Ogni città prende la sua forma dal deserto a cui si oppone, diceva Italo Calvino. Anche per questo, a volte, risulta molto utile fare grandi salti irriverenti nella storia. Marvi Maggio ce ne propone uno, assai ardito e lungo oltre mezzo secolo, che potrebbe risultare di grande interesse che per chi ne conserva memoria, inevitabilmente segnata da qualche amarezza e molta nostalgia, ma soprattutto per chi degli anni Settanta del secolo scorso ha soltato sentito parlare nella voce distorta e semplificata delle celebrazioni di rito mediatico. Quello dell’introduzione del “diritto alla città” è un passaggio essenziale nel movimento del conflitto sociale in Italia dalla fabbrica al territorio e alla comunità. Il Programma “Prendiamoci la città” di Lotta Continua, che ispira nel corso dei primi anni Settanta grandi occupazioni, abitative e non, da via Tibaldi a Milano a San Basilio a Roma, racconta molto del deserto sociale cui si opponeva. Ne racconta, per esempio, la violenza cieca e sanguinosa della repressione, ma indica insieme uno sguardo tanto aperto al futuro da arrivare fino ai nostri giorni. È l’idea di una rivoluzione (più precisamente, col linguaggio di allora, “una fase della rivoluzione”) che scende dalle astrazioni dell’accumulazione di forze in attesa di un sempre più improbabile scontro “finale” per immergersi finalmente nella vita quotidiana, quella dei “baraccati” e dei “senza casa” delle periferie urbane dell’Italia ancora e sempre democristiana. Un volo spericolato, quasi impensabile, a guardarlo con la prospettiva del tempo. Un salto che, con ogni evidenza, parlerebbe ancora alle occupazioni abitative e degli spazi sociali del nostro tempo, soprattutto perché racconta di una politica che non si separa dalla vita, insegnamento seppellito da decenni di sabbia nei deserti del nostro tempo
![](https://comune-info.net/wp-content/uploads/2021/12/b2ap3_thumbnail_mirafiori.jpg)
Nel novembre 1970 Lotta Continua lancia il programma “Prendiamoci la città” che sposta l’attenzione dalla fabbrica, che secondo la sua analisi non è più in grado di trainare il movimento, al terreno sociale. Lotta Continua nasce nel maggio-giugno 1969, durante la grande esplosione della lotta operaia alla Fiat Mirafiori, fabbrica automobilistica di Torino, dove l’espressione “lotta continua” compare come intestazione dei volantini dell’assemblea operai-studenti; il primo novembre 1969 esce il giornale Lotta Continua che si configura come il progetto di un’organizzazione nazionale e diventerà quotidiano il 18 aprile 1972. Lotta Continua (1969-1976) è una organizzazione della nuova sinistra, marxista, movimentista, anti-capitalista, rivoluzionaria, comunista, che ha fatto parte di una delle più importanti esperienze di opposizione rivoluzionaria dell’Europa del XX secolo. Dichiara senza mezzi termini che Unione Sovietica e paesi che si dicono comunisti non lo sono, ma ha un giudizio positivo del maoismo. Il programma politico di Lotta Continua è l’unificazione di tutto il proletariato, l’abolizione delle classi e del lavoro salariato, la costruzione del comunismo. La lotta armata contro lo stato definito borghese, non è prevista da subito, bensì solo quando lo scontro generale tra le classi sarà giunto alla fase finale. Rispetto alle effettive prospettive del processo rivoluzionario in Italia, fino al 1973 LC ritiene che la radicalità dei movimenti avrebbe dischiuso nuove possibilità attraverso uno scontro generale. Ma nel 1973 appare chiaro che lo scontro non c’è stato e i tempi della rivoluzione si prospettano lunghi. La situazione politica è instabile ma non rivoluzionaria: secondo LC, fra le masse c’è una egemonia revisionista, intesa come accettazione della razionalità capitalista, espressa dal Partito Comunista Italiano. LC ritiene che il partito della rivoluzione in Italia maturerà dall’incontro-scontro fra gli operai autonomi e quelli influenzati dal revisionismo. L’obiettivo è la conquista di larghe masse. Il colpo di stato in Cile del settembre 1973, secondo LC, mostra la necessità di affrontare il problema della violenza dello stato, dei suoi apparati militari e dell’imperialismo. LC ritiene che il colpo di stato sia dovuto all’incapacità del governo Allende di affrontare quella violenza. Il problema infatti è come sconfiggere la reazione armata dell’avversario sul suo stesso terreno: golpear el golpe.
