissuti in solidarietà nel bene comune.
Ti piacerebbe tornare nei stessi luoghi per fotografarli a qualche anno di distanza per verificare le differenze?
Certo. Lo ritengo doveroso. Ed è quel che un fotografo urbano deve porsi come obiettivo di progetto una volta iniziato. Nel caso delle borgate ufficiale, in particolar modo, sono andato a ri-fotografarle con una tecnica differente usando sistemi analogici a pellicola che permettono di “pensare” ulteriormente le foto da eseguire. Nel mio piccolo, spero che il frutto di queste indagini stimolino dibattito e confronto per trasformazioni non più rinviabili tese a produrre miglior qualità di vita, maggior solidarietà e integrazione sociale.
Cosa pensi di Roma?
Questa è una domanda a cui è molto difficile rispondere. E non solo per me che sono romano d’adozione: sarebbe complicato, credo, anche per un romano di nascita. Cerco di essere franco, basandomi sull’esperienza ultraventennale da residente. Di primo acchito, con facilità, risponderei che si è instaurato con Roma un rapporto d’amore e odio. È bellissima, magnetica, meravigliosa. Amo Napoli, ovviamente, ma faccio fatica a immaginarmi non più romano. La Capitale mi risucchia e lascio che sia così. D’altronde è vicinissima alla mia città d’origine e questo mi permette di ritornarvici molto frequentemente. Roma però è, al tempo stesso, difficilissima. Negli anni l’ho vista onestamente peggiorare per qualità di servizi e non solo. Sono sicuro di non dir nulla di particolarmente sorprendente. Ma non mi rassegno e, da napoletano, sono portato ad adoperarmi per quel che posso e sperare in tempi migliori. Staremo a vedere. In realtà, la cosa che più sento gravare sulla difficoltà riguardante Roma è che per costituzione urbana si è troppo sfilacciata, debordando al di fuori del cerchio già enorme rappresentato dal GRA. Questo ha frammentato e polverizzato un sentire comune e ha contribuito alla dispersione di energie e a un’accresciuta polarizzazione che colloca agli antipodi chi è ricco o benestante e gode di tutti i privilegi offerti dalla Capitale e chi per grandissima parte della sua giornata ne vive difetti, disservizi e ingiustizie dovute alla mancanza di un lavoro dignitoso, di servizi di qualità e di opportunità solidali. Purtroppo, la lontananza dei vari quartieri non alimenta comune consapevolezza: molti cittadini vivono all’interno del proprio recinto urbano, spesso gravitante attorno a un centro commerciale nel quale, non di rado, va a esaurirsi quel po’ di tempo libero di cui si dispone. Questo contribuisce, oltretutto, al fatto che i romani conoscano poco la loro stessa città. Eppure, Roma, ha un potenziale straordinario di esperienza, storie e varietà culturale spesso umiliate o incomprese. Ma sono riconoscente a Roma perché ha una vitalità smisurata e perché non smette mai di meravigliarmi e sorprendermi. In definitiva, per renderle un piccolo tributo di riconoscenza, ho per questo deciso di raccontarla con le mie foto.