Cosa differenza speranza e desiderio? Perché la speranza non ha nulla a che vedere con l’ottimismo? La disperazione è cosa del pensiero o del cuore? Possiamo imparare a pensare la speranza in questo tempo angosciante? Esiste un legame tra ciò che ha fatto Rosa Parks un giorno del 1955 e la speranza? Sappiamo essere capaci di cercare momenti di senso e di allegria perfino nel buio? Un intervento di Franco Berardi Bifo ci aiuta a tenere aperte molte domande

Tra i numerosi commenti all’articolo, pubblicato sabato 22 marzo, Come ho potuto pensare di essere europeista? di Franco Berardi Bifo, c’è anche quello di Giulio Marchesini che si chiede come Bifo possa aver aderito alla campagna Partire dalla speranza e non dalla paura. Questa la sua risposta:
Mi sento come un ladro in chiesa, ora che Giulio Marchesini mi ha scoperto e pubblicamente denunciato. “Mi chiedo come Bifo, pur lucido nella sua analisi critica di un tempo in cui non era l’Europa a muoversi, ma singoli nazionalismi da rapina, possa aver aderito alla campagna Partire dalla speranza e non dalla paura. Dove s’intravede la speranza nei suoi scritti?”. In effetti debbo confessarlo: non mi piace parlare di speranza, come non mi piace parlare di fede. Perché non le comprendo queste due parole, le considero vuote, stupide, false. Non credo, ma penso. Non spero, ma cerco di capire. Niente fede e niente speranza. La carità… la carità la comprendo. Potete chiamarla infatti solidarietà, affetto, compassione, empatia, come vi apre. Ma la speranza? Che significa questa parola?
Un giorno Gianluca Carmosino mi ha chiesto di aderire alla campagna Partire dalla speranza, non dalla paura, e gli ho detto di sì, pur sapendo che stavo mentendo per affetto, mentendo per carità, appunto. Ma Giulio Marchesini mi ha sgamato. Sarò espulso da Comune? Anche da qui? Poffarbacco! Ma a questo punto, pubblicamente denunciato, debbo ammetterlo: non credo. E non spero. Forse oggi i cristiani sono quelli cui voglio più bene, gli unici che hanno una ragione forte per non cedere all’orrore e al cinismo. Però non sono come loro, perché non credo. Sono ateo, se Giulio Marchesini me lo può perdonare. Sono ateo e materialista, e prima di “sperare” ho bisogno di capire. Me lo permette Giulio Marchesini? E sa dirmi perché dovrei sperare (io che non credo in dio)? C’è un solo processo reale, nella società, nella cultura, nella politica, che mi permetta di, come dice lui “sperare”? Sono disperato, ancorché piuttosto allegro. Perché la disperazione è cosa del pensiero, non del cuore. Sono disperato e convinto che la storia del genere umano si avvicini al finale. Posso dirlo o debbo vergognarmene? Credo che il ritorno del nazismo sia la prova del fatto che la storia maschile ha prevalso, e al femminile resti solo una possibilità (non una speranza): non procreare, non riprodurre il genere umano. Farla finita con la storia. D’altronde mi pare che è quello che stanno facendo. Posso dirlo, o debbo attenermi alla verità ufficiale? O a quella rivelata? A proposito: Francesco si meraviglia che sia ancora vivo. Mi dispiace doverglielo dire, ma sì. Sordo, malandato, disperato, ma vivo. Buonanotte.
Quando abbiamo scritto il testo della campagna Partire dalla speranza e non dalla paura, che si rivolge a tutti coloro che scrivono e leggono Comune, sapevamo che non tutti avrebbero condiviso. Sapevamo anche che ci sarebbero state persone, come Franco, la cui adesione sarebbe arrivata lo stesso per affetto e stima. Vi pare poco in questo tempo? Del resto questo assai fragile spazio di comunicazione indipendente chiamato Comune, che proprio negli ultimi giorni di marzo 2012 ha pubblicato i suoi primi articoli, per fortuna, non ha mai avuto un’unica linea editoriale a cui attenersi: il pluralismo dei punti di vista resta qualcosa da preservare sotto il tetto sgangherato di Comune.
