La Corte di Giustizia UE si è pronunciata contro un ricorso verso Frontex per un respingimento illegale e ha riaffermato la responsabilità degli Stati. Lo aveva presentato una famiglia siriana, arrivata in Grecia dopo lunghe traversie nel 2016 (anno di piena devastazione bellica per il Paese d’origine) che aveva fatto richiesta di protezione internazionale. La polizia greca l’aveva messa su un aereo, noleggiato da Frontex, che i rifugiati pensavano fosse diretto ad Atene. Solo una volta atterrata, la famiglia in fuga dalla guerra aveva visto le bandiere turche e aveva denunciato Frontex per respingimento illegale chiedendo poi un risarcimento morale e materiale. La Corte della Ue ha sollevato Frontex dalla responsabilità, sostenendo che essa ricade sugli Stati e non sull’Agenzia, che oggi si chiama Guardia di frontiera e costiera europea. La sentenza sul caso era attesa con grande interesse perché la prima in questo tipo di controversia, ma, ancora una volta – malgrado le ripetute critiche delle organizzazioni di solidarietà e del Parlamento europeo per la sua opacità, soprattutto nella gestione dei pingui bilanci, e per l’assoluta mancanza di rispetto per i diritti umani – Frontex riesce a farla franca. Fino a oggi solo l’Ufficio europeo per la lotte anti-frode è riuscito a rompere lo scorso anno la barriera dell’impunità che la circonda. In quel caso ne fece le spese il direttore Fabrice Leggeri. La sentenza, però, come ricorda Fulvio Vassallo Paleologo, non è ancora definitiva ed entro due mesi dalla notifica può essere proposta dinanzi alla Corte un’impugnazione, limitata alle questioni di diritto

1.Mercoledì 6 settembre 2023 la sesta sezione della “General Court” di Giustizia dell’Unione europea con sede a Lussemburgo (che appresso chiameremo Corte), ha respinto il ricorso presentato da una famiglia siriana contro Frontex (Agenzia europea per il controllo delle frontiere esterne) per il coinvolgimento dell’agenzia nella violazione di diritti fondamentali e nel respingimento (pushback) illegale subito nel 2016 dall’intera famiglia che veniva deportata dalla Grecia in Turchia. La famiglia lamentava anche che durante il volo i quattro figli minori erano stati separati dai genitori alla presenza di personale appartenente a Frontex. I ricorrenti chiedevano alla Corte il risarcimento del danno materiale e morale subito a causa dell’asserito comportamento illegittimo di Frontex prima, durante e dopo l’operazione di rimpatrio, ed anche, con un separato ricorso, la possibilità di essere autorizzati a fare rientro in Grecia.
2. Occorre immediatamente chiarire che il caso risale al 2016 e dunque la sentenza della Corte fa riferimento al.Regolamento (UE) 2016/1624 che, con il precedente Regolamento(UE) n. 1052/2013, è stato successivamente abrogato dal nuovo Regolamento (UE) 2019/1896 del 13 novembre 2019, che prevede una disciplina più rigorosa in ordine agli obblighi di trasparenza e fa invece espresso riferimento, per le operazioni marittime, al Regolamento(UE) n.656 del 2014. La situazione dei rapporti tra Stato ospitante e Frontex appare diversa a seconda che si tratti della gestione delle frontiere marittime, dove si tratta di “responsabilità condivisa” o delle operazioni di rimpatrio forzato di persone che hanno fatto ingresso nel territorio nazionale, nelle quali sembrerebbe prevalere la responsabilità delle autorità statali. Ma le responsabilità dell’agenzia Frontex non si possono comunque escludere anche nel caso delle espulsioni con accompagnamentp forzato.
Secondo l’art.5.1 del Regolamento (UE) 1624 del 2016, adesso abrogato,”La guardia di frontiera e costiera europea attua la gestione europea integrata delle frontiere come responsabilità condivisa tra l’Agenzia e le autorità nazionali preposte alla gestione delle frontiere, comprese le guardie costiere nella misura in cui svolgono operazioni di sorveglianza delle frontiere marittime e qualsiasi altro compito di controllo di frontiera. Gli Stati membri mantengono la responsabilità primaria nella gestione delle loro sezioni di frontiera esterna”.