Il programma “Prendiamoci la città” è gradualistico-alternativo: non vuol dire fare la rivoluzione, ma è considerato una fase della rivoluzione. L’ipotesi è che attraverso le lotte i proletari conquistino forza, coscienza, unità e autonomia, intesa come rifiuto del lavoro salariato e della divisione capitalistica del lavoro. Il problema della lotta armata per la presa del potere è ancora lontano. Tuttavia l’ottimismo progressivo di “Prendiamoci la città” si scontra con l’affermarsi nella situazione politica, di una forte offensiva reazionaria. Nell’autunno del 1971, LC interviene con determinazione sul rischio di fascistizzazione dello stato, che si fonda sull’unificazione del blocco reazionario che si è andato rafforzando attraverso la strategia della tensione (le bombe neofasciste e dei servizi segreti “deviati”), e sulla ristrutturazione autoritaria dello stato. L‘obiettivo padronale è “rovesciare il 68” e sconfiggere la lotta operaia attraverso la limitazione del diritto di sciopero e la messa fuori legge dei gruppi rivoluzionari. Intanto è in corso una campagna di stampa contro la sinistra rivoluzionaria, ci sono scontri di piazza e arresti di massa di compagni. Questo nuovo impegno di LC nel mondo della politica mette in discussione la strategia basata sulla parola d’ordine Prendiamoci la città. Nel convegno nazionale di LC del 1972, secondo Luigi Bobbio (Bobbio, 1988: 100), la linea Riprendiamoci la città è liquidata in poche battute senza alcun tentativo di recuperare le importanti novità che aveva introdotto. Viene criticata per la sottovalutazione dell’arco di strumenti in mano ai “nemici di classe” e per il fatto di presentare la lotta di classe in modo gradualista. Al contrario, LC ritiene necessario prepararsi a uno scontro generalizzato con un programma politico che ha come avversario lo stato e che ha come strumento “l’esercizio della violenza rivoluzionaria di massa e di avanguardia”. L’accentuazione della violenza di avanguardia non comporta una teorizzazione dell’attualità della lotta armata. L’idea è che la violenza sia l’essenza del dominio borghese e la politica sia la scienza della forza. L’accento viene posto sull’azione che modifica in modo diretto e immediato i rapporti di forza: lo scontro di piazza, la difesa del picchetto o di una casa occupata. Secondo molti, Lotta Continua nel corso di tutta la sua storia non ha mai abbandonato il tema introdotto da Riprendiamoci la città.
![79984_ca_object_representations_media_7791_large.jpg](https://bibliotecafrancoserantini.archiui.com/cataloga/media/bibliotecafrancoserantini/images/7/7/79984_ca_object_representations_media_7791_large.jpg)
La crisi e lo scioglimento nel movimento
Non è in questa sede possibile passare in rassegna tutta la storia ricca e promettente dell’organizzazione-partito, Lotta Continua, sempre sensibile alle possibilità aperte dai movimenti più innovativi di cui è sempre parte attiva e propositiva. Tuttavia si ritiene interessante notare come la sua fine, sia in realtà un ritorno, ancora una volta, ai movimenti più promettenti del periodo. Nella seconda metà del 1976 si determina la crisi di tutte le ipotesi rivoluzionarie in Italia. La crisi della Democrazia Cristiana si arresta, il rafforzamento del PCI non comporta un governo delle sinistre in alternativa di potere alla DC, come aveva previsto LC, ma il compromesso storico tra PCI e DC. Appare chiaro che non si può ragionare sui tempi brevi di una trasformazione rivoluzionaria, ma bisogna affrontare tempi lunghi: nasce la consapevolezza che è finito il momento di subordinare la politica ai tempi altrui e che vada cercata una riformulazione dell’agire collettivo a partire da sé stessi. A Rimini il 31 ottobre 1976 si apre il 2° congresso nazionale di LC alla presenza di 1000 compagni. I momenti assembleari sono giocati sui due poli: donne e operai. Le compagne invitano gli operai a mettersi in discussione a partire dal loro rapporto sessuale e dalla loro vita e dichiarano che non è possibile nessuna alleanza in quel momento fra operai e