In Prima e dopo il 4 marzo spieghiamo perché abbiamo aperto uno spazio circoscritto dedicato alle elezioni. Ai diversi articoli già raccolti affianchiamo un’intervista a Giulio Marcon. Tra i fondatori nel 1999 della campagna Sbilanciamoci e presidente del gruppo di Sinistra Italiana-Possibile alla Camera nell’ultima legislatura, alle prossime elezioni è candidato per LeU al Senato. In questa conversazione ragiona, tra le altre cose, di spese militari, di conversione ecologica, di “piccole opere”, di riduzione dell’orario di lavoro. Alcuni anni fa Marcon ha scritto un libro su come fare politica senza entrare in un partito: oggi, spiega, c’è bisogno di rompere il campo autoreferenziale della politica dei partiti
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Intervista della redazione di Comune a Giulio Marcon*
In quale scenario sociale e culturale, prima ancora che politico, si va alle urne?
Le prossime elezioni si collocano in un contesto difficile. Sono aumentate la povertà, la disgregazione sociale, il senso di insicurezza. Tutto ciò ha alimentato paure che sono state strumentalizzate dalle forze di destra, xenofobe e razziste. È sempre più difficile tenere coesa una comunità attraversata da profonde diseguaglianze, impoverimento economico, ansia per il futuro. La politica, o una parte di essa, ha cavalcato queste paure o ha dato una risposta populista, senza essere in grado di affrontare e risolvere i problemi.
La lotta senza tregua all’immigrazione è uno dei punti chiave delle destre, nuove e vecchie, dalla Lega a CasaPound passando per Forza Italia, Movimento Cinque stelle e i fan del ministro Minniti. La crescita del razzismo nei piani bassi della società è una conseguenza della propaganda politica oppure sono le forze politiche che si alimentano di quanto accade?
I numeri dei flussi migratori sarebbero facilmente gestibili, se fossero governati con efficienza, responsabilità e senso di solidarietà, evitando gli allarmismi e il tono emergenziale di molti proclami e di molte decisioni. Il razzismo viene alimentato “dall’alto” e dalla incapacità di gestire un fenomeno complesso, ma sostenibile per il nostro paese. E, oltretutto, viene alimentato da provvedimenti – come i decreti Minniti – che criminalizzano la povertà e limitano il diritto d’asilo.
La guerra, il cambiamento climatico e la crisi ecologica non sono al centro delle attenzioni. Nel caso fossi eletto quale percorso su questi temi vorresti contribuire ad avviare?
Contro la guerra, servirebbe una politica di riduzione delle spese militari, di limitazione – che purtroppo ha tante falle – del commercio degli armamenti e una politica attiva di pace. In secondo luogo serve una politica di riconversione ecologica dell’economia fondata su alcune proposte: un piano per la mobilità sostenibile e le energie rinnovabili, un programma di piccole opere per la messa in sicurezza del territorio, la limitazione fino alla eliminazione dei cosiddetti “sussidi perversi” alle imprese che sono causa di inquinamento e degrado dell’ambiente.
Tra le Dieci proposte per la prossima legislatura della Campagna Sbilanciamoci! quali ti sembrano le più urgenti da applicare?
Un piano del lavoro con lo stato come “datore di lavoro di ultima istanza”. Un programma di “piccole opere” per la messa in sicurezza del territorio e delle scuole. La cancellazione del programma F35 e la riduzione del 20 per cento delle spese militari. L’innalzamento della spesa della sanità e della scuola rispettivamente al 7,5 per cento e al 4,5 per cento del Prodotto interno lordo. Una tassa patrimoniale su beni mobili ed immobili superiori al milione di euro. La riduzione dell’orario di lavoro a 32 ore. La revisione radicale della riforma Fornero, abbassando l’età pensionabile a sessantatré anni (o quarant’anni anni di contributi) e distinguendo tra i tipi di lavoro. L’approvazione dello ius soli. L’abrogazione delle tasse universitarie. Il cambiamento della attuale legge elettorale fortemente lesiva dei diritti dei cittadini.