A orientare la campagna sono stati due libri: Speranza forza sociale (Hermatena), nato da un’idea di Gustavo Esteva, e Speranza. In un tempo senza speranza (Punto rosso) di John Holloway, usciti a distanza di qualche mese. Più o meno nello stesso periodo è arrivato nelle librerie anche Occupare la speranza (Castelvecchi) di Marina Garcés.
Holloway ed Esteva esplorano il concetto speranza in modo formidabile. Per Holloway è importante ripartire da un filosofo marxista come Ernst Bloch, teorico del principio speranza: Bloch prima di tutto differenziava la “docta spes” dal pio desiderio, che non fa nulla per cambiare il mondo. Oggi, dice Holloway, la nostra è una speranza angosciata per quanto accade in ogni angolo del mondo, una speranza dunque che non è per nulla ottimismo. “Lottiamo non perché pensiamo di vincere, ma perché non possiamo accettare ciò che esiste – scrive Holloway – Gridare contro un sistema che ci disumanizza non ha bisogno di giustificazioni”. Uno straordinario esempio di speranza, dice Holloway, resta la ribellione di Rosa Parks che nel 1955 cominciò a comportarsi come se la discriminazione razzista non esistesse. Giorgio Agamben recentemente ha parlato dell’importanza delle “cose che ci-non-sono“. Aggiunge Esteva: “Leviamo in alto la speranza, che non è, come diceva Vaclav Havel, la convinzione che qualcosa accadrà secondo certe modalità, bensì la convinzione che qualcosa abbia un senso, indipendentemente da ciò che avverrà”. Imparare a sperare significa allora partire dal “dove siamo”, dal qui e ora, e non dalla paura, significa che l’anticapitalismo è radicato nella vita di ogni giorno delle persone comuni più di quanto non sembri, sta a noi riconoscerlo e farlo crescere.
In dicembre, alcuni di questi nodi erano emersi quando abbiamo pubblicato un altro articolo di Bifo, Speranza, depressione e diserzione. Nella nostra introduzione si legge:
Se i democratici negli Usa e la sinistra ovunque in generale fossero all’altezza del tempo terrificante che viviamo, scrive Franco Berardi Bifo, dovrebbero ammettere che i governi di destra al potere in tanti paesi con le loro ricette di ultraliberismo e autoritarismo sono la conseguenza prima di tutto della mancanza di autocritica e l’evoluzione del liberismo moderato che per trent’anni ha guidato l’azione dei governi di centro-sinistra. Per questo quando democratici e sinistra parlano oggi di speranza non meritano alcuna fiducia. Aggiunge Bifo: “La speranza non è un argomento. È uno stato d’animo (spesso ingannevole e foriero di delusione e di rancore), oppure è una virtù teologale”. Su Comune da tempo abbiamo però aperto e protetto il concetto di speranza (grazie, tra gli altri, a John Holloway e Gustavo Esteva ma anche Marina Garcés e Giorgio Agamben): per questo non siamo d’accordo con Bifo. Abbiamo imparato che la speranza può essere pensata prima di tutto come lotta, come rifiuto dell’ordine delle cose, come ricerca continua. Non dunque la speranza-desiderio che non fa nulla, e di fatto anestetizza, in attesa di tempi migliori, ma la speranza che implica sempre il fare qualcosa, senza delegare, per cambiare il mondo, indipendentemente dai risultati immediati. È una speranza che spinge fuori, a differenza della paura e del catastrofismo apocalittico astratto che ci chiudono dentro, ma è anche inevitabilmente una speranza angosciata, non un ottimismo. In realtà quando Bifo scrive “è il tempo di scappare. E quando si scappa non ci si limita a scappare, si cercano nuove tecniche di sopravvivenza, nuove forme di amicizia e di erotismo…” anche lui prende le distanze da un’idea di speranza come qualcosa di statico e ci aiuta, ancora una volta, a tenere insieme lotta, pensiero critico e tenerezza
Commentando quelle righe via email, John Holloway, tra l’altro, ha scritto: “Mi piace molto leggere Bifo perché stimola e provoca, ma la speranza non è la sua”. Insomma, quale idea di speranza vogliamo proteggere (anche da democratici e sinistra, per dirla con Franco) è chiaro, così come limpida è la posizione di Bifo, che in realtà non condivide soprattutto la speranza così come definita in quanto virtù cristiana.
