di Noam Chomsky
Le miserie causate dalle azioni di Israele nei territori occupati ha determinato sincere preoccupazioni per lo meno in alcuni Israeliani. Uno dei piuâ vociferi, per molti anni, eâ stato Gideon Levy, un giornalista di Haaretz che ha scritto: âIsraele dovrebbe essere condannato e punito per aver determinato esistenze impossibili sotto lâoccupazione, [e] per il fatto che una nazione che si proclama una di quelle illuminate, continua ad abusare un intero popolo, giorno e notteâ.
Levy ha sicuramente ragione e noi dovremmo aggiungere qualcosa in piuâ alle sue parole: gli Stati Uniti dovrebbero essere condannati e puniti a loro volta per aver continuato a fornire aiuto e supporto militare decisivo, economico, diplomatico e anche ideologico per questi crimini. Almeno fino a quando essi continuano in questo tipo di attivitaâ, non ci si puoâ aspettare che Israele rallenti nelle sue politiche brutali.
Lo stimato studioso Zeev Sternhell, nellâanalizzare lâonda reazionaria nazionalistica nel suo paese scrive che â lâoccupazione continuerĂ , la terra continuerĂ a essere confiscata ai suoi legittimi proprietari per espandere gli insediamenti, la Valle del Giordano verrĂ ripulita dagli Arabi, Gerusalemme Araba sarĂ strangolata dai quartieri Ebrei circostanti, e qualsiasi atto di ruberia e stupidiĂ â che aiuta lâespansione Ebrea nella cittĂ , sarĂ benvenuta dallâAlta Corte di Giustizia. La strada che conduce a un nuovo Sud Africa eâ stata asfaltata e non verrĂ bloccata fino a quando il mondo Occidentale non imporrĂ a Israele una scelta univoca: Abbandonare il processo di annessione e rimuovere la maggioranza delle colonie e lo stato dei coloni, oppure accettare di essere escluso dalla comunitaâ internazionale.
Un questione cruciale per il processo eâ se gli USA la smetteranno di invalidare il consenso internazionale , che favorirebbe la formazione di due stati lungo i confini riconosciuti internazionalmente ( La Linea Verde stabilita nellâaccordo di pace del 1949) con garanzie per la âsovranitaâ, lâintegritaâ territoriale e lâindipendenza politica di tutti gli stati della regione e il loro diritto a vivere in pace con confini riconosciuti e sicuriâ. Queste sono le parole scritte in una risoluzione presentata al Consiglio di Sicurezza dellâONU nel Gennaio 1976 dallâEgitto, la Siria e la Giordania con il supporto degli Stati Arabi â al quale gli Stati Uniti si opposero con un veto.
Non era la prima volta che Washington sbarrasse la via a un accordo diplomatico per la pace. La medaglia dâoro per questo tipo di azioni va senzâaltro a Henry Kissinger che aiutoâ la decisione di Israele, nel 1971, di rifiutare un accordo offerto dal Presidente Egiziano, Anwar Sadat, scegliendo lâespansionismo alla sicurezza dello stato- un piano che Israele ha perseguito con lâaiuto degli USA da quel momento in poi. La posizione di Washington, inoltre, eâ diventata quasi comica, come quando nel Febbraio 2011, quando lâamministrazione di Obama pose il veto a una risoluzione dellâONU che supportava la posizione ufficiale degli USA stessi: ovvero lâopposizione agli insediamenti espansionistici di Israele che continuano (con gli aiuti USA) nonostante qualche sussurro di disapprovazione.
La questione non riguarda lâespansione degli enormi insediamenti e del programma in infrastrutture (incluso la barriera di cemento di separazione), ma piuttosto lâesistenza stessa degli insediamenti- tutti illegali, come determinato dal Consiglio di Sicurezza dellâONU e dalla Corte di Giustizia Internazionale e riconosciuti tali da praticamente tutto il mondo con lâesclusione di Israele e gli Stati Uniti dal momento della presidenza di Ronald Reagan, che cambioâ la definizione da âillegaleâ a â un ostacolo alla paceâ.