In base all’art.27 dello stesso Regolamento (UE)1624 del 2016, dedicato al rimpatrio, “L’Agenzia, per quanto riguarda i rimpatri e nel rispetto dei diritti fondamentali e dei principi generali del diritto dell’Unione e del diritto internazionale, compresi gli obblighi in materia di protezione dei rifugiati e i diritti dei minori, assolve, in particolare, i seguenti compiti:
a) coordina a livello tecnico e operativo le attività degli Stati membri relative ai rimpatri, comprese le partenze volontarie, al fine di instaurare un sistema integrato di gestione dei rimpatri tra le autorità competenti degli Stati membri, con la partecipazione delle autorità competenti dei paesi terzi e di altre pertinenti parti interessate;
b) fornisce assistenza tecnica e operativa agli Stati membri i cui sistemi di rimpatrio sono sottoposti a sfide particolari;
c) coordina l’uso di pertinenti sistemi di tecnologia dell’informazione e fornisce sostegno agli Stati membri in materia di cooperazione consolare per l’identificazione dei cittadini di paesi terzi e l’acquisizione dei documenti di viaggio, senza divulgare informazioni sul fatto che è stata presentata una domanda di protezione internazionale; organizza e coordina le operazioni di rimpatrio e fornisce sostegno alle partenze volontarie, in collaborazione con gli Stati membri;
d) organizza, promuove e coordina attività che consentano lo scambio di informazioni e l’individuazione e la
condivisione delle migliori prassi in materia di rimpatrio tra gli Stati membri;
e) finanzia o cofinanzia le operazioni, gli interventi e le attività di cui al presente capo a titolo del proprio bilancio, conformemente alla normativa finanziaria applicabile all’Agenzia.L’assistenza tecnica e operativa di cui al paragrafo 1, lettera b), comprende attività intese ad aiutare gli Stati membri a espletare le procedure di rimpatrio svolte dalle autorità nazionali competenti, fornendo in particolare:
a) servizi d’interpretazione;
b) informazioni pratiche sui paesi terzi di rimpatrio che siano utili ai fini dell’applicazione del presente regolamento, in cooperazione, se del caso, con altri organi e organismi e servizi dell’Unione, tra cui l’EASO;
c) consulenza sull’attuazione e sulla gestione delle procedure di rimpatrio in conformità della direttiva 2008/115/CE;
d) consulenza e assistenza relative alle misure necessarie per garantire la disponibilità dei rimpatriandi ai fini del rimpatrio e per evitare che i rimpatriandi si rendano irreperibili, conformemente alla direttiva 2008/115/CE e al diritto internazionale”.
Per l’art.28 dello stesso Regolamento (UE) 1624 del 2016, “Senza entrare nel merito delle decisioni di rimpatrio e in conformità della direttiva 2008/115/CE, l’Agenzia
fornisce l’assistenza necessaria e, su richiesta di uno o più Stati membri partecipanti, assicura il coordinamento o l’organizzazione di operazioni di rimpatrio, anche mediante il noleggio di aeromobili ai fini di tali operazioni. L’Agenzia può, di propria iniziativa, proporre agli Stati membri di coordinare o organizzare operazioni di rimpatrio.
In base alla stessa norma “Ciascuna operazione di rimpatrio è monitorata in conformità dell’articolo 8, paragrafo 6, della direttiva 2008/115/CE. Il monitoraggio delle operazioni di rimpatrio forzato è svolto dall’osservatore del rimpatrio forzato sulla base di criteri oggettivi e trasparenti e riguarda l’intera operazione, dalla fase precedente la partenza fino alla consegna del rimpatriando nel paese terzo di rimpatrio. L’osservatore del rimpatrio forzato presenta una relazione su ogni operazione di rimpatrio forzato al direttore esecutivo, al responsabile dei diritti fondamentali e alle autorità nazionali competenti di tutti gli Stati membri coinvolti nell’operazione. Se del caso, è assicurato un seguito adeguato da parte, rispettivamente, del direttore esecutivo e delle autorità nazionali competenti. Qualora l’Agenzia nutra preoccupazioni circa il rispetto dei diritti fondamentali relativamente a un’operazione di rimpatrio, essa comunica tali preoccupazioni agli Stati membri partecipanti e alla Commissione”.
