Il libro “Il lavoro non ti ama”, della giornalista statunitense laburista Sarah Jaffe è una straordinaria inchiesta che combina storie di vita vissuta e riferimenti del femminismo e del sindacalismo degli Usa, denuncia la truffa sottesa al lavoro fatto per amore, che nutre lo sfruttamento alla base del sistema capitalistico
Negli ultimi anni se c’è un provvedimento che ha aiutato in maniera concreta le donne italiane, è stato indiscutibilmente l’istituzione del reddito di cittadinanza, ne hanno beneficiato soprattutto le donne delle periferie geografiche e sociali di questo paese, nel Mezzogiorno e nei quartieri urbani più poveri.
A Napoli ad esempio parliamo dei rioni dell’edilizia residenziale pubblica, la Periferia Nord da Scampia a Secondigliano a San Pietro a Patierno dove da anni manca manutenzione, dignità e decoro, periferie che purtroppo vantano il record negativo di avere il PIL più basso d’Italia.
Parliamo dei quartieri popolari del centro della città: affianco alle isole turistiche continuano ad esistere i bassi, alloggi al piano terra senza finestre dove entra di rado il sole e non è raro entrino i topi, in cui tante donne napoletane conducono una commovente battaglia quotidiana contro il degrado per assicurare alle loro abitazioni un minimo di dignità e di bellezza.
E parliamo ancora della periferia Est: San Giovanni, Barra, Ponticelli. Una volta roccaforti della classe operaia, diventati, dopo le dismissioni, territori di degrado e abbandono, inquinate dalle raffinerie e dagli impianti di lavorazione del gas e dei petroli; e poi ci sono i quartieri della periferia Ovest : Soccavo e Pianura.
Pianura è il quartiere italiano dove la percentuale di tumori e di SLA è la più alta d’Italia, a causa alla discarica di rifiuti più grande d’Europa qui collocata per circa 50 anni.
Sono territori, questi, che insieme ai comuni circostanti hanno condiviso la triste definizione di Terra dei fuochi.
Qui, spesso, sono state le donne a guidare le mobilitazioni contro le discariche clandestine, in prima fila nei i blocchi stradali per impedire che arrivassero i camion delle imprese del Nord Italia a scaricare tonnellate di rifiuti tossici.
Hanno provato con coraggio a proteggere la vita e la salute dei propri figli, della propria famiglia. Una battaglia purtroppo non sempre vinta: la Terra dei fuochi ha pagato un tributo pesantissimo in termini di vite umane all’avidità, al cinismo delle aziende e degli speculatori, favoriti dalla collusione col sistema della criminalità organizzata.
Da queste periferie un esercito di donne, la mattina prestissimo, si sposta affrontando avventurosi e incerti viaggi di ore sui precari e irregolari mezzi di trasporto urbani, arriva nei quartieri bene della città per qualche ora di lavoro, per sbrigare “i servizi” cioè le faccende domestiche negli appartamenti di lusso dei quartieri bene, quasi sempre pagate in nero.
Ricordo quando lavoravo nella periferia nord, le vedevo ogni giorno pazientemente in attesa alla fermata di autobus che passavano a volte dopo ore, con una rassegnazione che faceva male.
Ricordo quando le rimproveravo perché avevano mandato i bambini a scuola con la febbre e si giustificavano mortificate perché non sapevano come fare, non sapevano dove lasciarli per andare a lavorare perché, ovviamente, non c’erano né ferie né giorni di malattia pagati né tantomeno qualsiasi elementare diritto in tema di maternità o di assistenza ai figli; neanche la possibilità di accedere ai nidi o agli asili pubblici perché quando lavori a nero e senza certificazioni nelle graduatorie rimani ai posti più bassi.
A molte di loro il reddito di cittadinanza ha dato qualche soldo in più per sbarcare il lunario senza spaccarsi la schiena nelle ville di Posillipo per pochi euro all’ora, la possibilità di liberarsi di un marito violento, del tempo per stare coi loro bambini, uno spiraglio di fiducia, di speranza.