Un modo per punire Israele per i suoi enormi crimini fu iniziato dal gruppo pacifista Gush Shalom nel 1997: ovvero il boicottaggio dei prodotti provenienti dagli insediamenti. Questo tipo di iniziative si sono moltiplicate in maniera considerevole da allora. Lo scorso Giugno, la Chiesa Presbiteriana ha deciso di ritirare i propri investimenti da tre multinazionali basate negli USA ma coinvolte nelle occupazioni. Il successo piuâ importante eâ peroâ la direttiva operativa dellâUnione Europea che vieta lo stanziamento di fondi, la cooperazione, lâassegnazione di fondi per ricerche scientifiche o qualsiasi altra relazione con entitaâ Israeliane che abbiano un âlegame diretto o indirettoâ con i territori occupati, dove tutti gli insediamenti sono illegali, come reiterato dalla dichiarazione della EU. LâInghilterra ha giaâ chiesto ai commercianti di âdistinguere fra merci originanti da produttori Palestinesi e merci che originano da insediamenti Israeliani illegaliâ.
Quattro anni fa Human Right Watch (HRW) chiese a Israele di rispettare i âsuoi obblighi legali internazionaliâ e di rimuovere gli insediamenti e porre fine alleâ sue pratiche di discriminazione blatantiâ nei territori occupati. HRW ha anche chiesto agli USA di sospendere gli aiuti finanziari a Israele âin un ammontare pari allâequivalente degli investimenti usati da Israele per aiutare gli insediamentiâ e di verificare che lo status di âesente da tasseâ delle organizzazioni che supportano Israele negli USA siano congrue con gli obblighi USA di assicurare il rispetto delle leggi internazionali, incluso il divieto di ogni forma di discriminazione.
Ci sono state molte altre iniziative di de-investimento e boicottaggio nel decennio scorso che, occasionalmente â ma non sufficientemente- hanno centrato la questione cruciale del supporto USA per i crimini di Israele. Allo stesso tempo un movimento di BDS (che chiede boicottaggio, rimozione degli investimenti e sanzioni) si eâ formato, spesso sulla base di modelli sperimentati per il Sud Africa; piuâ precisamente la sigla dovrebbe essere âBDâ, dato che le sanzioni o azioni da parte di altri stati, non sono presenti allâorizzonte- una delle molte differenze significative con quanto avvenne per il Sud Africa.
La richiesta di formare un movimento BDS da parte di un gruppo di intellettuali Palestinesi nel 2005, chiedendo che Israele rispettasse la totalitaâ delle leggi internazionali â(1) Mettendo fine allâoccupazione e alla colonizzazione dei territori Arabi occupati nel Giugno 1962 e distruggesse la âParete di cementoâ; â(2) Riconoscendo il diritto fondamentale dei cittadini Arabo-Palestinesi di Israele a una completa uguaglianzaâ; e â(3) Rispettando, proteggendo e promuovendo i diritti dei rifugiati Palestinesi a ritornare alle case di loro proprietaâ come stipulato nella risoluzione 194 dellâONU â.
La richiesta fu accolta con unâattenzione notevole e ben meritata. Ma se noi siamo preoccupati per il destino delle vittime, allora BD e altre tattiche devono essere pianificate molto accuratamente e valutate per quanto riguarda le possibili consequenze che possono determinare. La richiesta (1) della lista citata ha un significato positivo; ha un obiettivo preciso ed eâ facilmente recepito e capito dalla audience target nellâOccidente; e questo spiega il percheâ le molte iniziative dirette da (1) hanno avuto parecchio successo- non solo nel âpunireâ Israele ma anche nello stimolare altre forme di opposizione allâoccupazione e allâaiuto USA.
Lo stesso purtroppo non eâ vero per (3). Mentre esiste un supporto internazionale quasi universale per (1), per (3) non esiste quasi nessun supporto significativo oltre al movimento BDS stesso. Neâ (3) sarebbe giustificato dalle leggi internazionali. Il testo della Risoluzione 194 dellâAssembea Generale dellâONU eâ condizionale e, in ogni caso costituisce solo una raccomandazione senza la forza legale del Consiglio di Sicurezza che Israele viola con regolaritaâ. Lâinsistere su (3) eâ quasi una garanzia di fallimento.