Secondo l’art.33 dello stesso Regolamento ” Nei casi in cui uno Stati membro debba affrontare oneri nell’attuazione dell’obbligo di rimpatrio di cittadini di paesi terzi soggetti a una decisione di rimpatrio emessa da uno Stato membro, l’Agenzia fornisce, su richiesta di tale Stato membro, l’adeguata assistenza tecnica e operativa sotto forma di intervento di rimpatrio. Tale intervento può consistere nel dispiegamento di squadre europee di intervento per i rimpatri nello Stato membro ospitante e nell’organizzazione di operazioni di rimpatrio dallo Stato membro ospitante”. Se dunque è vero che la responsabilità primaria per le operazioni di rimpatrio con accompagnamento forzato spetta allo Stato membro ospitante, i compiti assegnati all’Agenzia dal Regolamento (UE) 1624 del 2016, sostanzialmente confermati e ampliati dal successivo Regolamento (UE) 1896 del 2019, lasciano a Frontex spazi di autonomia operativa e decisionale nei quali si potrebbero riscontrare quelle responsabilità che invece la Corte di Giustizia dell’Unione Europea ha voluto escludere.
I rapporti tra l’Agenzia Frontex (oggi definita come Guardia di frontiera e costiera europea) ed i singoli Stati dell’Unione venivano poi rinforzati progressivamente, a partire dal Consiglio europeo del 28 giugno 2018 che invitava a “potenziare ulteriormente il ruolo
di sostegno dell’Agenzia, anche nella sua cooperazione con i paesi terzi, mediante un aumento delle risorse e un mandato rafforzato, al fine di garantire un controllo efficace delle frontiere esterne e intensificare significativa mente il rimpatrio effettivo dei migranti irregolari”. Dunque responsabilità ancora maggiori per l’Agenzia, ed un ampliamento dei rapporti con i paesi terzi anche nel caso di esecuzione delle misure di rimpatrio forzato adottate dagli Stati membri.
In ogni caso, come già previsto dal Regolamento (UE) 1624 del 2016, anche il Regolamento (UE) 1896 del 2019 stabilisce che ” L’attuazione del presente regolamento non incide sulla ripartizione delle competenze tra l’Unione e gli Stati membri né sugli obblighi che incombono agli Stati membri in base alla convenzione delle Nazioni Unite sul diritto del mare, alla convenzione internazionale per la salvaguardia della vita umana in mare, alla convenzione internazionale sulla ricerca e il salvataggio marittimo, alla convenzione delle Nazioni Unite contro la criminalità organizzata transnazionale e al suo protocollo per combattere il traffico di migranti via terra, via nave e via aria, alla convenzione del 1951 relativa allo status dei rifugiati, il relativo protocollo del 1967, alla convenzione
europea per la salvaguardia dei diritti dell’uomo e delle libertà fondamentali, alla convenzione delle Nazioni Unite relativa allo status degli apolidi e ad altri strumenti internazionali pertinenti”.
In base ai “considerando” 80 e 81 del Regolamento del (UE) 1896 del 2019, si prevede che l’Agenzia intensifichi l’assistenza agli Stati membri per il rimpatrio dei cittadini di paesi terzi,
in funzione della politica di rimpatrio dell’Unione e nel rispetto della direttiva 2008/115/CE. In particolare (80),”è opportuno che l’Agenzia coordini e organizzi operazioni di rimpatrio da uno o più Stati membri e organizzi e conduca interventi di rimpatrio per potenziare i sistemi di rimpatrio di Stati membri che richiedano una maggiore assistenza tecnica e operativa al fine di adempiere i propri obblighi di rimpatrio di cittadini di paesi
terzi ai sensi della suddetta direttiva.
(81) L’Agenzia, nel pieno rispetto dei diritti fondamentali e fatta salva la responsabilità degli Stati membri per l’emissione delle decisioni di rimpatrio, dovrebbe fornire assistenza tecnica e operativa agli Stati membri nelle procedure di rimpatrio, compresa l’identificazione dei cittadini di paesi terzi e altre attività degli Stati membri prece
denti al rimpatrio e legate al rimpatrio. L’Agenzia dovrebbe inoltre assistere gli Stati membri nell’acquisizione dei documenti di viaggio per il rimpatrio, in collaborazione con le autorità dei paesi terzi interessati”.
Appare quindi evidente il ruolo più rilevante che viene assgnato a Frontex nel 2019, anche per la gestione dei rimpatri verso paesi terzi. Il diverso tenore dei due Regolamenti europei 1624 del 2016 e 1896 del 2019, oltre che la scarsezza degli elementi di fatto ricavabili dalla sentenza della “General Court” della Corte di Giustizia UE, non permettono però di trarre utili elementi comparativi con riferimento alle diverse fonti normative che nel tempo hanno regolato le attività di supporto o di coordinamento dei rimpatri forzati affidati all’Agenzia per il controllo delle frontiere esterne (FRONTEX).