Forse ha ragione Amador Fernández-Savater, che in un recente articolo si chiede cosa dobbiamo farne della disperazione oggi dominante. Occorre imparare a sopportare il vuoto, accettare che non possiamo cambiare l’ordine delle cose, se non dove arriviamo con le nostre relazioni, ma nello stesso tempo tentare di far emergere dal vuoto un’idea di speranza diversa, non come ottimismo/illusione ma come “attività”, qualcosa che non delega, che non attende un domani migliore, che è capace di cercare momenti di senso e di allegria perfino nel buio.
Note a margine. Franco Berardi Bifo per ora non è stato espulso da Comune ma potrebbe presto subire un secondo processo per incitamento alla diserzione. Giulio Marchesini, dopo questa polemica, ha aderito alla campagna Partire dalla speranza e non dalla paura.
Qui le informazioni per aderire
alla campagna “Partire dalla speranza e non dalla paura”
e l’elenco di chi ha già aderito
Leggi l’articolo anche in greco: Να προστατέψουμε την ελπίδα – Proteggere la speranza
Caro Gianluca, nonostante i tempi bui che stiamo vivendo, noi abbiamo SPERANZA e guai a chi ce la tocca! 🌸
Rispetto a questi temi consiglio anche la lettura di “Contro la società dell’angoscia. Speranza e Rivoluzione” di Byung Chul Han. Anche per me che normalmente non amo il concetto di speranza questo libro è stato chiarificatore.
Hai ragione Federica, è un libro importante, anche se non ci ha convinto in alcuni passaggi. Grazie.
Mi auguro che il celebre Bifo sia messo fuori da Comune info; può viver bene con i libri che redige, altra pubblicità non gli serve. Personalmente butto tutto nella spazzatura e non leggo i suoi nichilismi disperati.
Non condivido l’antinomia fra desiderio e speranza. Il desiderio di cambiare il mondo così come lo avevamo ereditato ha sorretto il movimento delle donne fin dagli anni ’70 del 900 ed è ora per me pratica quotidiana. È quello che, riconosciuto in me e in altre, mi fa nutrire speranza. Così come riconoscerlo in altre belle realtà intorno a me. Fra queste Comune. Un bel libro su questo modo femminile di leggere il desiderio è La politica del desiderio di Lia Cigarini. della Libreria delle donne di Milano. Grazie
È bello abitare Comune come uno spazio nel quale, tra le altre cose, è possibile segnalare e prendere nota di letture valide. Grazie Antonietta.
A noi piace molto la differenza individuata da Bloch tra desiderio, qualcosa che spinge e mostra un nostro coinvolgimento perché cambi l’ordine delle cose qui e adesso, e “pio desiderio”, cioè qualcosa che è fermo lì (“speriamo che ci siano meno femminicidi”, “speriamo che domani ci sia il sole”…) in cui non si fa nulla per cambiare il mondo. Che la speranza sia prima di tutto un movimento di ricerca collettivo.
