Se ne è parlato, salvo lodevoli eccezioni, molto poco a Roma, ma c’è una enorme ricchezza che è emersa con sorprendente naturalezza e notevole capacità di fare durante la pandemia. L’hanno mostrata le reti di solidarietà e mutualismo in diversi quartieri, soprattutto in quelli meno centrali. Sarebbe davvero un lusso che la città non può permettersi quello di ignorare quella ricchezza fatta di gratuità, cura di sé e degli altri e di appassionato impegno. Così come lo sarebbe il lasciarla disperdere senza offrirle prospettive e sostegno. Anche, e forse soprattutto, per questo è stato lanciato un programma comunitario che si chiama “periferiacapitale”. L’idea di base è stata semplice, il suo sviluppo ci è sembrato interessante. Lo racconta Domenico Chirico della Fondazione Charlemagne, che lo ha lanciato
Foto di Daniele Napolitano tratta dal Fb di Quarticciolo Ribelle
Da due anni la la Fondazione Charlemagne ha lanciato un programma comunitario dedicato a Roma, periferiacapitale. L’idea di base è stata semplice: come si possono valorizzare le centinaia di esperienze sociali, culturali, ambientali, sportive che animano la città? Soprattutto in assenza di attori pubblici interessati a farlo? Spesso, e da anni, in modo sotterraneo tantissime persone operano per la città e per le sue comunità prendendosi cura del territorio e di chi ci vive. Questa enorme ricchezza umana è emersa con forza durante la pandemia in cui si sono strutturate reti di solidarietà e mutualismo in molti quartieri. Basate su gratuità, volontariato, solidarietà. Soprattutto sono emerse nei quartieri meno centrali, dove c’erano già tessuti sociali solidali al lavoro su altre tematiche.
Periferiacapitale durante la pandemia ha scelto di sostenere queste realtà comunitarie. Identificando, al momento in tredici municipi, organizzazioni sociali, collettivi, cooperative, gruppi religiosi che al di là del singolo e specifico servizio erogato hanno un interesse verso la comunità. Verso chi abita la città ed i suoi quartieri. Ed hanno la forza, o l’intenzione di avere un approccio che guarda alle persone e non ai singoli problemi o peggio alle categorie di disagio come la logica progettuale ha spesso imposto negli ultimi anni. Per questo il programma ha scelto di sostenere non dei progetti ma le strutture, chiedendo alle organizzazioni di proporsi per un finanziamento ai loro costi vivi e di funzionamento. In modo da facilitarne il lavoro e da rafforzarne l’azione territoriale. Per capirci: la bolletta della luce della sede, l’affitto se pagato, il personale e tutto ciò che serve ad un’organizzazione a vivere ed operare al meglio.
Periferiacapitale ha poi offerto ad ogni organizzazione la possibilità di scegliersi un programma formativo negli ambiti che ritenevano più utili al loro lavoro. Sono nate quindi iniziative formative per tutti su temi propri del terzo settore (amministrazione, raccolta fondi, comunicazione) sia su temi specifici che ogni gruppo ha ritenuto utile approfondire. Dalla gestione di sistemi complessi, alle dipendenze, all’incontro con pugili federali. Ognuno ha scelto in base alle proprie esigenze.
Accanto a ciò il programma ha un suo filone di intervento in ambito culturale, co-finanziando festival, produzioni, sale cinematografiche che abbiano come scopo l’animazione dei territori ed il dialogo con la città ed i suoi quartieri. Roma ha un scollamento tra i molti eventi in alcuni quartieri ed i pochi in tantissima parte della città. Periferiacapitale prova ad intervenire ovunque, possibilmente co-finanziando eventi piuttosto che sostenendoli completamente. Il sostegno culturale prova anche ad alimentare un racconto non retorico di Roma e delle sue periferie. Un racconto asciutto ed analitico di miserie e nobiltà e del quotidiano, come fa il podcast Sveja ogni giorno.
Altro pilastro del lavoro del programma è l’intervento in campo ambientale con l’associazione A Sud per il momento. Si è scelto di costruire insieme un intervento che potesse coinvolgere diversi comitati ambientali attivi in città per rafforzarne le capacità e formarli sulla citizen’s science. In modo da rendere l’attivismo strumento di advocacy e partecipazione civica che possa avere un forte impatto. La formazione è stata anche sul monitoraggio di acqua, terra ed aria della città in modo che il discorso sulla città non sia sempre schiacciato sulla questione – pur importante – del ciclo dei rifiuti ma possa guardare a tutto l’ecosistema cittadino. Ed in buona sostanza alla qualità della vita a Roma.
E poi c’è la ricerca che a Roma è poco sistemica se a favore della città. Non essendoci, come a Torino o Milano, un politecnico che lavora affianco all’amministrazione pubblica per le strategie territoriali. Ed in questo senso si è scelto di lavorare con alcuni dei gruppi che da anni si occupano della città e ne propongono una visione trasformativa e sostenibile. Come il caso del Dicea de La Sapienza che da anni investe su urbanisti, antropologi, sociologi che leggono e analizzano la città ed i suoi quartieri proponendo soluzioni alle molte storture esistenti. O Mapparoma che ha elaborato un sistema accessibile di dati per leggere le diseguaglianze.