donne. Gli operai ribadiscono la centralità operaia che si riduce alla richiesta di potere agli operai nel partito e manca di qualsiasi riflessione sulla presenza effettiva della classe operaia nello scontro sociale. Il progetto che esce da Rimini: diffondere la contraddizione tra individui e politica, tra privato e pubblico, tra bisogni radicali e necessità, non ha bisogno di partito. E nel giro di pochi mesi l’organizzazione LC si sfalda. Un certo numero di compagni continua a fare riferimento a LC e a frequentare le sedi, che rimangono aperte. Le ragioni della paralisi organizzativa sono state individuate da alcuni nell’impeto delle nuove idee sprigionate dal femminismo e dalla cultura del personale; da altri nell’irresponsabilità del gruppo dirigente che ha preferito tirarsi indietro di fronte alle contraddizioni. La vicenda di Lotta Continua non si esaurisce con la sua dissoluzione organizzativa, per molti anni rimangono attivi gruppi di militanti, sparsi in tutta Italia, che cercano di mantenere qualche continuità con l’esperienza passata. E rimane il giornale quotidiano, che prosegue le pubblicazioni fino al 1982. I contenuti radicali che emergono dalla contestazione femminista e dai nuovi movimenti giovanili daranno vita a uno dei settori più rilevanti del movimento delle donne in Italia, che coniuga anticapitalismo e femminismo, e al movimento del ’77.
![](https://comune-info.net/wp-content/uploads/2021/12/39141754_1065174270315978_8631419221550563328_n.jpg)
Le ragioni del programma Prendiamoci la città
La città è interpretata da Lotta Continua come uno strumento fondamentale del dominio capitalista: per questo la questione della casa, i trasporti, i prezzi, l’emigrazione dal sud al nord, la scuola sono considerati un terreno su cui estendere la lotta. LC ritiene che la lotta operaia, se resta confinata nelle fabbriche, rischi di essere sconfitta e vede un parallelismo fra le grandi lotte degli anni 1968-69 in fabbrica, a Torino, sulla base delle quali è nata, e quelle per prendersi la città. Nel primo caso è stato rovesciato l’uso capitalistico della fabbrica: attraverso le fermate, le assemblee, i cortei, gli operai si sono espressi contro la produzione capitalista, riconoscendosi come classe i cui interessi sono conflittuali con essa; prendersi la città vuol dire allo stesso modo rovesciare il controllo esercitato attraverso la solitudine, il ricatto economico, l’ideologia dominante, nel suo contrario, cioè nell’unità proletaria complessiva non più solo contro la produzione capitalista, ma per il diritto collettivo a una vita sociale comunista, libera dal bisogno sana e capace di felicità (LC 12 novembre 1970 p. 3). LC ritiene essenziale scoprire collettivamente i meccanismi di divisione e di privilegio che agiscono sul terreno sociale e costruire l’egualitarismo, che comporta mettere i propri bisogni al primo posto rispetto alle esigenze della produzione, del mercato, rispetto ai modelli di vita che il capitalismo cerca di imporre per dividere i proletari.
La città su cui agisce il programma “Prendiamoci la città” è segregata e isola i proletari in quartieri ghetto mono-funzionali costruiti alla periferia, inquinati e pieni di traffico, in edifici densamente abitati, senza aria, senza verde. Chi è immigrato da poco vive nelle case più vecchie, in soffitte, scantinati, pensioni e stabili cadenti, oppure in baracche come i centri sfrattati. Nei centri urbani si vive il continuo aumento del costo della vita, gli affitti costituiscono una grossa decurtazione al salario operaio, i trasporti, per chi ha scelto di vivere fuori città per pagare affitti inferiori, non rappresentano solo un costo fisso sul salario, ma un forte prolungamento della giornata lavorativa. LC ritiene che il proletariato nella sua lotta per affermare i propri interessi ad una vita collettiva, libera e creativa, contro gli interessi dei padroni a mantenerlo diviso, isolato, sfruttato, non può fare a meno di trasformare la città, cioè ogni aspetto della propria condizione di vita, in un terreno di lotta.