In ogni caso, se si vuole considerare la vigente normativa europea (Considerando 84 del Regolamento (UE) 1896 del 2019, “L’eventuale esistenza di accordi tra uno Stato membro e un paese terzo non esime l’Agenzia o gli Stati membri dagli obblighi o dalla responsabilità derivanti dal diritto dell’Unione o dal diritto internazionale, in particolare per quanto riguarda il rispetto del principio di non respingimento (non-refoulement) e il divieto della tortura e dintrattamenti inumani o degradanti”.
3. Il caso deciso dai giudici di Lussemburgo riguarda un respingimento collettivo per via aerea, disposto dalle autorità greche in collaborazione con agenti Frontex dopo l’ingresso della famiglia siriana in territorio greco, avenuto nell’isola di Milos il 9 ottobre del 2016, e la successiva richiesta di asilo. Non si trattava dunque di un respingimento in mare, pure frequente nelle acque dell’Egeo, per cui Frontex è stata chiamata in causa in diverse occasioni, anche nel caso delle dimissioni del suo Direttore Fabrice Legeri, che lo scorso anno è stato costretto a lasciare l’Agenzia proprio per la mancanza di trasparenza e per le gravi complicità nei push back eseguiti al limite delle acque tra la Grecia e la Turchia. Non viene dunque in rilievo particolare, in questo caso, il Regolamento (UE) n.656 del 2014 che disciplina ancora oggi “la sorveglianza delle frontiere marittime esterne nel contesto della cooperazione operativa coordinata dall’Agenzia europea per la gestione della cooperazione operativa alle frontiere esterne degli Stati membri dell’Unione europea”. Sarebbe quindi improprio trarre spunto da questa decisione della Corte di Giustizia del’Unione Europea per sostenere che la stessa Corte abbia ratificato le attività di controllo (e di respingimento collettivo) operate in Egeo e in altre parti del Mediterraneo, ancora oggi, da Frontex, in coordinamento con gli Stati membri tanto in acque internazionali che alle frontiere marittime.
La Corte di Lussemburgo, dopo avere respinto diverse eccezioni procedurali, proposte dalla difesa di Frontex, che occupano la prima metà della sentenza, e dopo avere anche respinto la richiesta dei ricorrenti di presentare nuova documentazione in corso di causa, esclude che i danni lamentati dai ricorrenti possano essere essere considerati una conseguenza diretta del comportamento addebitato agli agenti di Frontex. Occorre ricordare al riguardo che il giudizio davanti alla Corte ha natura essenzialmente risarcitoria, e dunque non può essere paragonato ad un procedimento penale, soprattutto sotto i profili dell’individuazione delle responsabilità personali e dell’onere della prova, che ricade integralmente sui ricorrenti.
Secondo i giudci “Se è vero che il regolamento 2016/1624, e in particolare l’articolo 6, paragrafo 3, prevede che «[Frontex] contribuisce all’applicazione coerente e uniforme del diritto dell’Unione, compreso l’acquis dell’Unione in materia di diritti fondamentali, a tutti i livelli esterni frontiere», l’articolo 34, paragrafo 1, di tale regolamento precisa tuttavia che «la guardia di frontiera e costiera europea garantisce la tutela dei diritti fondamentali nell’esecuzione dei compiti ad essa attribuiti dal presente regolamento conformemente al pertinente diritto dell’Unione, in particolare alla [Carta dei Diritti fondamentali], il diritto internazionale pertinente – compresa la Convenzione del 1951 relativa allo status dei rifugiati e il relativo protocollo del 1967 e gli obblighi in materia di accesso alla protezione internazionale, in particolare il principio di non respingimento».