Oggi il pericolo e il danno più grande per queste donne viene proprio dal ridimensionamento e dalla probabile abolizione del reddito stesso, che rischia di riportarle tragicamente indietro negando loro quel minimo di libertà dal bisogno e di autonomia economica che finalmente lo Stato iniziava a garantire.
Quando ho letto “ Il lavoro non ti ama” della giornalista americana laburista Sarah Jaffe, sulla condizione delle donne della working class negli USA, delle donne afroamericane e delle altre minoranze etniche, costrette a fare i lavori più umili e nello stesso tempo a barcamenarsi con la cura delle loro famiglie, della loro esistenza di fatica e sacrificio, di precarietà e di umiliazione, senza un sistema efficace di welfare che le tuteli, è stato naturale pensare alle tante donne che avevo conosciuto, alle loro vite senza dignità, né luce, né gioia.
Così, come “Citta delle Donne” abbiamo pensato che fosse giusto parlare di questa condizione che accomuna “donne di periferie” di tutto il mondo e Scampia, a Napoli, ci è parso il posto più adatto dove invitare Sarah a presentare il suo libro.
Ci è parso il posto più adatto non solo per le difficoltà e i problemi ma soprattutto per la speranza.
Il libro di Sarah è un libro di denuncia ma anche un libro di speranza, che racconta le ingiustizie ma anche tutte le nuove esperienze di lotta e di riscatto delle lavoratrici e dei lavoratori americani, la loro volontà di superare la frammentazione e di ritrovare una nuova dimensione collettiva e sindacale.
Scampia è un territorio dove la speranza attecchisce e cresce molto bene, un quartiere che è riuscito in anni di lotte a ribaltare tanti stereotipi che lo volevano solo territorio di degrado e di camorra, dove grazie all’impegno dei comitati, delle associazioni, della cittadinanza organizzata, delle istituzioni di prossimità oggi, finalmente, è arrivata l’Università sognata da tanti anni.
A Scampia si fa cultura, teatro, cinema, graffiti, musica, editoria e radio. Scampia rappresenta, forse, la più grande realtà di riscatto della periferia napoletana che può e deve necessariamente contagiare tanti altri quartieri.
In questo riscatto le donne hanno avuto un ruolo di primo piano, sono state e sono protagoniste, simili in questo alle loro sorelle americane alle loro sorelle di tutto il mondo. Così il 13 ascolteremo Sarah che ci parla di esperienze negli USA e ascolteremo le donne di Napoli e di Scampia.
Questo libro ci da anche l’occasione di fare una discussione vera sul femminismo, legata a temi concreti e a territori precisi, collocata nella vita quotidiana di tantissime donne italiane.
Spesso ci si è adeguate a una visione delle politiche di genere scritta dal neoliberismo che ne fa una faccenda di “diritti civili”, separati da una gigantesca questione sociale.
Non si si tratta solo di riconoscere dei diritti o delle libertà, non è una semplice questione di pari opportunità, è necessario cambiare dalle fondamenta un modello di sviluppo che funziona da secoli.
L’attuale assetto economico neoliberista non può sopravvivere senza il lavoro di riproduzione e cura svolto nelle famiglie da sempre dalle donne a costo zero, parliamo di un enorme esercito di manodopera, sfruttato e non riconosciuto.
Il tutto in nome di un’ idea sbagliata, di una colossale truffa e cioè che quel lavoro non sia tale perché dovuto dalle donne come atto di dedizione, come “lavoro fatto per amore”.
In passato le lotte per il salario alle casalinghe, che il movimento femminista cercò di portare avanti, furono ignorate, sottovalutate, pure avrebbe avuto la possibilità di creare una contraddizione, un inceppo nel il meccanismo di funzionamento del capitalismo patriarcale.
La sconfitta di quelle lotte, il non riconoscimento del valore economico del lavoro di riproduzione e di cura, ha favorito anni dopo la distruzione del welfare, ha permesso al neoliberismo di governare la contraddizione a modo suo.
Oggi il lavoro di riproduzione e cura è affidato dalle ricche donne di affari o dalle casalinghe di lusso ad altre donne che lo fanno come unica possibilità di sopravvivenza, ed è spesso un lavoro malpagato e privo di diritti.
