Quando si ragiona di un mondo senza il dominio del profitto dovremmo pensare a un rovesciamento radicale del sistema che non cerca in nuovi “rapporti di produzione” il rimedio alle ferite inferte dal capitalismo alla vita e all’integrità degli ecosistemi. Secondo Guido Viale occorre dare spazio a quelle pratiche con le quali creiamo mondi nuovi giorno per giorno: si tratta di “occupare spazi, sostituire funzioni, ridimensionare le catene di approvvigionamento, proporre e imporre soluzioni alternative allo sfruttamento…”. In questo scenario ha senso recuperare parole-concetto come cura, mutualismo, reddito di base, riduzione del tempo di lavoro, autogestione…
Molte compagne e compagni (di strada?) insistono nel qualificare le loro idee, prassi e lotte come “anticapitaliste” senza mai chiedersi veramente che cosa significhi. Per molti è sottinteso che al di là del capitalismo non può esserci che un esito obbligato: il comunismo o il socialismo; che il capitalismo non sia che un bozzolo entro cui cresce una larva pronta a trasformarsi in farfalla e a spiccare il volo quando il bozzolo verrà perforato. Non la pensava così Marx, che sosteneva sì, che il capitalismo alleva in seno il suo antagonista, ma rifiutava di delineare la società futura perché non aveva mai pensato che fosse già tutta presente in nuce in quelle “forze produttive” a cui il capitale impedirebbe di manifestare le proprie potenzialità. Che è invece una tesi, mai pienamente esplicitata, presente in molti scritti del neo-operaismo.
La questione investe il rapporto tra le forme dei conflitti e delle iniziative che si scontrano con il dominio del capitale e i connotati di un “altro mondo possibile”.
Oggi al modello di comunismo come statalizzazione di tutti gli aspetti della vita – passaggio obbligato verso la società senza classi – non si rifà più nessuno: è fallito per sempre con l’esperimento sovietico. E nessuno pensa più il socialismo come nazionalizzazione della grande industria e programmazione dello “sviluppo”, a cui aprirebbe la strada la concentrazione del potere economico. Ma, soprattutto a partire dal Sessantotto, e anche prima, ci si è spesso accontentati di considerare il comunismo “il movimento reale che abolisce lo stato di cose presente”, senza cercare nelle forme assunte dalle lotte in corso la prefigurazione, se non di una società futura, per lo meno di una direzione di marcia. Il rimando, spesso solo verbale, al comunismo o al socialismo ha finito per nascondere un vuoto di pensiero sufficiente a spiegare il fallimento delle sinistre a livello mondiale: discutere del futuro è tempo perso o mera fantasticheria.
L’ecologia ci ha in parte liberato dalla gabbia di quell’esito scontato, mettendo in discussione l’impianto produttivista, “sviluppista” e antiecologico di un approccio comune – anche quando non esplicito – a gran parte delle forze che si pongono in continuità con la storia del movimento operaio. Mano a mano che si faceva evidente il rapporto tra le tante sofferenze umane – soprattutto dell’umanità più sfruttata ed emarginata – e quelle del mondo della natura si dissolveva anche il senso di un “anticapitalismo” incapace di coglierne la centralità. Per alcuni, anzi molti, non c’è problema: l’ecologia deve solo correggere un eterno presente a cui non c’è alternativa. Ma per l’ecologia integrale – che fa coincidere lotta per la giustizia sociale e lotta per la salvaguardia della Terra – quel rapporto ingiunge un rovesciamento radicale del sistema che non cerca più solo in nuovi “rapporti di produzione” il rimedio alle ferite inferte dal capitalismo alla vita e all’integrità degli ecosistemi.
Su quel rovesciamento è in corso un dibattito che il manifesto ha da tempo promosso, ma che non sempre mette a fuoco il suo legame con la questione dei beni comuni – tali solo se gestiti da una comunità aperta – come alternativa alla proprietà, sia privata che statuale, delle risorse fondamentali; ma anche con una rinnovata critica del lavoro come attività per lo più nociva per chi la svolge e per ciò che produce e imposta con il ricatto di disoccupazione e miseria; per mettere al centro l’obiettivo della cura, cioè di attività liberamente scelte che includano, accanto alla produzione di beni essenziali, tutte gli impegni legati alla riproduzione sia della vita che delle relazioni su cui si fonda una comunità e il suo rapporto con un territorio. È una prospettiva legata a pratiche quotidiane che non escludono né antagonismo né conflitto aperto, ma con un perimetro più ampio di elaborazioni e prassi mutualistiche, come quelle che avevano accompagnato gli esordi del movimento operaio, ovviamente adattate ai tempi nostri. Dentro cui rivendicazioni come reddito di base, riduzione del tempo di lavoro, salario minimo, servizi sociali e istruzione pubblica ma autogestita sono sì strumenti di rottura con gli assetti in atto, ma richiedono fin da ora la presa in carico, in forme condivise, del tempo e delle potenzialità che possono liberare. Come ci si arriva? O, meglio, come procedere lungo questa strada? Che non ha come “sbocco” una conciliazione finale tra individui, interessi, fedi e classi diverse, e nemmeno tra la nostra specie e il mondo della natura, bensì la conquista di una condizione ogni volta da rinnovare che non cesserà di essere problematica e conflittuale.