Come si legge nella sentenza, “In primo luogo, ai sensi dell’articolo 27, paragrafo 1, lettere a) e b), e dell’articolo 28, paragrafo 1, del regolamento 2016/1624, per quanto riguarda le operazioni di rimpatrio, il compito di Frontex è solo quello di fornire supporto tecnico e operativo agli Stati membri e non di entrare nel merito delle decisioni di rimpatrio. Quest’ultima valutazione, come risulta dall’articolo 6, paragrafo 1, della direttiva 2008/115/CE del Parlamento europeo e del Consiglio, del 16 dicembre 2008, recante norme e procedure comuni negli Stati membri per il rimpatrio di cittadini di paesi terzi il cui soggiorno è irregolare (GU 2008 L 348, pag. 98) rientra nella competenza dei soli Stati membri. L’articolo 28, paragrafo 2, del regolamento 2016/1624 prevede, al riguardo, che «gli Stati membri informano mensilmente [Frontex] della loro pianificazione indicativa del numero dei rimpatriati e dei paesi terzi di rimpatrio, sia per quanto riguarda i pertinenti operazioni di rimpatrio nazionali e delle loro esigenze di assistenza o coordinamento da parte di [Frontex]». In secondo luogo, conformemente alle disposizioni della direttiva 2013/32/UE del Parlamento europeo e del Consiglio, del 26 giugno 2013, relativa a procedure comuni per il riconoscimento e la revoca della protezione internazionale (GU L 180, pag. 60), e, in in particolare, l’articolo 2, lettera f), e gli articoli 4, 6, 8 e 31, sono competenti ad esaminare le domande di protezione internazionale soltanto gli Stati membri, che designano gli organismi incaricati di un adeguato esame delle domande”.
La Corte conclude quindi che i ricorrenti non hanno fornito la prova di un nesso causale sufficientemente diretto tra il danno invocato e il comportamento addebitato alla Frontex, conformemente a quanto prescritto dalla giurisprudenza“. Pertanto, tenuto conto del carattere cumulativo dei presupposti per l’insorgere della responsabilità extracontrattuale delle istituzioni, degli organi e degli organismi dell’Unione europea, menzionati nella sentenza, il ricorso per risarcimento danni deve essere respinto in nella sua interezza, in quanto “il danno di cui trattasi non può essere considerato una conseguenza diretta del comportamento addebitato a Frontex, senza che sia necessario esaminare le altre condizioni che fanno sorgere tale responsabilità”. Poiché Frontex non è competente a valutare la fondatezza delle decisioni di rimpatrio né le domande di protezione internazionale, tale agenzia dell’Unione non può essere ritenuta responsabile di eventuali danni connessi al respingimento verso la Turchia.
La sentenza non è ancora definitiva e entro due mesi e dieci giorni a decorrere dalla data della sua notifica, può essere proposta dinanzi alla Corte un’impugnazione, limitata alle questioni di diritto. Per quanto si può desumere dai fatti riferiti succintamente nella sentenza, sembra configurabile piuttosto la violazione di un divieto di respingimento collettivo, anche con riferimento ai minori, da parte delle autorità greche, ma su questi casi purtroppo, nonostante importanti precedenti a livello di Corte europea dei diritti dell’Uomo, con isolate decisioni, a livello di Corte di Giustizia UE, sembrano prevalere le esigenze di non creare precedenti pericolosi per la tenuta degli accordi UE-Turchia. Rimane comunque un importante precedente la condanna inflitta nel 2014 all’Italia ed alla Grecia da parte della Corte europea dei diritti dell’Uomo sul caso Sharifi, per respingimenti collettivi illegali effettuati dal porto di Ancona verso Patrasso. Una prassi di polizia di frontiera, anche ai danni di minori non accompagnati, che purtroppo non è ancora cessata.
4. Al di là delle peculiarità del caso concreto, e della diversità del ruolo di Frontex in Egeo e nel Mediterraneo centrale, a fronte delle peculiari intese tra gli Stati UE e la Turchia del 2016, la sentenza della Corte di Lussemburgo riveste particolare importanza perchè chiarisce i rapporti tra le autorità statali e l’agenzia Frontex in ordine al rispetto dei diritti fondamentali nelle operazioni congiunte di rimaptrio con accompagnamento forzato e nei progetti pilota condotti o coordinati dall’ agenzia. Un tema di particolare attualità in Italia, dopo la legge 50 del 2023 (“Decreto Cutro”), che prevede “procedure accelerate in frontiera” e “rimpatri veloci”, almeno nelle intenzioni del governo, con la possibilità di un supporto attivo di Frontex, in base alla più recente disciplina del 2019 che regola il suo mandato.