L’obiettivo di “Prendiamoci la città” è ottenere che i proletari, definiti come tutti gli oppressi, si approprino della città: si ritiene che attraverso la radicalizzazione e la generalizzazione della lotta in tutti i campi, il proletariato possa trovare una espressione per sé ed un proprio modo di essere, di vivere, di porsi di fronte alla società e allo sfruttamento capitalistico. LC ritiene che al termine della fase Prendiamoci la città, la società sarà spaccata in due: “da una parte i proletari, i loro bisogni insoddisfatti, i loro interessi di classe ormai pienamente chiari e riconosciuti, la loro forza accumulata in anni di esperienza, di lotta, di discussione, la loro organizzazione come sicuro punto di riferimento rispetto ad ogni problema; dall’altro la borghesia, i padroni, il potere dispotico dello stato borghese, i meccanismi del loro sfruttamento ormai completamente svelati, la forza bruta come unico puntello su cui si regge il loro dominio di classe” (Prendiamoci la città, 3-4 luglio 1971 p.32- 33). I proletari allora sentiranno lo sfruttamento e il dominio dello stato borghese non come la condizione naturale della propria vita, ma come una imposizione arbitraria e un ostacolo alla realizzazione delle loro aspirazioni.
![](https://comune-info.net/wp-content/uploads/2021/12/118705339_3383480441673130_5905400222513787544_n.jpg)
Le componenti della strategia
Comunismo. Il contenuto di fondo del programma della lotta proletaria non è una vita ‘migliore’, ma una vita radicalmente diversa.
Gli ambiti. Secondo Lotta Continua, in ogni campo ci sono due linee: una proletaria e comunista e l’altra borghese e revisionista. La prima sprigiona la creatività delle masse, le rende protagoniste nella lotta di classe, la seconda le consegna disarmate al nemico. Si tratta certo di una semplificazione della composizione delle classi, ma la novità è l’ampiezza dei temi che entrano nella lotta. I terreni su cui i padroni impongono le loro soluzioni, che vengono accettate e spesso fatte proprie dai proletari, e per i quali è necessario praticare una alternativa sono: “La scuola, la casa, i prezzi; i rapporti tra i sessi, tra i giovani e i vecchi, tra i figli e i genitori; il problema dell’informazione; il modo di curarsi dalle malattie; l’amministrazione e la concezione della giustizia, il modo di vivere, stare insieme, di divertirsi e di usare il proprio tempo, il senso da dare alla vita; oltre a tutti i rapporti tra i diversi strati i cui è diviso il proletariato” (LC 11 giugno 1971, p. 19). L’idea è che tutti i rapporti sociali siano importanti. Lotta continua rifiuta la convinzione che questi problemi siano estranei alla lotta di classe, o secondari rispetto a un terreno privilegiato che sarebbe la lotta di fabbrica oggi, la lotta armata domani. La lotta di classe e la politica non sono separate dalla vita: lo sa chi esercita il potere che dalla società e dall’organizzazione della vita quotidiana trae la forza per imporre il proprio dominio nella fabbrica e attraverso lo stato; e lo sanno le masse che danno altrettanta importanza (se non di più) alla loro vita sociale che al loro lavoro.
Trasformare sé stessi. LC afferma che i proletari devono trasformare sé stessi anche prima di prendere il potere, e per farlo devono ampliare la coscienza dei propri interessi e la conoscenza dei meccanismi su cui poggia il potere dei padroni, acquisire la capacità di separare le soluzioni borghesi e individualistiche da quelle proletarie e comuniste, accrescere la propria autonomia di fronte ai padroni e anche avere più coraggio, più iniziativa, più legami fra di loro, più esperienza, più capacità di agire e lottare collettivamente. In ogni lotta è in gioco la capacità dei proletari di estendere la propria iniziativa, di fare le cose in prima persona, di “prendersi quello che vogliono”. LC ipotizza una contrapposizione fra interessi netta e duale e una identità proletaria da scoprire e anche da costruire, che rappresenta un progetto politico fondato sulle contraddizioni.
