Continua a far caldo, troppo caldo, e non piove. Nell’Antartide, il 18 marzo si è registrata la temperatura più alta di sempre, superiore di 30 gradi alla media stagionale, una piattaforma di ghiaccio grande come il territorio della città di Roma è collassata. Anche per le migliaia di ghiacciai delle Alpi la situazione è gravissima: dall’Ottocento a oggi hanno perso due terzi del loro volume a causa del riscaldamento globale. L’allarme sulla assoluta mancanza di responsabilità nella protezione del pianeta viene ripetuto anche da chi si occupa delle foreste: nel solo 2021 sono stati deforestati 9.724 chilometri quadrati in tutta l’Amazzonia, le cifre del biennio scorso sono comunque le più alte degli ultimi 15 anni. Chiunque si illuda che nel mondo oggi si stia diffondendo un po’ di consapevolezza, farà bene a ricredersi. Naturalmente, non va meglio in Italia. L’occupazione dell’intero spazio mediatico da parte della guerra in Ucraina oscura eventi estremi molto seri: come la siccità che investe i corsi d’acqua con cento giorni senza pioggia. Le riserve idriche sono ai livelli minimi. La portata del Po si è ridotta del 40% e i suoi affluenti sono dimunuiti del 60%
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Il 18 marzo alla base di ricerca Concordia, che si trova nell’est dell”Antartide a più di tremila metri d’altitudine, è stata rilevata la temperatura più alta di sempre: meno 12,2 gradi Celsius, circa trenta gradi in più della media stagionale. Nella base Dumont d’Urville, sulla costa est, è stata rilevata una temperatura di 4,9 gradi, la più alta per il mese di marzo. Le temperature ai poli stanno quindi aumentando più velocemente rispetto al resto del pianeta.
Il numero di marzo del National Geographic Italia si intitola “Inverni senza neve” e dedica circa venti pagine alla situazione dei ghiacciai e ai sistemi empirici e costosi per mantenere nel tempo la loro utilizzazione per lo sport e il turismo.
Dall’800 a oggi, e con un’accelerazione negli ultimi decenni, i circa 4000 ghiacciai delle Alpi hanno perso due terzi del loro volume a causa del riscaldamento globale. Le temperature medie di questa catena montuosa sono aumentate di 2 gradi centigradi, quasi il doppio della media mondiale.
La neve arriva più tardi e fonde più in fretta. Stando agli studiosi che hanno analizzato i dati di oltre 2000 stazioni meteorologiche, le Alpi nel loro complesso hanno perso quasi un mese di copertura nevosa. Durante le estati asciutte, i più grandi fiumi d’Europa, il Rodano, il Reno, il Danubio e il Po, sono in buona parte alimentati dall’acqua di disgelo. E quindi la navigazione e l’irrigazione stagionale potrebber diventare un problema. Inoltre cambiano gli inverni, a partire dall’anno 2000 in quasi l’80% delle catene montuose, si registra una forte diminuizione delle aree coperte dalla neve e dei giorni di permanenza al suolo della neve. Cioè la prima neve cade più tardi e l’ultimo giorno di neve arriva prima.
E’ poi da notare che se neve o ghiaccio marino si ritirano in anticipo, liberano superfici scure, terra o mare, che assorbono più sole e irradiano nuovamente il calore, aumentando la temperatura dell’aria e riducendo ulteriormente le precipitazioni nevose. Questa retroazione ghiaccio-albedo è quindi un fenomeno che si autoalimenta e che danneggia l’agricoltura, allunga la stagione degli incendi e aumenta il rischio di inondazioni.
Il testo fornisce poi numerosi esempi di tentativi di ricorrere alla neve artificiale e di coprire con dei teli parti di ghiacciai, sottolineando il loro costo e la loro scarsa efficacia; illustra anche alcuni progetti ad alta tecnologia potenzialmente capaci di modificare il clima di specifiche aree. E’ poi completato da un interessante confronto tra fotografie storiche e immagini attuali, relative ai ghiacciai in fase di rapido arretramento.