Gli organi e le agenzie dell’Unione Europea non possono comunque dare il loro sostegno a norme, contenute nella legge n.50 del 2023, che già oggi, nelle prassi applicate, da Lampedusa fino a Trieste e Ventimiglia, vanno contro le Direttive dell’Unione europea che avevano portato alla normativa interna che adesso si è voluto abrogare. Il riferimento d’obbligo è alla Direttiva “Rimpatri” 2008/115/CE per quanto concerne i respingimenti ed il trattenimento in frontiera, ed alla Direttiva sulle procedure per l’accesso alla procedura di asilo ed il riconoscimento della protezione internazionale. La Direttiva 2013/32/UE, aveva infatti imposto l’emanazione di norme contenute nel Decreto legislativo n.142 del 2015 che, dopo esere state più volte modificate dal Decreto sicurezza Salvini n.113 del 2018 e dal Dcreto Lamorgese n.130 del 2020, adesso sono state travolte dalle previsioni sulle procedure accekerate in frontiera contenute nel cd. “Decreto Cutro”(Legge n.50/2023),
5. Se si osservano le prassi applicate ancora oggi negli Hotspot italiani, e soprattutto nel centro Hotspot di Lampedusa, ma presto si dovrà monitorare anche quanto succede nell’Hotspot- CPR aperto il primo settembre scorso nella zona indistriale ubicata al confine tra i comuni di Pozzallo e Modica (Ragusa), ricorrono ancora tutte le ragioni che hanno portato alla condanna dell’Italia da parte della Corte europea dei diritti dell’Uomo, nei casi Khlaifia, nel 2016 e J.A. nel 2023, entrambi relativi a cittadini tunisni internati nel centro di Contrada Imbriacola e quindi rimpatriati senza il rispetto delle garanzie previste dalla Convenzione europea a salvaguardia dei diritti dell’Uomo. In questo ultimo caso, la Corte di Strasburgo ha dichiarato che le condizioni materiali nel centro di prima accoglienza di Contrada Imbriacola configuravano un trattamento inumano e degradante di cui all’art. 3 della CEDU. Si trattava di detenzione senza alcuna base giuridica e senza una decisione individuale motivata, e dunque corrispondeva alla privazione arbitraria della libertà personale di cui all’art. 5 §§ 1, 2 e 4 della CEDU. Inoltre, respingendo i ricorrenti in Tunisia senza una giusta procedura che avesse accertato le circostanze individuali, l’Italia aveva violato il divieto di espulsione collettiva di stranieri di cui all’art. 4 del Protocollo 4 allegato alla CEDU.
In ogni caso, anche nelle “procedure in frontiera”, dovranno rispetttarsi quelli che sono stati definiti come ” I fondamenti unionali e costituzionali della protezione complementare e la protezione speciale direttamente fondata sugli obblighi costituzionali ed internazionali dello Stato”. Anche nel caso di persone provenienti o transitate da paesi terzi ritenuti “sicuri”.
6. Le operazioni di rimpatrio con accompagnamento forzato, come quelle sulle quali si è pronunciata adesso la Corte di Lussemburgo, rimangono dunque sotto la resposabilità dello Stato ospitante le operazioni dell’agenzia Frontex. Ma le norme interne e le prassi applicate non potranno derogare quanto previsto dai Regolamenti europei, che si impongono come diritto immediatamente cogente, e dai principi costituzionali, e in base all’art.117 della Costituzione italiana, non si potranno violare impunemente le prescrizioni a carattere cogente contenute nelle Convenzioni internazionali.
I piani sui rimpatri del governo Meloni non sono applicabili su vasta scala, presentano caratteri fortemente discriminatori, ed avranno costi umani ed economici insostenibili. Se si spera negli accordi bilaterali e nel sostegno di Frontex, si dovrà comunque fare i conti con i ricorsi ai Tribunali in Italia ed in Europa, e con un ulteriore aggravamento delle crisi di legittimazione dei governi africani che accettano lo “scambio” della propria gente, sottoposta alle procedure di rimpatrio forzato dai paesi UE, con una manciata di denaro.
La decisione dei giudici di Lussemburgo sul caso della famiglia siriana espulsa dalla Grecia in Turchia, relativa ad un caso del 2016, disciplinato da una normativa europea adesso abrogata e relativa ad un accordo peculiare, (tra gli Stati europei e la Turchia) ed irripetibile nel Mediterraneo centrale, non pregiudica ricorsi ai Tribunali internazionali ed ai giudici nazionali di persone che possano essere vittime di trattenimento arbitario nei centri hotspot “chiusi”, di fatto come CPR (centri per i rimpatri) o di respingimenti collettivi, adottati sulla base di una valutazione stereotipa del “paese terzo sicuro”.