Prendersi le cose. Il programma prevede gli scioperi dell’affitto e le occupazioni di case, che i pendolari non paghino i trasporti, l’occupazione di zone verdi per permettere ai bambini di giocare, l’utilizzo delle scuole, delle piazze e delle strade come luoghi in cui riconoscersi, unirsi, discutere e decidere imparando a vivere in un modo nuovo. Gli strumenti del lavoro politico sono le assemblee popolari, le manifestazioni di strada, i picchetti ai mercati, le occupazioni dei trasporti pubblici, gli asili in cui i bambini proletari dispongono liberamente di sé stessi, le scuole aperte a sedi di organizzazione proletaria, le sedi in cui i proletari discutono, redigono e finanziano gli strumenti della propria informazione e organizzazione, dai volantini ai giornali, ai manifesti. Contro il carovita Lotta Continua promuove manifestazioni ai mercati generali o al mattatoio per imporre i prezzi, picchettaggi ai grandi magazzini perché nessuno entri fino a quando non abbiano abbassato i prezzi, si invitano gli operai a non comprare i tesserini del tram e a salire sul tram senza pagare, perché paga Agnelli (padrone della FIAT all’epoca).
Le occupazioni di case nel 1970-71 sono il perno dell’iniziativa di Lotta Continua. Protagonisti sono i proletari di recente immigrazione dal sud Italia, che vivono nei centri sfrattati di Milano, nelle vecchie case del centro storico di Torino o nelle abitazioni improvvisate delle borgate romane o delle grandi città meridionali. L’occupazione di via Tibaldi a Milano nel giugno ‘71, diventa emblematica perché riesce a coalizzare un ampio fronte solidale e perché al suo interno viene prefigurata un’organizzazione in cui la vita in comune prende il sopravvento su quella individuale: tutto quello che si fa è prima discusso da tutti. L’assemblea degli occupanti decide le forme di lotta, l’organizzazione della vita in comune dentro la casa, i bisogni più urgenti a cui bisogna dare la precedenza, “imparando ad essere comunisti”. Gli occupanti creano ed autogestiscono un asilo, una mensa e un ambulatorio. L’asilo è per i 150 bambini presenti nella casa “a cui badano a turno le madri e alcune compagne”. Colpisce, con gli occhi di oggi, la divisione dei compiti in base al genere, tuttavia risalta anche la giustezza della soluzione data dall’asilo nido che consente ai bambini di vivere e crescere in comune, e alle madri di avere del tempo da dedicare a se stesse e “alla lotta di classe”. La lotta ha comportato una serie di violenti sgomberi, aggressioni da parte della polizia, e peregrinazioni per la città, durante le quali muore un bambino di sette mesi, ma ha ottenuto solidarietà da un fronte molto esteso, compresa quella della Facoltà di Architettura di Milano, che accoglie gli occupanti dopo uno degli sgomberi, ed è risultata vincente: la casa viene assegnata non solo alle 67 famiglie che hanno partecipato alla lotta ma a tutte le 140 confinate nei centri sfrattati. Il programma ha creato un meccanismo che prevede: lotta dura, mobilitazione ampia e unitaria e conquista degli obiettivi. Tuttavia LC tenterà di innescare lo stesso meccanismo altrove senza riuscire a ritrovare quelle condizioni che avevano reso viale Tibaldi un caso esemplare.
Sedi territoriali. LC apre proprie sedi su base territoriale, per offrire ai propri militanti e alla popolazione un luogo al quale fare riferimento, per qualsiasi problema si trovino di fronte, per potersi incontrare, conoscere, passare il tempo libero, e anche imparare a divertirsi in modo diverso, “non borghese”, per sviluppare una rete di contatti e di collegamenti senza i quali non ci può essere organizzazione proletaria autonoma. Le sedi devono servire non solo per discutere e fare riunioni ma per fare cose: dall’organizzazione della controinformazione, con volantini, giornali proletari, manifesti e cartelloni – alle attività culturali, libri, giornali, proiezioni, lezioni, dibattiti. Le attività che sono svolte nelle sedi sono doposcuola, corsi di recupero, asili nido, ambulatori proletari, assistenza legale, civile e penale, collette, e i proletari sono coinvolti nella loro gestione. La sede deve funzionare anche per i divertimenti e le persone anziane devono potervi trovare un posto dove riunirsi, rendersi e sentirsi utili, e soprattutto mettere finalmente a disposizione dei giovani il loro patrimonio di esperienze.