Lâunica, limitata speranza di realizzare (3) in qualcosa di piuâ di semplici numeri simbolici sarebbe che lo sviluppo a lungo termine portasse allâerosione dei confini imperiali imposti dalla Francia e Gran Bretagna dopo la Prima Guerra Mondiale, che, con confini simili imposti in altre aree del globo, hanno assolutamente nessuna legittimitaâ. Questo potrebbe portare a una âsoluzione senza uno statoâ- una soluzione ottimale dal mio punto di vista e non meno plausibile in realtaâ dellâaltra opzione di una âsoluzione con un solo statoâ che viene comunemente , ma erroneamente, discusso come unâalternativa al consenso internazionale.
Il caso per (2) eâ ancora piuâ ambiguo. Esistono delle âproibizioni contro le discriminazioniâ nella legge internazionale, come HRW ha fatto osservare. Ma il perseguire (2) apre la porta immediatamente alle reazioni âdella casa di cristalloâ; per esempio, se boicottiamo lâUniversitaâ di Tel Aviv percheâ Israele viola i diritti umani in casa propria, allora percheâ non boicottare Harvard in considerazione delle enormi, molto piuâ grosse violazioni da parte degli Stati Uniti? Le iniziative centrate su (2) sono state, come previsto, quasi un fallimento totale e continuano a esserlo a meno che gli sforzi per educare lâopinione pubblica non riescano ad aumentare la sensibilitaâ pubblica come avvenne nel caso del Sud Africa.
Le iniziative che falliscono il loro obiettivo danneggiano le vittime in due modi- spostando lâattenzione dalla loro tragedia verso questioni irrilevanti (anti-semitismo a Harvard, la libertaâ accademica etcâŚ) e per aver sprecato le opportunitaâ di fare qualcosa di significativo.
Quando si esaminano le tattiche, la considerazione delle vittime detta che si debba essere scrupolosi nel riconoscere che cosa ha prodotto successo o ha fallito nel suo scopo. Non eâ sempre stato cosiâ (Michael Newman esamina uno uno dei molti esempi di questo tipo di fallimenti nel numero dellâInverno 2014 del Journal of Palestine Studies). Le stesse considerazioni dettano che si sia scrupolosi nellâanalisi dei fatti. Prendiamo lâanalogia del Sud Africa, costantemente citata in questo contesto. Si tratta di unâanalogia piuttosto dubbia. Câeâ una ragione precisa per cui le tattiche di BDS furono usate per decenni contro il Sud Africa mentre la campagna odierna contro Israele eâ ristretta al BD: nel primo caso lâattivismo aveva creato unâopposizione internazionale enorme nei confronti dellâapartheid, tale che stati individuali e lâONU imposero sanzioni decenni prima degli anni â80, quando le tattiche di BD cominciariono a essere usate in maniera diffusa negli USA. A quel punto il Congresso stava giaâ legislando le sanzioni mentre ignorava il veto che Reagan aveva posto su tutta la faccenda.
Anni prima- prima del 1960- gli investitori globali avevano giaâ abbandonato il Sud Africa al punto che le sue reserve finanziarie erano dimezzate; sebbene si riusciâ a recuperarne un poâ di cioâ che si era perso, la â firma rimase sulla pareteâ. Al contrario, gli investimenti USA continuano ad affluire verso Israele. Quando Warren Buffet comproâ una fabbrica Israeliana che produce utensili meccanici per due miliardi di dollari lo scorso anno, egli descrisse Israele come la nazione piuâ promettente per investire al di fuori degli Stati Uniti.
Mentre assistiamo, finalmente, a unâopposizione domestica crescente negli USA ai crimini Israeliani, non possiamo tuttavia compararla, neppure lontanamente, con quella che si era sviluppata per il caso del Sud Africa. Il lavoro di educazione necessario non eâ stato fatto. I portavoce del movimento BDS possono essersi convinti di aver raggiunto il loro âmomento Sud Africanoâ, ma eâ lontano dal corrispondere alla realtaâ. E se le tattiche devono essere effettive, allora devono essere basate su una valutazione realistica delle circostanze attuali.