Occorre forse convincere prima tutti che non c’è altra via, perché i disastri ambientali e sociali in corso ci fanno già vedere, e in parte vivere, le forme che potrà assumere l’estinzione della vita umana sulla Terra? No. Non ha funzionato nei cinquant’anni e più di allarme sulle condizioni del pianeta; non funziona né funzionerà neanche ora. Oppure bisogna aspettare un collasso del sistema? Collassi del genere li abbiamo già attraversati, li stiamo attraversando e saranno sempre più frequenti: sono diventati la condizione stessa di esistenza del sistema. Che ogni volta ha proseguito per la sua strada, anche rinunciando a qualcuna delle sue funzioni: occupazione, redditi decenti, welfare, sicurezza; ma anche a qualche linea di approvvigionamento delle sue unità produttive e di tante esistenze umane. È una deriva sotto i nostri occhi anche con questa pandemia. Ma è in quei vuoti che deve sapersi inserire l’iniziativa di chi lavora a rovesciare il mondo giorno per giorno: occupare spazi, sostituire funzioni, ridimensionare le catene di approvvigionamento, proporre e imporre soluzioni alternative allo sfruttamento e al profitto nel lavoro e nel welfare: le pratiche sperimentate sono tante; i risultati, finora, scarsi e “di nicchia”; ma concorrono tutti a mettere a punto una prospettiva generale per orientarci là dove la crisi colpisce di più.
Una versione più breve di questo articolo è apparsa su il manifesto del 7 aprile 2021. Altri articoli di Guido Viale sono leggibili qui
luigi bertuzzi dice
Per iniziare a “rovesciare il mondo giorno per giorno” ci vorrà un salto quantico dell’umana consapevolezza.
L’evento “pandemia” dovrebbe averVi dato il contributo energetico per farVelo compiere.
Parole di un nonno.
stella gaetano dice
IL MIO COMMENTO-CONTRIBUTO E’ QUESTA “POESIA” DEDICATA A FRANCESCO. La mia è una “religiosità laica”. NON SONO CATTOLICO. E SONO CONVINTO che “laudato sì”sia un testo che segna una “svolta storica”. Anche se i primi a non averlo letto sono proprio i cattolici. Senza parlare della “sinistra”. Sinistra quale? Quella che ha partorito “il cialtrone di rignano”? Quella che ha fatto “la guerra giusta”? Quella che ora è al govero con B. “il fascista padano” Il BANCHIERE GOLDMAN SACHS?E con ilgenerale con la penna e la tuta mimetica e i 500000 vaccini al giorno..mai visti…o quella che tace sul voto al WTO e la “condanna” ‘ già in atto (BOLSONARO IL CRIMINALE…dopo TRUMP e i suoi seguaci…) alla NUOVA SHOAH ? …g.s.REINVENTARE IL MONDO- a Papa Francesco
Confinati nella nostra solitudine
Immersi nella solitudine generale
In attesa/sospesa della fine del tunnel
Mentre quotidianamente si sgretola
La speranza di un ritorno all’antico
Più o meno sospirato sognato desiderato
Da ognuno secondo il suo luogo abitato
Da ognuno dove sopravvive confinato
Tutti dentro una cappa di piombo
Che sovrasta dall’alto la vita del mondo
Prima abbiamo visto nelle strade deserte
Nei canti ai balconi e alle finestre
Come l’annuncio di una rinascita/redenzione
Mentre il virus ci toglieva l’aria
La magia delle circostanze ci ridava il respiro
In luoghi e città finalmente disinquinate
Aperte liberate ritrovate re-inventate
Ed anche gli uccelli volavano sereni
Come i canti dell’usuale cantato insieme
E la musica che celebrava il tempo ritrovato
In una distanza tra vicini riaccorciata
Era suggello e sinfonia di una possibile utopia
… ma il sogno o l’illusione non ha trovato interpretazione
Ed è diventato/a una suggestione
O forse sedimentazione in chi resiste cuore e ragione
Ed il potere trasversale globale non ha prodotto cooperazione
Non ha generato l’umano re-inventato
È ritornato alla predazione accumulazione
Avidità menzogna competizione
Che è disuguaglianze morte devastazione
E via verso la distruzione estinzione
E’ il sistema generalizzato fondato su profitto e mercato
Ritrovare lo sguardo interrelato e rifondato
Sentire/curare l’altro la vita l’ambiente
Fare pace con tutti i viventi
Trovare il linguaggio della sobrietà
Dell’accoglienza del dono della gratuità
Dare ad ognuno il necessario e la libertà
E’ valore ideale e compito per (di) una nuova umanità
Gaetano Stella –Lago di Chiusi -14-4-2021
Lorenco dice
Rovesciare il mondo giorno per giorno potrebbe sembrare un compito titanico, ma spesso sono i piccoli gesti quotidiani che portano al cambiamento più significativo.