Solidarietà attiva. Lotta Continua organizza in molte città attività di servizio, come asili nido, doposcuola, ambulatori, mercati rossi: lo scopo è far sì che i proletari comincino a prendere in mano la gestione dei propri bisogni. Vengono attivati: gli ambulatori gestiti dai compagni, che servono per dimostrare che ci si può curare in modo differente; l’assistenza legale; gli asili nido; luoghi di incontro per gli anziani; i doposcuola, i corsi di recupero, in cui i ragazzi e anche gli adulti si aiutino a vicenda, selezionando le cose che ritengono utile imparare. Lo scopo è dare la possibilità di incontrarsi, di non essere soli, di avere degli amici con cui divertirsi senza bisogno di spostarsi lontano dal quartiere; vengono attivati anche centri per accogliere, organizzare e aiutare i proletari che arrivano dal sud a trovare una casa, un lavoro, degli amici. Si tratta di iniziative che “sostituiscono l’iniziativa cosciente e collettiva dei proletari alle soluzioni imposte dai padroni in tutta una serie di campi dove finora la lotta di classe non si è mai svolta in modo cosciente e organizzato” (Prendiamoci la città, 1971, p.28)
Inchiesta: LC è stata l’antesignana della controinformazione attraverso il libro “Strage di Stato” (1970) in cui, grazie al lavoro dei suoi militanti, ha provato l’innocenza dell’anarchico Valpreda, ingiustamente accusato della strage di Piazza Fontana del 1969, e la responsabilità dei neofascisti e dei servizi segreti deviati, all’interno della strategia della tensione. Attraverso l’inchiesta, LC intende denunciare le condizioni di oppressione di cui sono oggetto i proletari, nei quartieri, nelle fabbriche, nelle scuole, fino ad arrivare al caso singolo, anche attraverso la “denuncia sistematica del nemico di classe”. Lo scopo è di distinguere i nemici dagli amici. L’ideologia oggi dominante prescrive di non cercare colpevoli e responsabili dei problemi sociali, e critica l’odio in quanto tale, mentre c’è un odio motivato e giusto e un odio immotivato: l’odio giusto è quello di chi lotta contro l’oppressione e quello sbagliato è quello degli oppressori contro le loro vittime. L’inchiesta permette di identificare i responsabili della questione abitativa e dei problemi sociali: le grandi società immobiliari, gli enti pubblici dell’edilizia, i grandi speculatori privati, gli strozzini delle pensioni, dei dormitori, dei collegi, e i loro rapporti con l’industria e con l’amministrazione pubblica. Significa anche indagare, conoscere e superare le contraddizioni all’interno del proletariato, fra i baraccati e gli assegnatari di case popolari, fra gli inquilini delle case private e i proprietari di uno o due appartamenti, fra gli ospiti delle pensioni proletarie e quelli dei collegi studenteschi.
La musica. Lotta Continua riconosce il diritto dei giovani ad accedere senza pagare ai concerti di musica rock (Chigaco, Rolling Stones Ten Years After, Santana, nel 1971), che hanno costi esorbitanti per i giovani proletari. Per questo sostiene i giovani che non vogliono pagare il biglietto ai concerti e si esprime contro gli interventi della polizia che carica lanciando lacrimogeni alla cieca.
![](https://comune-info.net/wp-content/uploads/2021/12/PWWxI8eWctKDWlhEMDQXzucnHml_oHLOmKuzAxXKHmQ8RQQ70XwNmm9UvA_358tBUM7B3YVZSjFVUY3UZLuya3ZTxg9acVN2am38ubn_F9M603cTN6VUaXKuRVWhUYljgpt3tg.jpg)
Tutte le sfere sociali, tutti gli sfruttati
I luoghi della città coinvolti dalle lotte di “Prendiamoci la città” sono molteplici: le fabbriche piccole e grandi, luoghi della grande esplosione della lotta operaia autonoma del 68-69 ; i quartieri residenziali e popolari, compreso il centro storico, luoghi di lotta per la casa e per i servizi, dove si sperimentano occupazioni di case autogestite dai proletari e servizi autogestiti: mense, asili nido, ambulatori; le scuole medie (soprattutto superiori 14-18 anni), luogo di organizzazione degli studenti per introdurre nelle scuole le rivendicazioni sociali; le università, dove i seminari autogestiti impongono nuovi terreni di ricerca legati alla trasformazione sociale e territoriale, e che diventano esse stesse luoghi aperti alla città per le riunioni politiche, gli spettacoli, la musica, la protesta, l’iniziativa, lo studio; le caserme dove i “proletari in divisa” (c’era il servizio militare obbligatorio) denunciano le condizioni di vita dei militari di leva e il ruolo della gerarchia e producono una analisi della funzione repressiva dell’esercito; le carceri dove gli attivisti arrestati per le pratiche di protesta (manifestazioni o occupazioni) lottano per la liberazione dei compagni arrestati e per migliorare le condizioni di tutti i detenuti; le sedi di Lotta Continua, luogo di assemblea, di organizzazione politica e sociale, di incontro e di realizzazione e offerta di servizi autogestiti; le strade e le piazze che sono i luoghi delle manifestazioni e i mercati rossi predisposti nei quartieri popolari dove si sperimenta un mercato fuori dalle logiche di classe, con prezzi politici. Le sedi di Lotta Continua si diffondono nelle città e nel 1971 LC è presente in 150 centri. In una città come Torino ha una sede centrale e altre nei quartieri periferici. I settori sociali a cui si guarda sono gli operai delle fabbriche e le loro famiglie, gli abitanti dei quartieri operai e proletari, gli studenti medi e universitari, i soldati di leva, i carcerati. I luoghi urbani coinvolti nelle lotte si trasformano da luoghi di lotta a luoghi delle nuove relazioni sociali, da luoghi di dominio a luoghi della trasformazione, tutti i settori sono compresi.
