Prato, principale città tessile d’Europa. Prato-“Chinatown” con ufficialmente 23.000 residenti cinesi ma si stima che siano il doppio. Prato, città da dove ogni giorno vengono trasferiti in Cina fino a 1,5 milioni di euro. Prato, città nella quale nel dicembre 2013 sette operai cinesi sono morti perché una fabbrica ha preso fuoco. Prato, territorio dove i legami tra ‘ndrangheta e mafia cinese non mancano tra riciclaggio di denaro e rifiuti tossici. Prato, dove migliaia di piccole aziende sopravvivono con appalti mascherati per i grandi marchi della moda ma la politica ufficiale racconta la falsa narrazione di due distretti separati: quello buono dell’eccellenza Made in Italy e quello cattivo del lavoro nero. Prato, dove si lavora anche 12 ore al giorno per 7 giorni a settimana a 4 euro l’ora… Ma Prato, in realtà, è anche la città in cui è nata una bellissima e inedita vicinanza tra lavoratori migranti (pakistani, senegalesi e cinesi), sindacalisti e artisti capaci di parlare, in molti modi diversi, a tutta la città…
La città di Prato, situata a circa venti chilometri a nord-ovest di Firenze, conta 194.000 abitanti, un buon quarto dei quali stranieri. Ha una lunga storia nell’industria tessile, fin dal Rinascimento. Ancora oggi, gli archivi del commerciante di lana Francesco Datini che lasciò nel 1410, sono frequentati da ricercatori internazionali. Nel dopoguerra Prato era il “centro degli stracci d’Europa” e attirava lavoratori dal Sud Italia. Negli anni Ottanta, i primi cinesi provenienti dalla cittadina di Wenzhou, nella regione dello Zhejiang, arrivarono nella metropoli industriale, inizialmente come lavoratori ospiti, prima di fondare le proprie aziende. Nel corso del tempo Prato è diventata la più grande località tessile d’Europa e la più grande Chinatown d’Europa, con 23.000 residenti cinesi (si stima che siano più del doppio) e circa 124 gruppi etnici diversi che vi si sono trasferiti. Ogni giorno dalla città vengono trasferiti in Cina fino a 1,5 milioni di euro tramite bonifico. La manodopera nelle quasi 8.000 aziende di fornitura del settore tessile e della moda si basa in gran parte sul lavoro nero illegale e sullo status quasi privo di diritti dei lavoratori migranti.
Nel 2017 il SI Cobas (Sindacato Intercategoriale Cobas) ha aperto il suo primo ufficio a Prato/Firenze. Solo pochi mesi dopo i primi gruppi di lavoratori hanno auto-organizzato scioperi nel settore tessile, e questo è stato solo l’inizio di una mobilitazione unica e continua fino ad oggi. Nel 2021, durante gli scioperi alla Texprint di Prato – la terza azienda di stampa di tessuti in Europa – alcuni artisti locali entrarono in dialogo con i lavoratori in sciopero e con i coordinatori del SI Cobas. È l’inizio di una nuova straordinaria alleanza, basata non sulla “solidarietà esterna”, ma su come contribuire alla lotta dei lavoratori, su come sostenere le loro voci attraverso le competenze artistiche e un dialogo permanente. Nel corso di tre anni la “Comunità di lotte” dei lavoratori migranti e dei sindacalisti comprende un collettivo di artisti e curatori in costante crescita, che prende il nome dallo slogan dello sciopero “ToccaUnoToccaTutti“.
Gli orari di lavoro non regolamentati, fino a 12 ore per 7 giorni, non fanno eccezione nelle aziende tessili. I lavoratori migranti sono spesso reclutati direttamente nei centri di accoglienza per le richieste di asilo. L’esistenza dei lavoratori è estremamente precaria: se perdono il lavoro, perdono anche il posto letto e il permesso di soggiorno. 42.000 operai erano impiegati nell’economia di esportazione pratese nel 2021, i cui profitti sono aumentati del 44% nell’industria tessile e del 94% nell’industria dell’abbigliamento nello stesso anno. La grave crisi dell’industria tessile italiana intorno al 2009 ha coinciso con il boom della Pronta Moda cinese e delle sue offerte a basso costo per le aziende europee dell’Alta Moda. Nel suo libro del 2006 Gomorra, Roberto Saviano ha scritto ampiamente sulle strutture mafiose della criminalità dei colletti bianchi nel settore tessile di Prato. Il 1° dicembre 2013, sette operai cinesi sono morti quando la “Teresa Moda”, una delle tante fabbriche tessili dell’area industriale del Macrolotto, nella zona sud di Prato, è andata in fiamme. I legami tra la ‘ndrangheta e la mafia cinese portano ripetutamente a procedimenti giudiziari per riciclaggio di denaro, smaltimento illegale di rifiuti tossici, ecc.
