Ribellarsi friggendo … contro i regimi economici e dietetici…
di Don Pasta
Come si può raccontare la cucina italiana?
In un paese fragile e sgretolato raccontare la cucina italiana del nuovo millennio significa andare a capire cosa sia cambiato nella cucina tradizionale, nella sua geografia, nelle sue testimonianze. Partire dall’Artusi significa fare una fotografia non solo della cucina Italiana, ma dell’Italia stessa.
Significa provare nel modo il più esaustivo possibile di mostrarne le complessità, le particolarità locali, la cultura secolare che c’è dietro ogni ricetta tradizionale.
Significa, quindi, verificare a più di un secolo di distanza dall’uscita dell’Artusi, come sia cambiata l’Italia nel frattempo.Per raccontare l’Artusi nel nuovo millennio è indispensabile raccontare l’Italia del nuovo millennio: il precariato e la disoccupazione, le migrazioni in entrata e uscita, il fallimento delle utopie, i conflitti generazionali. Questo perché attraverso la cucina tutto ciò diventa tela di fondo e strumento di ricostruzione di una nuova identità italiana. Sapere cosa si sia conservato, cosa sia in mutamento, cosa si sia smarrito per sempre.
Così come nei millenni il carciofo alla giudìa, ebraico, è diventato il piatto tradizionale per eccellenza della cucina romana, così adesso le nuove leve dell’alta cucina, i nuovi arrivi migranti, i contadini anarchici nelle campagne, ritessono paradossalmente quel tessuto cancellato dalla modernità tra città e campagna, tra passato e futuro, che sono l’ossatura della cucina italiana e di ogni cucina tradizionale. Capirne le tracce affettive ed emozionali in ognuno, lo smarrimento, l’ancorarsi a ciò che c’è sempre stato, lo sperimentarne la sua trasformazione in qualcosa di nuovo.
Questo è a nostro avviso un lavoro sulla Cucina Italiana nel Nuovo Millennio. http://artusiremix.wordpress.com/
Raccontatemi le ricette del vostro cuore, delle vostre origini. Spulciate quei ricettari scritti a mano dalle vostre nonne, recuperate i foglietti che cadono e scivolano giù per terra, trascriveteli. Ditemi delle vostre madri e dei loro viaggi definitivi verso paesi troppo lontani, con quei quaderni scritti a penna e stretti in mano, più importanti di qualsiasi gioiello.
Fatemi chiacchierare via skype con quelle donne che hanno salvato l’Italia cucinando genialmente il quasi niente della guerra e di ciò che ci fu dopo. Parlatemi voi adesso di come cucinate il poco di un frigo diventato anch’esso precario. Scrivetemi la ricetta che solo nella vostra famiglia si faceva a dovere, a dispetto della versione della signora del pianerottolo di fronte, che non era buona come quella di vostra nonna.
C’è un patrimonio di cucina popolare da ricostruire in quest’intrecciarsi di mani, di età, e c’è urgenza di ritessere la tela di memorie abbandonate per negligenza o al contrario custodite intimamente. Tutte da rimettere assieme in un gigantesco pentolone. Il solo rischio della perdita di questo linguaggio mette a rischio l’identità stessa della gente, l’identità di un luogo, di una nazione.
Proteggiamoci. Soffriggete
Don Pasta
Lascia un commento