Scienziato e filosofo, pacifista, molto impegnato negli ultimi anni sui temi della decrescita e nelle battaglie con i migranti, a ottantasette anni è morto nei giorni scorsi a Parigi Albert Jacquard. I suoi saggi sono prima di tutto una critica al capitalismo, ma anche un modo per ricordare che una crescita infinita è incompatibile con un pianeta finito. Serge Latouche ci ha inviato questo articolo per ricordare la vita e il pensiero di Jacquard
di Serge Latouche
Albert Jacquart ci ha lasciato questo mercoledì 11 settembre 2013, all’età di ottantesette anni a causa della leucemia. Nel nostro ultimo incontro, venerdì 10 maggio, a pranzo con Hélène Amblard, sua complice da trent’anni, organizzato da Jean-Paul Barriolade nostro editore comune (Sang de la terre), per parlare del suo prossimo libro (Réinventons l’humanité), era già molto debole e non poteva più comunicare se non attraverso Hélène.
Non conoscevo Albert Jacquard quando ho cominciato nel 2002 a diffondere il messaggio della decrescita. Pur avendo in mente alcuni riferimenti del suo pensiero, conoscevo molto poco i suoi scritti. L’ho incontrato per la prima volta durante una tappa della lunga marcia della decrescita, nel luglio del 2005, partita da Lione per arrivare a Magny-cours per denunciare lo scandalo, l’assurdità e lo spreco di risorse delle corse dei circuito della Formula 1. Eravamo fratelli a nostra insaputa.
Albert Jacquard era genetista, dunque uno scienziato dalle scienze dure, ma non solo per l’importanza che attribuiva all’etica della ricerca, ed è stato anche un filosofo, nel senso etimologico del termine, cioè un amante della saggezza, qualità troppo rara oggi tra gli scienziati e che egli mostra nel suo ultimo libro a fondo.
Tuttavia, ciò che si scopre particolarmente nel leggere queste interviste con Hélène Amblard, è che si può mettere tra parentesi la scienza e parlare con emozione delle cose familiari della vita. E non è tanto nelle obiezioni alla crescita da scienziato che troviamo i segreti dell’uomo, quanto nella sua esperienza quotidiana di cose della vita, quella di un cittadino del mondo che conosce anche l’abitare la terra come un poeta.
In ogni caso, ciò che ha sigillato la nostra complicità è il «paradosso della ninfea», questa parabola che riassume il messaggio della decrescita. Con il «paradosso della ninfea», che è anche il titolo di un libro (L’Équation du nénuphar, Calmann-Lévy, Paris 1998, ndt), Albert Jacquard, infatti, cerca di far comprendere agli studenti, con la sua bella semplicità e con il suo innegabile talento pedagogico, la formula «CM2» (che lui preferisce alla famosa equazione di Einstein E=MC2…), questa cosa che i nostri politici non riescono a capire, e cioè che la crescita infinita è incompatibile con un pianeta finito. «Dobbiamo tenere a mente che un aumento di 2 a 100 in un anno, che sembra modesto e ragionevole, è una vera esplosione quando si pensa a lungo termine, essendo ottenuto il raddoppio in meno di trentacinque anni, una moltiplicazione per otto alla fine di un secolo, sessantaquattro dopo due secoli e dopo venti secoli…». Albert Jacquard si rivela un «obiettore della crescita» della prima ora e un precursore della decrescita. Mette a nudo il cuore, l’irragionevolezza del sistema, e cioè la volontà di piegare l’economia alla ragione geometrica.