Due gravi fenomeni riguardano l’Antartide. Una piattaforma di ghiaccio grande come il territorio di Roma, denominata Conger, è collassata nella parte orientale. Ciò è accaduto in concomitanza dell’anomala ondata di calore registrata a metà marzo, quando la temperatura del plateau antartico è salita di più di 40 gradi oltre la norma, fino a segnare il record di 11,8 gradi sotto zero. L’ondata di caldo eccezionale è durata una settimana circa: la temperatura è iniziata a salite il 16 marzo, ha quindi raggiunto il picco di -11,8 gradi C ed è tornata gradualente a scendere nella norma intorno al 23 marzo. Il secondo fenomeno riguarda l’inquinamento, cioè la superficie ghiaccata si ricopre di particelle di fuliggine.
Il fenomeno è noto, poichè si verifica da tempo nell’Artico, sull’Himalaya e sulle Ande, con microparticelle originate dalla combustione di carburanti fossili o da grandi incendi e trasportate dal vento. Però l’Antartide è protetta da correnti circolari che la isolano dal resto del pianeta e quindi l’inquinamento deve dipendere da cause locali. I ricercatori hanno studiato 28 siti lungo rotte turistiche e presso le stazioni di ricerca, scoprendo che in queste aree l’inquinamento era maggiore. E in effetti, durante l’estate australe oltre 70.000 turisti hanno visitato il continente su navi da crociera, mentre vicino alle 70 stazioni di ricerca l’inquinamento era addirittura peggiore. Le particelle di fuliggine scuriscono quindi i ghiacci che assorbono più raggi solari e si sciolgono più facilemente.
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Processi economici e danni all’ambiente
Oggi l’umanità usa ogni anno circa cento miliardi di tonnellate di materiale estratto dalla superfice terrestre, dai minerali alle sostanze alimentari e per il 90% si tratta di materie vergini. Però solo 30 miliardi di tonnellate sono usate per fabbricare qualcosa che resta, che viene usato più volte. Tutto il resto è bruciato come combustibile o usato fugacemente e gettato via, e finisce per inquinare il suolo, l’acqua e l’aria, producendo emissioni di gas serra che producono gli effetti nefasti della crisi climatica. Questo meccanismo è ormai insostenibile e in realtà si sono immaginate da tempo alternative molto migliori.
Fino a un secolo fa i bisogni materiali degli esseri umani sono stati soddisfatti da risorse semplici, principalmente naturali, legno, pietra, metalli e altre cose che potevamo raccogliere, scavare o tagliare. Trasformarle in qualcosa di utile richiedeva fatica quindi gli oggetti erano fatti per durare e venivano riparati molte volte nel corso della loro vita.
Quando alla fine cadevano a pezzi, molte componenti erano riutilizzate o marcivano, alimentando il terreno. Oggi invece, sotto la spinta del cosiddetto progresso tecnologico, si sono moltiplicati i prodotti chimici e le trasformazioni di prodotti come il petrolio, pietra e legno sono stati sostituiti da cemento e acciaio, e il tasso di inquinamento aumenta ogni giorno. Anche le terre rare, ampiamente utilizzate nei prodotti elettronici, sono difficilmente recuperabili o richiedono processi molto costosi. E’ stata immaginata una economia circolare, rispondente a quattro principi: usare meno cose, usarle più a lungo, riciclarle più volte e, quando è possibile, usare gli scarti per arricchire i terreni., ma solo da pochissimi anni e in pochi paesi sono apparse delle prime normative che vanno in questa direzione.
L’Amazzonia risente in misura crescente per i danni arrecati dalle attività umane e ora anche dalla crisi climatica. Una recente ricerca ha analizzato la salute della foresta amazzonica con dati rilevati dai satelliti tra il 1991 e il 2016. E’ stato evidenziato un crollo della resilienza di tutta l’Amazzonia, cioè della sua capacità di riprendersi dei momenti di stress, soprattutto dalla siccità, dagli incendi e dai disturbi antropici. Questo parametro è definito dai ricercatori “rallentamento critico”, che se si prolunga nel tempo rende sempre più probabile che l’intero ecosistema cambi stato in modo drastico, drammatico e veloce.