L’innovazione e l’attualità di “Prendiamoci la città” risiede nella consapevolezza che la rivoluzione, intesa come abolizione delle classi e del lavoro salariato, e realizzazione del comunismo, ha diverse fasi e una comporta il riconoscimento dei bisogni indotti e la consapevolezza della possibilità di eliminare i rapporti di sfruttamento, che non sono naturali: vanno liberati ed espressi i bisogni sociali radicali contrapposti a quelli borghesi del capitale. LC pensava che si trattasse di bisogni propri del proletariato, oggi appare chiaro che i soggetti che premono per una trasformazione sociale non sono tali oggettivamente ma soggettivamente. La consapevolezza e la chiarezza nella contrapposizione fra interessi oggi appaiono sia negli studi urbani critici, sia vengono svelati, come riteneva LC, nelle lotte, fondate sulle contraddizioni e i bisogni radicali, come nella lotta sociale estesa alla città si sperimenta cosa siano l’egualitarismo e il comunismo. La capacità delle lotte di mettere in atto la trasformazione sociale qui ed ora, anche se temporaneamente, è sempre vera.
I bisogni che emergono nelle lotte, in base alle contraddizioni sociali, mettono in discussione le risposte presenti nella società, per proporre delle soluzioni che LC definiva proletarie e comuniste e oggi possiamo definire mondi urbani possibili (David Harvey, 1996). Questa fase, racchiusa nel programma “Prendiamoci la città”, presuppone la lotta in tutte le sfere sociali non per cogestirle per come sono oggi, ma per metterle in crisi evidenziando i bisogni irrisolti da soddisfare in una società comunista. Tutte le sfere sociali, identificate da David Harvey (2012, Rebel Cities), sono coinvolte dalla lotta di “Prendiamoci la città”: le tecnologie e le forme organizzative, sono l’oggetto delle lotte operaie e degli intellettuali organici e oggetto delle inchieste; le relazioni sociali sono messe in discussione nei luoghi di lavoro, nelle famiglie, nelle scuole, nelle università, nelle caserme, nelle carceri; l’organizzazione istituzionale e amministrativa è oggetto di inchiesta e controinformazione per la connivenza con i poteri economici del capitale; i sistemi di produzione e i processi lavorativi sono anch’essi oggetto delle lotte in fabbrica, nei luoghi di lavoro, nelle università; la relazione con la natura prende la forma del rifiuto dell’inquinamento concentrato nei quartieri operai e nelle fabbriche, della nocività in fabbrica, della domanda di salute e prevenzione, del bisogno di un ambiente urbano pulito e di spazi naturali urbani; la riproduzione della vita quotidiana e della specie è un terreno di organizzazione attraverso i servizi autogestiti, cruciali quelli della cura, e la diffusione sul territorio di basi rosse, alternative; le concezioni intellettuali sul mondo sono affrontate nelle lotte nelle scuole e nelle università ma anche in modo socialmente diffuso attraverso le inchieste e la progressiva chiarezza con cui emergono dalla pratica delle lotte gli interessi di classe e quindi l’autonomia proletaria nel leggere la realtà. Tutti i rapporti di sfruttamento sono inclusi, oltre a quelli nelle fabbriche e nei luoghi di lavoro: proletari, giovani, anziani, donne, soldati, carcerati, tutti sono soggetti attivi nella lotta. Lotta Continua afferma che da subito, attraverso la lotta, i soggetti sociali devono trasformare sé stessi. Non c’è un prima e un dopo, non una lista di priorità di obiettivi, ma tutti insieme nelle loro specificità. Nella lotta emergono i bisogni che fanno scoprire il tipo di società che davvero si desidera e che tipo di persone vogliamo essere. Sono i bisogni radicali di Agnes Heller: una vita piena di significato; un lavoro pieno di senso; lo studio; il bisogno di tempo libero come liberazione radicale.