La critica allo sviluppo, nonostante tutto, almeno a un livello superficiale sembra finalmente piuttosto diffusa. Tra gli altri, in un recente articolo pubblicato su Comune, Paolo Mottana (docente alla Bicocca), mette al primo posto, tra le proposte che non sarebbe male trovare nei programmi elettorali, l'”abbattimento del feticismo della crescita“. Cosa ne pensi?
Bisogna uscire dalla crisi in un modo diverso da quello con cui si è entrati. Dobbiamo interrogarci su “cosa produrre, cosa consumare”. La crescita per la crescita non ha senso. Di quale crescita parliamo? Di quella della spesa militare o di quella degli asili nido? Il modello di sviluppo sin qui seguito è distruttivo, energivoro, senza futuro. Serve una economia di giustizia che rimetta in discussione il paradigma dello sviluppo e sappia usare la nozione di “limite” come guida di produzioni e consumi diversi ispirati alla sobrietà, al rispetto dell’ambiente, della persona. Serve, come ricordava Alex Langer, una “conversione ecologica” dell’economia e della società.
Intanto, la riemersione del movimento delle donne nelle sue diverse sfumature, è una delle novità che ovunque mostra la capacità della società di ripensare se stessa in profondità, pur tra enormi difficoltà. Come fare tesoro di questa straordinaria riemersione?
Il movimento delle donne può insegnare molto alla politica e alla società: rimette in discussione la visione maschile del potere, intrisa di dominio e di violenza, propone un’idea orizzontale e aperta delle relazioni politiche e sociali, si congiunge con il pensiero pacifista della nonviolenza. Una delle principali diseguaglianze è proprio quella tra le donne e gli uomini. Il movimento femminista ci insegna ad affrontarla, proponendoci un nuovo modo di stare insieme, sconfiggendo un modello patriarcale che è alle origini dei rapporti di dominio che le donne devono subire.
Conosciamo da anni il tuo percorso politico, consentici un’ultima domanda che non è certo accompagnata da retorica né polemica: ritieni sia ancora possibile fare politica al di fuori dai partiti e dalle istituzioni, oppure credi che dovranno passare probabilmente alcuni anni perché la società esprima questo bisogno?
È possibile, e si deve, fare politica fuori dai partiti e dalle istituzioni. Questo non toglie che si possa fare politica anche nei partiti e nelle istituzioni. Il problema non è il “derby” tra il fuori e il dentro. I problemi in realtà sono due. Il primo: la politica deve allargare lo spazio – che oggi è un recinto presidiato dai partiti – in cui le diverse forme del fare politica – partiti, movimenti, comitati, ecc – possano esprimere il proprio protagonismo e la propria soggettività e per questo servono procedure e strumenti nuovi, una nuova forma di democrazia. Il secondo: in questo contesto bisogna declinare il principio della “pari dignità” delle diverse forme della politica, ciascuna con il proprio ruolo e la propria funzione: servono norme e pratiche concrete capaci di rompere il “campo” autoreferenziale della politica dei partiti, riconoscendo a tutti i soggetti il ruolo di costruzione del bene comune e dell’interesse generale.
*Tra i fondatori nel 1999 della campagna Sbilanciamoci e con Goffredo Fofi delle Edizioni dell’asino, docente di Politiche sociali alle università di Urbino e Cosenza, è autore di diversi libri, tra cui Sbilanciamo l’economia. Una via d’uscita dalla crisi (con Mario Pianta per Laterza) e Come fare politica senza entrare in un partito (Feltrinelli). Eletto con Sel negli ultimi mesi è stato presidente del gruppo di Sinistra Italiana-Possibile alla Camera: nelle prossime elezioni è candidato per LeU al Senato (Veneto).
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