Lo stesso eâ vero anche dellâinvocazione dellâapartheid. La discriminazione contro i non-Ebrei in Israele eâ tremenda; le leggi sulle terre costituiscono lâesempio piuâ estremo. Ma non si tratta di apartheid come in Sud Africa. Nei territori occupati la situazione eâ molto peggiore di quanto succedesse nel Sud Africa, dove i nazionalisti bianchi avevano bisogno della popolazione nera. Erano i lavoratori della nazione, e , grotteschi come i Bantustan possano sembrare, il governo nazionalista usava delle risorse per sostenere e ricercare il riconoscimento internazionale per questi. La strada che ci staâ davanti non eâ il Sud Africa, come comunemente riportato, ma verso qualcosa di molto peggiore.
La strada porta verso qualcosa che si sta spalancando di fronte ai nostri occhi. Israele continuerĂ , come Sternhell fa osservare, a mettere in pratica le sue politiche in corso. Manterraâ un assedio feroce intorno a Gaza, separandola dalla West Bank, cosiâ come gli Stati Uniti e Israele hanno continuato a fare da quando firmarono gli accordi di Oslo nel 1993. Sebbene Oslo dichiaroâ che la Palestina eâ âunâunitaâ territoriale singolaâ, nel linguaggio ufficiale Israeliano, la West Bank e Gaza sono diventate â due aree separate e diverseâ. Come al solito esistono pretesti riguardanti la sicurezza di Israele che si frantumano velocemente quando li si esamini con attenzione.
Israele nella West Bank continueraâ a prelevare tutto cioâ che trova di valore – la terra, lâacqua, le risorse – spazzando via la popolazione Palestinese giaâ limitata mentre ingloba quelle acquisizioni entro il Grande Israele. Questo include la âGerusalemmeâ largamente estesa che Israele si annesse in violazione degli ordini del Consiglio di Sicurezza; qualsiasi cosa presente nella parte Israeliana della parete di cemento di separazione illegale; i corridoi verso lâest che creano cantoni invivibili per i Palestinesi; la valle del Giordano, dove i Palestinesi vengono sistematicamente espulsi e nuovi insediamenti Ebrei vengono stabiliti; lâenorme numero di progetti per infrastrutture che connettono tutte queste acquisizioni e Israele vero e proprio.
La strada che ci sta davanti non porta al Sud Africa ma piuttosto a un aumento della popolazione Ebrea nel Grande Israele che si sta costruendo. Questa eâ unâalternativa reale allâaccordo che prevede la formazione di due stati. Non ci si puoâ aspettare che Israele accetti una popolazione Palestinese che non vuole.
John Kerry fu criticato molto severamente quando riportoâ il lamento â dentro Israele- che , a meno che gli Israeliani accettino qualche forma di una soluzione con due stati, la loro nazione diventeraâ uno stato con lâapartheid, con autoritaâ sopra un territorio con una popolazione Palestinese maggioritaria oppressa e che dovraâ fronteggiare il pauroso âproblema demograficoâ: troppi non Ebrei in uno stato Ebreo. La critica appropriata eâ che questa idea comune eâ un miraggio. Fino a quando gli Stati Uniti supportano le politiche espansionistiche di Israele, non câeâ nessuna ragione di aspettarsi che cessino. Le tattiche devono essere pensate in accordo con questi fatti.
Tuttavia câeâ unâanalogia con il Sud Africa che eâ piuâ realistica e significativa. Nel 1958 il ministro degli esteri del Sud Africa informoâ lâambasciatore USA che non era importante se il Sud Africa fosse diventato uno stato paria. Egli disse che lâONU avrebbe potuto condannare pesantemente il Sud Africa ma che âcioâ che importava piuâ di tutti gli altri voti messi insieme era quello degli USA, in considerazione della posizione di leadership predominante nel Mondo Occidentaleâ. Per quarantâanni, da quando scelse lâespansione sulla sicurezza, Israele ha fatto essenzialmente la stessa cosa.