Se stiamo assistendo ad una ulteriore dilatazione dei poteri discrezionali delle autorità di polizia, e del ministero dell’interno, e dei suoi uffici periferici, non possiamo dimenticare, in chiusura, i limiti posti gli interventi delle autorità statali quando sono in gioco i diritti fondamemtali della persona, che l’art. 2 del Testo Unico sull’immigrazione riconosce a qualunque persona, indipendentemente dal suo status giuridico, anche nei casi di ingresso o soggiorno irregolare,. Secondo una importante decisione della Corte di Cassazione a Sezioni Unite (n.17461/2006), quando sia in gioco un diritto fondamentale della persona, “«nella misura in cui sia coinvolto il nucleo essenziale, direttamente tutelato dalla Costituzione, l’azione dell’amministrazione (come ancor prima quello del legislatore ordinario) difetta ab origine di discrezionalità e l’attività esercitata si prospetta come vincolata. Ciò poiché all’amministrazione (come al legislatore) non può essere riconosciuto il potere di comprimerlo ed anzi questa è tenuta a fare quanto necessario, di volta in volta, per garantirne la tutela».
7. Si può anche osservare, con riferimento ai rapporti tra Frontex e le autorità nazionali, precisati per le operazioni di soccorso in mare dal Regolamento (UE) n. 656 del 2014, in base al quale le attività dell’agenzia Frontex sono coordinate da centri di coordinamento dello Stato ospitante, che la sentenza dei Giudici di Lussemburgo potrebbe sgomberare il campo dal rimpallo di responsabilità tra le autorità italiane e Frontex nel caso del naufragio del barcone affondato lo scorso febbraio a pochi metri dalla spiaggia di Steccato di Cutro. Caso sul quale vanno emergendo gravi responsabilità a vario livello.
Sulla strage di Cutro non sarà facile continuare ad addossare responsabilità esclusivamente su Frontex, come ha immediatamente avvertito anche la Commissione Europea. E su questo terreno d’indagine si potrebbe profilare dunque l’ennesima crisi con Bruxelles se nella ricostruzione dei fatti, quando la magistratura arriverà ad individuare responsabilità precise, si scaricassero tutte le responsabilità su Frontex, che ne ha sicuramente e molto gravi, per la cooperazione con paesi terzi che non rispettano i diritti umani, ma che, nel caso della strage di Cutro, operava nell’ambito di una operazione coordinata dalle autorità italiane, dalla Guardia di finanza, e in particolare dal National Coordination Center (NCC) del ministero dell’interno, e quindi della Centrale operativa di coordinamento della Guardia costiera italiana (IMRCC). Semmai proprio dal Regolamento (UE) Frontex n.656 del 2014 e dai criteri di qualificazione del distress (stato di pericolo) che indica, per rilevare la condizione di pericolo grave ed immediato, e dunque per imporre alle autorità statali e alla stessa agenzia l’obbligo di “aprire” immediatamente un caso SAR (ricerca e salvataggio), derivano elementi utili per accertare, sul piano penale dove assume rilievo la responsabilità individuale, tutte le responsabilità che possono avere determinato, anche in concorso, un naufragio nel quale hanno perso la vita decine di persone. Un naufragio che adesso si ricorda non per la individuazione dei rsponsabili, oltre ai soliti “scafisti” colpevoli per forza, ma per un decreto “Cutro” (oggi legge n.50/2023) che, nelle pervisioni sulle procedure accelerate in frontiera, e sui” rimpatri veloci”, appare lesivo di diritti fondamentali della persona, a partire dal diritto di chiedere protezione, e dal correlato divieto di respingimento, previsto dall’art.33 della Convenzione di Ginevra e dall’art. 19 della Carta dei diritti fondamentali dell’Unione Europea.
Non basta escludere un evento SAR (attività di ricerca e salvataggio) per quelli che oggi si preferisce definire “eventi di immigrazione irregolare”, magari chiamando in causa l’agenzia Frontex, per eludere le norme internazionali in materia di soccorso in mare e di accesso al territorio ed alle procedure di protezione internazionale. Anche su questo sarebbe tempo di interrogare la Corte di Giustizia dell’Unione Europea, con riferimento al rispetto da parte dell’Italia del Regolamento (UE) n.656 del 2014 e degli obblighi derivanti dal diritto internazionale del mare.
Fonte: Adif
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