Il suo umanesimo/universalismo, forse un po’ naïf, ma legato alla sua generosità, lo ha portato a partecipare a tutte le lotte contro le ingiustizie e l’irrazionalità del sistema, dal diritto all’abitare alla lotta contro l’aeroporto di Notre Dame, passando per l’anti-nuclearismo, l’anti-pub (il movimento di critica della pubblicità, ndt), la lotta contro il cibo spazzatura e contro gli incentivi per l’auto, ecc. L’adesione al movimento della decrescita e la sua partecipazione a vari eventi sono avvenuti in modo naturale. «Ogni crescita – dice – incontra presto il suo asintoto». Per non aver rispettato i limiti fissati dalla natura, «occorrerà tendere verso processi a circuito chiuso, ciò che rende necessario un periodo di decrescita, dunque».
La trasposizione che ha fatto una volta dalla critica della logica della crescita alla disoccupazione è ancora valida. «Un campo dove i numeri – scrive – rischiano molto di essere più un camuffamento che un sviluppatore della realtà e l’attualità economica (…) Ogni giorno, i giornali e le radio ci dicono che la crescita del Prodotto interno lordo è solo del 2,3 per cento l’anno, il numero dei disoccupati è aumentato dal 3 per cento, ci vorrebbe dunque un aumento del 4 per cento per cominciare a ridurre questo tasso di disoccupazione…». Secondo i suoi calcoli, una crescita del Pil francese del 4 per cento l’anno si tradurrebbe in un calo del tasso di disoccupazione del 2 per cento. Di questo passo, in cinquant’anni, il Pil aumenterebbe al 7 (più 600 per cento), ma il numero dei disoccupati arriverebbe soltanto al 64 per cento. Dato che la disoccupazione in tutte le categorie riguarda 5 milioni di persone nel 2010, saremmo ancora lontani dalla piena occupazione nel 2060, quando sarebbero rimasti poco meno di 2 milioni di disoccupati.
E aggiunge giustamente: «La conoscenza di questo fatto avrebbe impedito a un ex primo ministro, giudicato tuttavia molto intelligente, di desiderare una crescita dei consumi superiore al 4 per cento per i prossimi trent’anni come strumento di riduzione della disoccupazione. Nel trarre le conclusioni dal tasso desiderato, avrebbe constatato che questo cambiamento avrebbe necessariamente comportato un aumento dei consumidi quattro volte, che è difficilmente compatibile con le risorse limitate del pianeta e la sua capacità di assorbire i nostri rifiuti».
Una riflessione che i vertici del partito socialista al potere, che non mancheranno di rendere omaggio al grande scienziato scomparso, farebbero bene a meditare.
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Questo articolo, inviato dall’autore, è stato pubblicato in francese anche su Reporterre. La traduzione è di Comune-info. Altri articoli di Latouche sono leggibili QUI.
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ALBERT JACQUARD
Scienziato e ricercatore in genetica, filosofo, pacifista, a ottantasette anni è morto nei giorni scorsi a Parigi Albert Jacquard. Negli ultimi anni si è dedicato, tra una battaglia con i migranti e gli studi di genetica, ai temi della decrescita. Il libro più noto è «Elogio della diversità». Tra i testi tradotti in italiano, «L’equazione della ninfea. I numeri, le scienze e altre inconfessabili perversioni» (Piemme), «Dall’angoscia alla speranza. Una lezione di ecologia umana» (Mendrisio Academy Press), «Processo all’economia» (Ecig), «Il valore della povertà. Un grande scienziato ateo riscopre l’attualità del messaggio di Francesco d’Assisi» (Neri Pozza).
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IL PARADOSSO DELLE NINFEE
In alcuni articoli e libri Serge Latouche ricorda il «paradosso delle ninfee», che normalmente si riproducono raddoppiandosi ogni giorno, rischiando in questo modo di coprire l’intero specchio acqueo dello stagno, impedendo la continuazione di ogni forma di vita al suo interno. La loro crescita dunque rischia di soffocare la vita. Il mondo, secondo Latouche e altri, non ha molto tempo disponibile, prima che le ninfee soffochino la vita sul pianeta, insomma il mondo è sull’orlo del baratro: una crescita infinita del Pil e del consumi è incompatibile con un pianeta finito.
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