Per il Sud Africa il calcolo ebbe abbastanza successo per un lungo periodo.Nel 1970, al momento di esprimere il suo primo veto verso una risoluzione del Consiglio di Sicurezza, gli USA si unirono alla Gran Bretagna per bloccare lâazione contro il regime razzista della Rodesia del Sud; un passo che rifecero nel 1973. A un certo punto Washington divenne il campione ONU dei veto, con un grosso margine nei confronti di tutti gli altri, principalmente in difesa dei crimini di Israele. Negli anni â80 la strategia del Sud Africa stava perdendo la sua efficacia. Il direttore generale del ministero degli esteri Israeliano riportoâ che nel 1987 anche Israele, forse la sola nazione che aveva violato lâembargo contro il Sud Africa, accettoâ di limitare i suoi legami per evitare di mettere in pericolo le sue relazioni con il Congresso USA. Israele era preoccupato che il Congresso avrebbe potuto punirlo per la sua violazione di una legge degli USA che era stata approvata recentemente. In privato, peroâ, i diplomatici Israeliani continuarono a riassicurare i loro amici Sudafricani che le nuove sanzioni sarebbero state solo delle âtendine per le finestreâ. Pochi anno dopo peroâ, anche gli ultimi simpatizzanti per il Sud Africa a Washington si accodarono al consenso mondiale e subito dopo il regime dellâapartheid collassoâ.
Nel Sud Africa si riusciâ a raggiungere un compromesso che era soddisfacente per le elite della nazione e per gli interessi economici degli USA: lâapartheid finiâ, ma il regime socioeconomico rimase. In effetti ci sarebbero stati delle facce nere nelle Mercedes ma i privilegi e i profitti non sarebbero stati intaccati. In Palestina una prospettiva simile di compromesso non esiste.
Un altro fattore decisivo in Sud Africa fu Cuba. Lâinternazionalismo di Cuba, come riportato da Piero Gleijeses nel suo capolavoro di studio, che non ha nessuan analogia al giorno dâoggi, giocoâ un ruolo notevole nel terminare lâapartheid e nella liberazione dellâAfrica nera in generale. Nelson Mandela, subito dopo il suo rilascio dalla prigione, visitoâ Cuba, per molte ragioni e dichiaroâ:â Noi siamo venuti qui con un senso di enorme debito nei confronti del popolo Cubano. Quale altra nazione puoâ essere fiera di un maggior senso di abnegazione di quella che Cuba ha mostrato nelle sue relazioni con lâAfrica?â
Mandela aveva ragione. Le forze armate Cubane respinsero gli aggressori Sudafricani fuori dallâAngola: costituirono un fattore chiave nel rilasciare la Namibia dalla stretta brutale in cui si trovava; e mise in chiaro al regime dellâapartheid che il suo sogno di imporre il suo modello al Sud Africa e a tutta la regione stava trasformandosi in un incubo. Nella parole di Mandela, le forze Cubane âdistrussero il mito dellâinvincibilitaâ dellâoppressore biancoâ, che, egli disse, âcostituiâ il momento cruciale per la liberazione del nostro continente â e della mia gente- dalla disgrazia dellâapartheid.
Il âpotere sofficeâ di Cuba non fu meno efficace, incluse 70.000 lavoratori altamente qualificati e le borse di studio a Cuba per migliaia di Africani. Washington, in profondo contrasto, non solo costituiâ lâultima difesa del Sud Africa ma continuoâ anche successivamente ad aiutare le forze assassine e terroriste Angolane di Jonas Savimbi, un âmostro, la cui sete di potere determinoâ miserie incredibili per la sua genteâ, nelle parole di Marrack Goulding, lâambasciatore Britannico in Angola- un verdetto assecondato dalla CIA.
I Palestinesi non possono sperare in un futuro come quello del Sud Africa. Questo costituisce una ragione in piuâ per cui coloro che sono sinceramente dedicati alla causa Palestinese dovrebbero evitare le illusioni e i miti e pianificare attentamente le tattiche che scelgono e la strada da seguire.
Nota dellâeditore: BDS ha costituito un argomento molto dibattuto nella comunitaâ vicina a The Nation. Per maggiori informazioni su questo dibattito e per un certo numero di risposte a questo articolo nei giorni futuri andate a : TheNation.com/BDS
Fonte: zetitaly.org
http://thenation.com/article/180492/israel-palestine-and-bds
Traduzione di :Francesco DâAlessandro
Prodotti indicati per il boycotaggio dalla Cmpagna BDS Italia
La campagna BDS riguarda tutti i prodotti israeliani: è una tattica ampia che mira a fare pressione su questo stato perchĂŠ cambi. Ma che presta unâattenzione particolare alle aziende che sono effettivamente coinvolte nelle politiche di occupazione, e che ne traggono considerevoli profitti. Probabilmente queste organizzazioni dovranno presto fare i conti con il boicottaggio, e non sono sempre le aziende che ci si potrebbe aspettare.