Leggo il botta e risposta benevolo anzichenò tra la redazione e Bifo. Ho anche letto il suo commento, in qualche modo astioso, alla manifestazione pro-Europa. Non posso, in tutta onestà, non definirlo lucido. Ma devo di necessità definirlo fin troppo asettico. Mi è sembrato di udire le parole di un medico che, dinanzi a un paziente disperato, dice: «Questa è la malattia» e poi tace. Cosa può fare il paziente se dal medico non viene proposta una cura? Può continuare a macerarsi nella sua malattia con la speranza di trapassare al più presto? O, magari, andarsene, accompagnato dalla sua disperazione a cercare rifugio in qualche strampalata teriaca somministrata dal santone di turno? Credo che qui si possa descrivere il limite vero di ogni analisi che non fornisca anche una via d’uscita. L’Europa è stata sì la patria dei colonialismi. Più di qualunque altra aggregazione sociale della storia. Lo è ancora, per più di un verso, rendendosi partecipe di ciò che di oscuro accade in un mondo che, della guerra (della violenza, se si preferisce) non riesce ancora a fare a meno. Cosa avrebbe voluto vedere Bifo? Una piazza di peccatori pentiti, vestiti di sacco, con la corda al collo e i piedi nudi? Non sono un diretto sostenitore della speranza che, a volte, può rivelarsi un inganno. Ma non posso neanche rimanere al balcone a guardare la storia che passa per la mia strada e mi lascia indietro. Tentare di fare qualcosa partendo dalla consapevolezza di cosa sia stata e magari ancora è l’Europa, può essere una cura efficace.
Non ricordo in quale articolo ho letto questa riflessione sulla speranza di Rebecca Solnit, ma me la sono trascritta e la condivido qui, perché mi pare molto in linea con il concetto di “speranza-ribellione” a ciò che la nostra coscienza non ritiene accettabile: <>. Per chi preferisce la versione anglo-ironica: <>
Sono state tagliate le citazioni, le riporto qui:
La speranza non è la convinzione che qualcosa andrà bene, ma la certezza che vale la pena fare qualcosa a prescindere da come andrà a finire (Rebecca Solnit)
Give me coffee to change the things I can…. and wine to change the things I cannot.
E’ inquietante leggere in questi commenti e anche in calce all’articolo di Carmosino termini come “espulsione” , “mettere fuori”, usate nei confronti di una persona che ha soltanto espresso le sue idee, mosso da una situazione così tragica quale è il tempo che stiamo vivendo. Fermatevi e riflettete. Bifo è una risorsa perchè aiuta a ripensare la speranza in termini di resistenza, la diserzione è resistenza e secondo rientra nel concetto di speranza così come inteso da Holloway e Bloch, e poi potrebbe anche ritrattare, come d’altronde ha già fatto, la sua adesione alla campagna “partire dalla speranza” restando comunque una voce critica che aiuta a creare zone di frattura nelle forme di dominio del capitalismo, come dice Holloway… non cadiamo anche noi nella trappola binaria dei buoni e dei cattivi.. se passa il concetto dell’espulsione si rischia di diventare una setta; ci guardiamo allo specchio e ci diciamo: ma quanto siamo belli e intelligenti…. capisco che i tempi che stiamo vivendo sono difficili e la confusione regna, ma cerchiamo di restare lucidi.
