L’Accordo di liberalizzazione del commercio tra Unione Europea e Argentina, Brasile, Paraguay e Uruguay, paesi del Sudamerica riuniti nel Mercosur, non poteva essere ratificato perché non presta la dovuta attenzione a questioni essenziali, come i capitoli dedicati ai cambiamenti climatici, allo sviluppo sostenibile, al lavoro e all’ambiente. Era stato questo il parere espresso con timida delicatezza, una risoluzione non vincolante, dal Parlamento europeo che invitava dunque gentilmente ad apportare robuste modifiche. Il linguaggio europeo ha notevoli capacità di esprimere e comunicare certe sfumature del discorso. Poi però Greenpeace Germania ha avuto accesso al testo “secretato” dell’accordo di associazione politica e ha scoperto che, malgrado le critiche già espresse da diversi governi dell’Ue, quel testo è ancora più vago e privo di elementi concreti, nel campo dei diritti, di quanto non sia la sua parte già nota dedicata al commercio. La deforestazione dell’Amazzonia, le durissime conseguenze sociali sui popoli indigeni, l’avanzata delle coltivazioni e degli allevamenti intensivi e nemmeno le rovinose conseguenze dei cambiamenti del clima possono essere un ostacolo all’incremento dei flussi commerciali. Verrà mai un giorno in cui, al di là delle dichiarazioni di circostanza, certe istituzioni “trasparenti” come la Commissione Europea cominceranno a dire con chiarezza quello che pensano e a fare quello che dicono?
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Il «negoziatore più trasparente del mondo», come si definisce la Commissione europea, si scopre ancora una volta meno coerente di come vorrebbe apparire. Il Parlamento europeo, con una risoluzione non vincolante ha affermato che «non può ratificare« l’accordo di liberalizzazione commerciale tra l’Ue e i Paesi del Mercosur – Argentina, Brasile, Uruguay e Paraguay – «nella forma attuale» perché i capitoli dedicati allo sviluppo sostenibile, al lavoro, all’ambiente e all’implementazione dell’Accordo di Parigi sul clima sono deboli.
Ma Greenpeace, entrata in possesso del testo secretato dell’Accordo «politico» di Associazione, che fa parte del trattato Ue-Mercosur e che poteva fornire una cornice più stringente e positiva alle nuove relazioni tra i due blocchi, ha scoperto che invece esso è ancora più vago e declamatorio, nel campo dei diritti, di quanto non sia la sua parte già nota dedicata al commercio.
La versione dell’Accordo di associazione, pubblicata sul sito trade-leaks.org, data 18 giugno 2020: quando, cioè, diversi governi dell’Unione, a partire da quello francese e olandese, avevano già avanzato solidi dubbi sull’opportunità di spingere su un aumento dei flussi commerciali tra le parti.
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Gli impatti ambientali e sociali sui Paesi coinvolti in termini di deforestazione in Amazzonia, di pressione sulle popolazioni indigene, di estensione delle attività agro-zootecniche intensive e estrattive di sfruttamento del lavoro e, più in generale, sul livello di emissioni globale, erano già stati evidenziati e denunciati non soltanto da centinaia di organizzazioni sociali, indigene e sindacali di entrambe le parti, unite nella campagna #StopEu-Mercosur, ma anche da una commissione indipendente di esperti insediata da Macron cui si sono aggiunte le voci contrarie del governo dell’Austria, dell’Irlanda e del Lussemburgo.
Nei giorni scorsi anche i Fridays for Future hanno indicato il trattato, nei loro scioperi per il clima, come una delle principali minacce per il futuro dell’Amazzonia e, quindi, della stabilità climatica del pianeta.
La speranza che le 58 pagine del nuovo Accordo di associazione potessero contenere una visione del futuro più in linea con la dichiarata Agenda Verde europea, si perde già dalle prime righe del testo.
Se il neo-delegato al commercio e vicepresidente della Commissione Europea Valdis Dombrovskis, in una recente audizione con la commissione Trade del Parlamento Ue, ha riconosciuto che l’applicazione concreta delle previsioni del trattato commerciale Ue-Mercosur sullo sviluppo sostenibile «non è abbastanza stringente e va rafforzata», l’Accordo di Associazione politica si limita a elencare una serie di azioni, convenzioni internazionali e attività di cooperazione che le parti «potrebbero», «dovrebbero», «auspicano» di fare insieme nel futuro.
Nessuna sanzione, nessuna clausola di revoca, nessun meccanismo incentivante o disincentivante, nessun organismo di monitoraggio degli impatti dei nuovi flussi commerciali viene messo in campo per provare a rendere davvero credibili questi impegni.
L’accordo incoraggia gli investimenti pubblici e privati tra le Parti, coinvolgendo per l’Ue la Banca europea per gli investimenti, ma non li vincola a criteri di sostenibilità o a valutazioni di impatto.
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L’Accordo istituisce, inoltre, degli organismi di gestione del Trattato – il «Consiglio di associazione» e le «Commissioni associazione» – che possono adottare decisioni e interpretazioni vincolanti della parte politica del trattato, senza alcun controllo democratico o coinvolgimento del Parlamento Ue e dei Parlamenti nazionali.
Il 9 novembre prossimo la Commissione europea potrebbe sottoporre al Consiglio per gli Affari esteri dell’Unione la richiesta di firmare l’Accordo, contando sul sostegno di Germania e Spagna.
Per l’Italia, i parlamentari M5S europei hanno votato la mozione contro la ratifica insieme ai Verdi, il Pd si è diviso tra caldo sostegno e astensione.
L’Italia, attiva nell’area con decine di grandi imprese private e partecipate, a tutt’oggi tace ma il Consiglio è alle porte e il Governo Conte dovrà dimostrare in concreto se è un «campione verde» o un banale «green washer».
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