1. Sodastream
Grazie alle recenti avventure in politica internazionale di Scarlett Johansson, molti di noi sono ora a conoscenza del ruolo di Sodastream nel perpetuare lâoccupazione della Cisgiordania. Le macchinette per la produzione di bevande gassate sono prodotte a Ma’ale Adumim, una delle molte colonie illegali incuneate in territorio palestinese che si appropriano delle sue risorse e rendono impossibile la sviluppo di unâeconomia palestinese indipendente. âLâesercito israeliano ha espulso con la forza 200 famiglie palestinesi dalle loro case per fare spazio alla costruzione di  Maale Adumimâ, fa sapere Rafeef Ziadah, un portavoce del Comitato Nazionale BDS. âRecentemente ha annunciato un piano per espellere altri 2300 palestinesi per fare posto alla crescita della coloniaâ.
2. Arance Jaffa
Ditte come Carmel Agrexco e Mehadrin, che esportano la famosa marca di arance Jaffa, traggono grossi profitti dalla coltivazione delle terre palestinesi. Molta della frutta e della verdura di questâazienda, compresi avodado, patate dolci e melagrane, crescono e sono poi imballate nella valle del Giordano, in Gisgiordania, dove il 94% della terra è sotto il controllo diretto di Israele. Oltre a violare il diritto internazionale, le coltivazioni commerciali in questâarea privano i palestinesi di terra agricola fertile e limitano lâaccesso allâacqua, che la popolazione locale è spesso costretta ad acquistare da serbatoi a prezzi estremamente gonfiati.
3. Ahava
Ahava significa amore in ebraico, ma nasconde una storia poco romantica. La fabbrica principale, e il suo lussuoso centro per i visitatori, si trova a Mitzpe Shalem, una colonia nella Cisgiordania occupata che possiede anche il 37% del marchio. Questa posizione offre ad Ahava un accesso privilegiato ai minerali e ai fanghi del Mar Morto, che sono gli ingredienti principali di maschere per il viso, lozioni esfolianti e creme idratanti. La vendita di questi prodotti miracolosi rende allâazienda circa 150 milioni di dollari allâanno, mentre ai palestinesi continua ad essere impedito lâaccesso alle risorse del Mar Morto.
4. Vino delle alture del Golan
Stando al sito web di questa azienda vinicola, la posizione dei loro vigneti di primordine è la migliore in Israele. Peccato però che si tratti delle alture del Golan, territorio occupato strappato alla Siria nella guerra del 1967. Fu allora che la maggior parte dei 140.000 siriani che vivevano nel Golan furono allontanati senza permettere loro di ritornare, mentre oggi in questâarea vivono circa 20.000 coloni israeliani. Nonostante lâazienda vinicola Golan Heights Winery sia uno dei maggiori esportatori di Israele, non si tratta certo dellâunica azienda produttrice delle colonie. Le aziende Carmel, Tshibi e Barkan possiedono tutte vigneti nelle alture del Golan, mentre le aziende Teperberg 1870 e Binyamina operano in Cisgiordania.
5. Victoria’s Secret
Victoria’s Secret è stata presa di mira dalla campagna BDS per il luogo in cui si approvvigiona dei tessuti. La piĂš grande marca di biancheria intima americana si procura i tessuti presso la Delta Galil Industries, unâazienda con un magazzino nella zona industriale di Barkan, una colonia israeliana in Cisgiordania. Lâazienda ha inoltre aperto dei punti vendita a Ma’aleh Adumim e Pisgat Ze’ev, entrambi nei territori occupati. Colonie di questo tipo ditruggono la contiguitĂ di un futuro stato Palestinese e sono generalmente considerate il maggior ostacolo al successo del processo di pace. Victoria’s Secret non è però lâunica azienda che compra i propri materiali da industrie che si trovano nelle colonie: Delta Galil rifornisce anche aziende come Walmart, Calvin Klein, Nike e Columbia, tra le altre.