I dati raccolti sono quindi i primi segnali di allarme di una catastrofe su larga scala per quell’area del mondo. Attraverso una misura chiamata “profondità ottica della vegetazione” i ricercatori hanno osservato che la biomassa forestale non riesce a recuperare le perdite, muoiono più alberi di quelli che nascono per rimpiazzarli, la foresta si indebolisce ciclo dopo ciclo, stress dopo stress, anche perchè le nuove piante crescono e si adattano più lentamente e ad esempio le specie più resistenti alla siccità non fanno in tempo a sostiutuire quelle più sensibili.
La regione in origine era una delle più umide al mondo, ma ci sono state tre diverse siccità dal 2000 ad oggi. Molto intense sono state le attività umane nei paesi coperti dalla foresta amazzonica: conversione dei suoli, ampliamento dell’agricoltura e degli allevamenti intensivi, la costruzione di strade, il prelievo di legname, gli incendi dolosi. Inoltre in questi territori vivono un decimo delle specie conosciute, e sono 5,5 milioni di chilometri quadrati di foreste che assorbono quantitativi rilevanti di anidride carbonica dall’atmosfera.
Questa perdita di “stabilità ” del sistema forestale è già pervenuta al 75% del totale iniziale, il punto di non ritorno è sempre più vicino, anche perchè non sembra siano previste politiche volte a invertire questi processi. Nel solo 2021 sono stati deforestati 9724 chilometri quadrati di tutta l’Amazzonia.
Processi a Monsanto-Bayer
Bayer negli Stati Uniti pagherà 648 milioni di dollari per risarcire le città inquinate dalla Monsanto, la principale multinazionale dei semi e dei pesticidi, acquistata nel 2013. Ha infatti dovuto sostenere un processo per i danni causati dai PCB (bifenili policlorati ) in circa 2500 città e contee dove sono state registrate vittime. Non è ancora chiaro se processi analoghi saranno intentati in altri paesi danneggiati.
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Eventi estremi in Italia
I dati disponibili in questo mese, e ovviamente trascurati ancora più del solito a causa dell’invasione russa in Ucraina, evidenziano invece fenomeni climatici finora quasi sconosciuti nel nostro paese. I corsi d’acqua, in particolare il fiume più lungo, il Po che attraversa varie regioni, hanno superato i cento giorni senza pioggia e dalla neve sulle montagne ai laghi le riserve idriche sono ai livelli minimi. La portata del Po si è ridotta del 40% e i suoi affluenti sono dimunuiti del 60%. Facendo un confronto tra il febbraio-marzo del 2021 e gli stessi due mesi di quest’anno, la portata del Po in termini di metri cubi al secondo, a Torino è passata da 42,2 a 24,9; a San Sebastiano da 95,9 a 50,6; a Valenza da 178 a 120; a Isola San Antonio da 333 a 152; a Piacenza da 698,9 a 297; a Cremona da 956,3 a 437,1; a Boretto da 973,2 a 478,4; a Borgoforte da 1202 a 597, 9, a Pontelagoscuro da 1261,9 a 707,3. Se prendiamo in considerazione i principali laghi, le percentuali di riempimento non sono elevate solo per il lago di Garda (dal 95% all’80%), mentre il lago Maggiore è passato dal 75,5% a 28,5%; il lago di Como dal 34,7% al 8,2%; il lago d’Iseo dal 53,6% al 7,9%. Record negativi anche sulle portate medie ddei fiumi minori: sono ai minimi storici dal 1972 il Trebbia, il Secchia, e il Reno, sono vicini ad un -75% la Dora Baltea, l’Adda e il Ticino.