L’ipotesi di Lotta Continua durante il programma “Prendiamoci la città”, è che un modo di vita comunista – proletario, non esista già, perché il modo di vivere è uniformato dalla società dominante, del consumo e del capitale, ma che esista in potenza e che cresca dove i proletari riescono e imparano a distinguere i loro bisogni da quelli del capitale a partire dal luogo di lavoro, dove i loro bisogni sono contrapposti chiaramente a quelli del capitale finalizzato al profitto per mezzo dello sfruttamento, per passare poi alla città. Scoprire questi bisogni e queste nuove relazioni sociali avviene nella lotta in cui si sperimenta la comunanza e l’uguaglianza che non sono teorie astratte ma pratiche reali. Nella lotta si sperimenta il comunismo e sarà quello che avverrà successivamente anche nel movimento del 77 con i circoli del proletariato giovanile, spazi di lotta e di trasformazione nelle città italiane, piccole e grandi, che diffonderanno e daranno concretezza al rifiuto del lavoro dei giovani (no al lavoro di fabbrica dei padri e delle madri), al bisogno di tempo libero come liberazione radicale e al bisogno delle donne della nuova sinistra di essere altro rispetto al modello omologato di donna imposto socialmente nella famiglia, nella cultura, nel lavoro, nella società.
“Prendiamoci la città”, elaborato 50 anni fa, pone delle domande all’oggi su quali siano i soggetti portatori di una domanda di trasformazione radicale capace di superare l’alienazione umana e di costruire un nuovo rapporto sinergico con la natura non umana, e su come iniziare la costruzione di mondi urbani possibili, a partire dallo stato presente, agendo contemporaneamente su tutti gli aspetti e le sfere della società. Infine, interroga sul fatto che esista o meno, anche oggi, una domanda di comunismo, inteso come liberazione radicale.
Bibliografia, sitografia:
Archivio del giornale Lotta Continua: https://fondazionerrideluca.com/web/archivio-lotta-continua/#elf_l1_Lw
Archivio del giornale Lotta Continua: https://www.bibliotecaginobianco.it/?e=flip&id=39
Bobbio, L. (1988), Storia di Lotta Continua, Feltrinelli, Milano.
De Luna, G. (2009), Le ragioni di un decennio. 1969-1979. Militanza, violenza, sconfitta, memoria,
Feltrinelli, Milano.
Lotta Continua, (1971), Prendiamoci la città, linea e programma della lotta di massa, Convegno regionale lombardo, documento preparatorio, Milano, 3- 4 luglio.
Harvey, D., (2012), Rebel Cities, Verso, London-New York.
Harvey, D., (1996), Justice, Nature and the Geogrphy of Difference, Blackwell Publishers, Oxford.
Marvi Maggio – Architetta e Dottoressa di Ricerca in Pianificazione Territoriale e Urbana, ha ottenuto l’Abilitazione Scientifica Nazionale come professore universitario di Pianificazione e progettazione urbanistica e territoriale. È ricercatrice dell’International Network for Urban Research and Action, di cui è una dei fondatori. Conduce ricerche sul rapporto fra governo del territorio, mercato immobiliare e movimenti urbani.
2021, libro Comunicazione, partecipazione e libertà https://www.perunaltracitta.org/wp-content/uploads/2021/09/Conoscenza-partecipazione-e-liberta.pdf
2014, libro Invarianti strutturali nel governo del territorio https://fupress.com/catalogo/invarianti-strutturali-nel-governo-del-territorio/2803
articolo pubblicato in tedesco su Derive
Lascia un commento