6. Humus Sabra
Lâappropriazione del cibo è una grossa questione in Medio Oriente, in cui lâadozione di falafel e humus come cibo nazionale israeliano è oggetto di disputa con i palestinesi. Tuttavia Sabra è presa di mira dal movimento BDS per altri motivi: il maggior produttore americano di humus è di proprietĂ del Gruppo Strauss, unâazienda israeliana che ha forti legami con lâesercito israeliano. La societĂ ha infatti âadottatoâ la Brigata Golani, una âunitĂ di eliteâ dellâEsercito Israeliano che ha una cattiva reputazione, che âva dalle rivolte contro i comandanti ai maltrattamenti e violenze conto i palestinesiâ, secondo quanto riferisce Haaretz. I soldati della Brigata Golani erano in prima linea durante lâOperazione Piombo Fuso, lâaggressione a Gaza in cui furono uccisi circa 1400 palestinesi. A quanto pare la Strauss forniva i pranzi, proclamando sul prioprio sito web di fornire âprodotti alimentariâ per le missioni e âconfezioni individuali per ciascun soldatoâ. Dopo che gruppi appartenenti al movimento BDS americano hanno preso di mira Sabra nel 2010, la Strauss ha tolto queste parole dalle pagine riguardanti la responsabilitĂ sociale dâimpresa, ma non si è pronunciata riguarda alla richieste di togliere lâappoggio ai soldati delle forze armate israeliane.
7. Datteri Medjool
Questi datteri dolcissimi sono tra i principali alimenti palestinesi, e vengono tradizionalmente mangiati per interrompere il digiuno del Ramadan. Oggi però piĂš di metĂ del raccolto di datteri medjool è prodotta da Israele, spesso nelle colonie situate in terra palestinese e specialmente nella valle del Giordano. Qui sono state registrate pratiche di lavoro illegale di notevoli proporzioni: nel 2008 si scoprĂŹ che 7000 bambini palestinesi lavoravano nelle aziene agricole produttrici di datteri nelle colonie. Inoltre, spesso si nasconde il fatto che i datteri provengono dalle colonie apponendo lâetichetta âprodotto in Israeleâ. Hadiklaim, uno dei maggiori produttori nelle colonie, commercializza i propri prodotti con i marchi Jordan River, Jordan River Bio-Tops e King Solomon.
8. Acqua Eden Springs
Molta dellâacqua in bottiglia Eden Springs, commercializzata in universitĂ , enti locali e altre istituzioni, proviene dalle sorgenti di Salukia nelle alture del Golan.Lâoccupazione del Golan da parte di Israele è stata condannata dallâONU, e, come ci ricorda lâorganizzazione israeliana per i diritti umani B’Tselem, il diritto internazionale concede alle forze occupanti un uso limitato delle risorse idriche in territorio occupato. Nonostante ciò, i coloni nel Golan possono usare lâacqua fino a 17 volte a testa piĂš di quanto possano fare gli altri abitanti dellâarea, uno stato di cose in cui lo sfruttamento commerciale delle sorgenti non aiuta.
9. Hewlett Packard
Lo slogan di Hewlett Packard âse fai qualcosa, fa in modo che sia importanteâ è stato prevedibilmente coniato a Silicon Valley. Per i palestinesi, tuttavia, alcune delle cose di HP sono piĂš importanti di altre. Lâazienda possiede EDS Israel, che fornisce il sistema di computer del Ministero della Difesa israeliano e produce attrezzatura di alta tecnologia come il Basel System, un sistema biometrico di permessi che controlla il movimento dei lavoratori palestinesi attraversi i checkpoint a Gaza e in Cisgiordania. Lâattrezzatura HP è usata dal sistema carcerario e dallâesercito israeliano, e lâazienda ha anche investito nello sviluppo tecnologico degli insediamenti illegali, prendendo parte al progetto Smart City ad Ariel.
concordo con Noam,piĂš che assomigliare al Sudafrica,io credo che la Palestina farĂ la fine del Tibet.troppi interessi economici in ballo.