Inoltre nel delta del Po la portata del fiume è così bassa che il mare Adriatico entra negli alvei, risale dalla foce e si insinua all’interno per chilometri e chilometri. E ovviamente se il sale si infiltra negli argini e penetra nei campi, le terre coltivate non produrranno più nulla. Un altro lago, quello di Bracciano, importante per la sua vicinanza a Roma, è prossimo ai livelli di crisi del 2017, ma sembra non destare preoccupazioni, anche se il direttore del Parco segnala un livello inferiore di un metro, le morie di pesci, e i danni alle faggete patrimoinio dell’Unesco che soffrono per la siccità.
Si segnalano diversi incendi nei boschi di molte regione, in particolare in Emilia e Romagna, nelle province di Parma e Piacenza, in Lombardia, Veneto, Umbria e Lazio. Una prima stima indica che gli incendi sono cresciuti del 14% in un anno.
Alla fine della seconda metà del mese si prevede un crollo della temperatura di 8-10 gradi rispetto alla media della stagione nel centro nord, a seguito dell’arrivo di un freddo siberiano che ha causato anche nevicate, perfino in cima al Vesuvio.
Infine, un articolo apparso sul manifesto del 30 marzo fornisce utili precisazioni per comprendere i rapporti esistenti tra l’invasione dell’Ucraina e e l’aumento dell’inquinamento ambientale. In primo luogo, la Russia era un importante fornitore di fertilizzanti perchè questi si producono sintetizzando l’azoto atmosferico e l’idrogeno prodotto dal metano, ed emettendo anidride carbonica. Il gas costa poco ai produttori russi, che quindi possono vendere il fertilizzante a prezzi attraenti. E quindi l’Italia lo acquista normalmente in quantità rilevanti. In secondo luogo, importavamo dall’Ucraina il 50% di cereali, in particolare mais, che vengono utilizzati in Italia. Questi cereali, però, vengono in gran parte utilizzati per l’allevamento intensivo di bestiame bovino, i quali come è noto emettono metano in atmosfera, contribuendo pesantemente al riscaldamento globale. Inoltre parte dell’azoto dei fertilizzanti sparsi nei terreni si combina con l’ossigeno atmosferico e produce protossido di azoto, altro gas serra quasi trecento volte più dannoso della Co2.
Si crea quindi un circolo vizioso che in ogni trasformazione emette gas a effetto serra. Ovviamente la soluzione radicale si trova solo nel cambiamento dell’alimentazione umana finale e nella conseguente sparizione degli allevamenti intensivi. Un terzo meccanismo produttivo fortemente dannoso per l’ambiente, di cui si sta parlando molto in questi giorni, riguarda il tentativo di sostituire il gas russo con gas liquefatto di altra provenienza, utilizzando navi metaniere e costruendo o noleggiando altri rigassificatori, per poi trasformare il gas liquido in gas adatto a vari usi.
Ci sono però molti problemi, il primo è che la produzione di GNL genera livelli più alti di emissioni di anidride carbonica, inoltre liquefarlo richiede energia e quindi nuove emissioni. Inoltre trasportarlo con navi comporta nuove emissioni e per rigassificarlo serve altra energia e si verificano nuove emissioni. Infine, nel caso del gas proveniente dagli Stati Uniti, le emissioni che sfuggono dai giacimenti sono circa sei volte quelle dichiarate dalle imprese estrattive.
Sarebbe poi importante non trascurare il fatto che una volta costruita una filiera produttiva basata sul metano, questa sarà in ogni caso mantenuta in funzione, allontanando ancora di più le scadenze urgenti per la riduzione dell’uso delle fonti fossili a livello planetario. In conclusione, i danni causati dall’invasione russa sono molto maggiori di quelli già causati al paese e alla popolazione dell’Ucraina e quindi dovremmo con urgenza ridurre i consumi dei combustibili fossili in tutti i paesi europei.
Vorrei anche sottolineare che la corsa agli armamenti con il conseguente aumento delle spese militari: ricerca e sviluppo tecnologico, contribuiranno pesantemente all’inquinamento con conseguente perdita di quella economia circolare di cui si riempiono la bocca gli organi di governo. Transizione ecologica possibile solo attraverso le fonti rinnovabili e non l’aumento nell’uso dei combustibili fossili e il ricorso al nucleare!