Succede negli USA soprattutto con le donne afroamericane o di altre minoranze etniche, succede dalle nostre parti con le donne più povere e le migranti.
Invece il lavoro di riproduzione e di cura è lavoro a tutti gli effetti e come tale va riconosciuto, come tale va monetizzato e va pagato in maniera dignitosa a chi se ne occupa, donna o uomo che sia.
Una battaglia che non solo assicura dignità e autonomia economica, ma che rovescia paradigmi e stereotipi sul ruolo dei sessi, una rivoluzione economica e culturale che mina le basi del patriarcato e dell’ordine neoliberista.
Qui il discorso si intreccia fortemente con la battaglia di dignità del reddito di cittadinanza e pone interrogativi nuovi sulla dignità del lavoro, sulla sua funzione ma anche sul significato dell’esistenza umana e sul valore delle attività sociali e di servizio alla comunità, come dovrebbe essere la politica stessa, basti pensare alle affermazioni di Papa Francesco sul reddito universale come possibilità di ridistribuire la ricchezza e ridare centralità alla persona.
Ma credo che uno dei tratti più interessanti del libro di Sarah Jaffe sia la narrazione di come la “truffa del lavoro per amore”, partendo dal modello femminile si è estesa a vasti settori del mondo del lavoro, per giustificare la precarietà, l’assenza di orari definiti, l’adeguamento dei nostri ritmi di vita alle esigenze del mercato globale.
Le prime e primi a farne le spese sono state le “lavoratrici e i lavoratori essenziali” a cui è stato chiesto ad esempio nel periodo della pandemia una disponibilità totale a reggere il peso delle basilari esigenze della società, spesso a prezzo della loro vita e della loro salute.
Non dimentichiamo che nel cosiddetto “ lavoro essenziale” che nel periodo dei lockdown non si è potuto mai fermare e ha mandato avanti il mondo, le donne rappresentano circa il 70% della manodopera dell’intero pianeta. Parliamo di medici, paramedici, colf, badanti ma anche di commesse e commessi dei supermercati, di operaie e operai del settore alimentare e della logistica ad esempio.
Ormai l’illusione del “ lavoro per amore “è andata ben oltre, coinvolge anche i cosiddetti “lavori creativi” o fatti per “passione”, dal III settore alla ricerca, dal mondo universitario al giornalismo, dal teatro alla musica, per non parlare di quei lavori dove in teoria ma solo in teoria si è padroni di se stessi: partite IVA, giovani professionistƏ, tassistƏ, fattorinƏ di Uber , soci e socie di piccole cooperative.
Tutti questi lavori hanno in comune spesso la precarietà e soprattutto tempi di lavoro estremamente elastici che alla fine significano essere sempre connessi, disponibili, di sera, di sabato e di domenica, d’estate o a Natale, sacrificando il tempo libero, la propria vita privata.
E quand’anche si è pagati decentemente, la riduzione progressiva del welfare, lo smantellamento della sanità e dell’istruzione pubblica, dei servizi e dei trasporti, quanto costa in termini di salario? Quanto siamo costrette e costretti a pagare per un dentista decente, un asilo nido privato, un taxi che ci faccia arrivare in tempo. Sono soldi sottratti al salario e ai bisogni delle nostre vite.
E ancora quanta solitudine e quanta frammentazione c’è oggi nel mondo del lavoro? Quanto è difficile stabilire relazioni non competitive e trovare coesione per difendere i diritti e la dignità dei salari?
C’è bisogno di provare a dare risposte reali a questi interrogativi e di riaggiornare la nostra visione del mondo del lavoro che oggi comprende esperienze e soggetti nuovi.
Ripartire dalla donne è probabilmente il modo migliore per farlo, così come è necessario far conoscere le nuove vertenze, che negli Usa, così come nel nostro paese, nascono nelle periferie geografiche e sociali, dando di nuovo significato e valore ad una dimensione collettiva, ai legami e alla solidarietà.
*“La Città delle Donne”
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