Ed i dati di Mapparoma sono risultati importanti anche per scegliere le aree di intervento di periferiacapitale anche se non ci si è limitati ai soli indicatori statistici ma si è scelto di intervenire anche nella cosiddetta città degli invisibili. Ed in particolare in alcune occupazioni abitative dove sono alloggiati centinaia di minori e dove le diseguaglianze sono evidenti anche se non censite.
Infine il programma per Roma della Fondazione ha creato una linea dedicata ai co-finanziamenti, ovvero un fondo che sostiene la partecipazione delle organizzazioni sostenute, dei Municipi o di altre realtà che lavorano per il territorio, a bandi ragionali, nazionali ed europei. Questo è forse lo strumento più difficile da utilizzare soprattutto con le amministrazioni pubbliche ma in prospettiva potrebbe rafforzarne il lavoro e l’impatto sia in ambito fondi Pnrr sia, e soprattutto, nella nuova programmazione dei fondi europei 2022-2027.
Più in generale il programma prova a mobilitare anche altri fondi privati a sostegno dei territori dove interviene. In questo modo si cerca di fare un lavoro sistemico e non finanziamenti una tantum, che magari sono utili ma non hanno una prospettiva di medio lungo periodo. E soprattutto non possono contribuire alla trasformazione dei territori che richiede tempo, pazienza e cura.
Concretamente di cosa stiamo parlando? Di realtà come la palestra del Quarticciolo, dove si è sostenuta la creazione della nuova struttura che vede insieme centro anziani, sportello sociale, gruppo di madri del quartiere e palestra. Una casa di quartiere dove si incontrano saperi e generazioni e dove ogni giorno si contribuisce all’inclusione sociale. Il merito ovviamente è delle molte persone che animano questo processo comunitario ma il sostegno di un privato in questo caso è stato d’aiuto per non aspettare che il pubblico si accorgesse di loro, per dare risposte alle persone del quartiere già provate – anche – dalla pandemia, per restituire un luogo alla socialità ed alla vita comune. Ed anche per creare un laboratorio che sta elaborando proposte concrete a favore del territorio e dei suoi abitanti.
O parliamo del parco di Villa Bonelli, dove l’associazione Disambigua giuda il gruppo di soggetti che hanno ripreso il chiosco bar e stanno riaprendo quel luogo agli abitanti del quartiere e della Magliana, offrendo attività sociali e culturali, spazi di socialità e di nuovo una visione di vivere in comune, nei beni comuni, che valorizza le economie sociali.
E poi c’è l’esempio di Pietralata, dove nel campo XXV Aprile l’associazione Liberi Nantes realizza attività sportive per il quartiere e si è sempre più aperta alle esigenze del territorio. Facendo in modo che lo storico campo sportivo possa ritornare ad essere il centro della vita sociale del quartiere.
Tanti sono gli esempi virtuosi, le complessità e le sfide. Ed anche i possibili fallimenti. Ovunque ora è necessario un accordo con il pubblico che sia di reale valorizzazione di queste esperienze. E che guardi al futuro intanto risolvendo i mille problemi burocratici che queste organizzazioni hanno nel relazionarsi con l’amministrazione o nel gestire dei beni Ater, che dieci volte su dieci non sono a norma. A partire dai Municipi ci vorrebbe una grande azione di advocacy che recepisse ognuna di queste buone pratiche territoriali e le sapesse trasformare in politiche sociali ed economiche del territorio. E su questo cammino sarebbe possibile sia mobilitare molti altri soggetti della filantropia privata sia diversi altri fondi. E’ già avvenuto in altre città italiane, come Napoli per non guardare lontano, dove processi di rigenerazione sociale ed urbana hanno poi portato economie positive nei territori.
Le azioni eccezionali e virtuose realizzate nei singoli quartieri possono diventare pratiche sociali diffuse. Ad un programma come periferiacapitale spetta valorizzare chi da anni sta “lottando”, investire sull’innovazione sociale che molti di questi processi hanno in sé, accompagnare il rafforzamento delle organizzazioni e la rigenerazione dei loro territori. Ma questo impegno, che nasce dalla libertà propria della filantropia privata, deve essere complementare alla presenza pubblica, al necessario coordinamento delle istituzioni che ora con i fondi europei, il giubileo, l’Expo hanno una chance per cambiare Roma, in meglio. Però l’intervento pubblico deve materializzarsi ascoltando ed affiancando chi sta operando nei quartieri da anni e che è espressione di processi sociali partecipati e non di interessi di pochi.
Un’alleanza per Roma e per le sue buone pratiche potrebbe essere lo strumento più adatto se è capace di coinvolgere soggetti pubblici e privati uniti dall’interesse per il vivere comune e senza fini speculativi. E questa alleanza potrebbe dotarsi di case di quartiere o poli civici che stimolino la comunità ad essere protagonista nel futuro della città. O di fondi dedicati ai singoli quartieri per investire nelle loro potenzialità e strutture o, ancora, di sostegno alle comunità energetiche ed ai patti educativi di comunità, o ai patti di collaborazione.
Non mancano le idee per Roma, non mancano le esperienze in città e fuori. Del resto è grazie a Comune-info (vedi il lavoro fatto per il libro Trasformare i territori e fare comune a Roma) che molte relazioni sono state avviate dal 2020 ma era necessario che qualcuno si rimettesse a tessere. Ed ora è ora di ragionare insieme per vivere meglio l’Urbe, tutte e tutti.
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