Massimiliano, ovviamente il termine espulsione usato da Bifo e ripreso da Comune, ha una carica ironica…
Papa Francesco, stralci di un’udienza del 27 settembre 2017:
“La speranza ha i suoi nemici: come ogni bene in questo mondo… E mi è venuto in mente l’antico mito del vaso di Pandora: l’apertura del vaso scatena tante sciagure per la storia del mondo. Pochi, però, ricordano l’ultima parte della storia, che apre uno spiraglio di luce: dopo che tutti i mali sono usciti dalla bocca del vaso, un minuscolo dono sembra prendersi la rivincita davanti a tutto quel male che dilaga. Pandora, la donna che aveva in custodia il vaso, lo scorge per ultimo: i greci la chiamano elpìs, che vuol dire speranza. Questo mito ci racconta perché sia così importante per l’umanità la speranza. Non è vero che “finché c’è vita c’è speranza”, come si usa dire. Semmai è il contrario: è la speranza che tiene in piedi la vita, che la protegge, la custodisce e la fa crescere…
La speranza è la spinta nel cuore di chi parte lasciando la casa, la terra, a volte familiari e parenti – penso ai migranti –, per cercare una vita migliore, più degna per sé e per i propri cari. Ed è anche la spinta nel cuore di chi accoglie: il desiderio di incontrarsi, di conoscersi, di dialogare… La speranza è la spinta a “condividere il viaggio”, perché il viaggio si fa in due: quelli che vengono nella nostra terra, e noi che andiamo verso il loro cuore, per capirli, per capire la loro cultura, la loro lingua…
La speranza non è virtù per gente con lo stomaco pieno. Ecco perché, da sempre, i poveri sono i primi portatori della speranza. E in questo senso possiamo dire che i poveri, anche i mendicanti, sono i protagonisti della Storia…”
QUESTO DIBATTITO E’ MOLTO IMPORTANTE.
1) BIFO è un “provocatore” intelligente. Ha tutto il diritto di farlo. Ed è un merito conquistato nel tempo. Ma, a mio parere, ha torto. Ed io che lo seguo e lo conosco, indirettamente, da tempo gli dico che era molto meglio il BIFO del 77 di BOLOGNA e di RADIO ALICE. Di cui ci sarebbe necessità e bisogno. Proprio mentre il CAPITALE DIGITALE e La SYLICON VALLEY miliardaria si è prosternata e appecoronata (?) al NAZI-FASCISMO tecnologico (e “miliardario”) del buzzurro TRUMP e del VAMPIRO MUSK.
2) Caro BIFO, lorsignori non hanno già vinto. E la storia del genere umano NON E’ FINITA. E’ ancora in cammino. Forse siamo all’inveramento finale di quella suprematista patriarcale maschiocentrica capitalista predatoria e criminale. Forse ora , dopo la “caduta della “maschera”sappiamo e assistiamo al suo volto GENOCIDIARIO fatto di ORRORE E BARBARIE. Come GHOSH dice da tempo….Ma c’è chi, come CARLA LONZI, gridò “SPUTIAMO SU HEGEL” …e cova dappertutto e si diffonde e si espande LA REINVENZIONE FEMMINILE E FEMMINISTA di “un nuovo mondo possibile”di UN NUOVO MODO DI ABITARE LA TERRA. Le donne iraniane afgane del Rojava del CHAPAS…e non-una-di-meno mondiale…sono quelle già visibili. E in cammino. E STANNO GENERANDO re-inventando “partorendo”. E’ un’altra storia. Ed è un messaggio di vita: DONNA-VITA-LIBERTA’. E non sono “sole”.
3) Tutte le “rivoluzioni” del secolo breve hanno “fallito” perchè il linguaggio e le forme che le hanno espresse e guidate era quello del partitismo gerarchico autoritario e steso sulla conquista dello stato e del potere. Anche su questo nessuno ha fatto “autocritica”. Ha perso la storia comunarda soviettista consiliare libertaria….quella della SPERANZA. Che non è “un termine- una categoria “religiosa”. E che non è “uno stato d’animo”. Anche l’assolutizzazione della “disperazione” è “uno stato d’animo”. E’ il pensiero e la pratica di un altro mondo possibile. Che c’è e non c’è (AGAMBEN!). C’è se si pratica e diventa quotidianità liberata.E molti lo stanno già facendo…In tutto il mondo.
4) Chi come quando ? Non solo Rosa PARKS..anche ASSANGE..anche GRETA THUNBERG…anche don Lorenzo milani…che già nel 67 aveva capito e praticato …che la “coscienza” non arriva dall’esterno al popolo al proletariato cioè dal PARTITO e dai burocrati di professione (come KAUTSKY e LENIN) credevano…ma dalla auto-valorizzazione …e dalla costruzione dal basso di un mondo NUOVO… gaetano stella- blog.gaetanostella.it