Le ispezioni ufficiali contro il lavoro nero, che dovrebbero avvenire senza preavviso, sono spesso annunciate dietro le quinte. Nel 2018 il procuratore nazionale antimafia Federico Cafiero de Raho ha definito Prato “la capitale europea della mafia cinese”. Migliaia di piccole aziende pratesi sopravvivono con appalti mascherati per i grandi marchi della moda. La politica ufficiale cerca invece di portare avanti la falsa narrazione di due distretti separati: quello buono dell’eccellenza e del Made in Italy a Prato e quello cattivo del lavoro nero, dei migranti ecc.
Marco Ravasio, antropologo di Prato, ha recentemente pubblicato un libro su quanto sta accadendo nella sua città natale: “Negli ultimi quarant’anni il settore tessile è cambiato molto, ma per i lavoratori è sempre lo stesso inferno. Con una sola differenza: ieri erano i pratesi a essere sfruttati, oggi sono i migranti. Prato appare come una zona economica speciale in cui i diritti dei lavoratori, o almeno quelli dei lavoratori migranti, che appaiono completamente soggiogati, sono esclusi. Il loro sfruttamento si basa su tre pilastri: il fallimento dei sistemi di accoglienza per i migranti, gli orari di lavoro interminabili, l’esclusione dal mercato abitativo regolare. Questi pilastri sostengono un solido muro che separa la vita dei lavoratori migranti da quella della società pratese. Una disumanizzazione che è chiaramente percepita da chi la subisce” (L’educazione come pratica di libertà. Prato e la scuola di lotta 8×5, 2023)
All’inizio del 2021, l’azienda Texprint ha licenziato sommariamente lavoratori pakistani, senegalesi e cinesi dopo che questi avevano denunciato le loro condizioni di lavoro. In gennaio, diciotto lavoratori hanno iniziato uno sciopero che è durato nove mesi. Lo sciopero ha provocato pesanti contro-dimostrazioni da parte dell’azienda, ha coinvolto i teppisti ed è culminato in uno sciopero della fame nel settembre 2021. Gli scioperanti hanno resistito in una tenda fuori dai cancelli della fabbrica per 230 giorni e notti: Il loro striscione recita: “8×5 – Basta schiavi, vogliamo una vita migliore”. Hanno iniziato uno sciopero della fame davanti al municipio che è stato violentemente interrotto dopo due giorni, gli operai sono stati sgomberati e sono stati effettuati quattro arresti per “resistenza a pubblico ufficiale”. Poche settimane dopo lo sciopero della fame, sono apparsi improvvisamente in tutta la città 15 diversi piccoli adesivi rossi di 7×7 centimetri mostravano un cuore, il testo ToccaUnoToccaTutti, una data e un codice QR. Scansionando il codice QR, si possono vedere brevi video documentari che mostrano le azioni e gli scontri violenti dei lavoratori Texprint dal 21 gennaio al 30 settembre. Gli adesivi sono stati prodotti e distribuiti dal collettivo di artisti Toccaunotoccatutti e poi passati in massa dai lavoratori e dagli scioperanti o inviati tramite cellulare. Gli adesivi sono stati presentati in un incontro pubblico di due giorni con dibattito. L’idea degli artisti: Riprendere pubblicità – dopo e nonostante la violenza della polizia – per portare la critica alle condizioni di lavoro nell’industria tessile di Prates dalla periferia al centro, per agitare la società urbana. I filmati sono ancora oggi visibili sul sito www.toccaunotoccatutti.net e, insieme ai materiali e alle azioni dei mesi successivi, un giorno entreranno a far parte di un archivio delle lotte dei lavoratori migranti a Prato, forse ospitato dall’Istituto non-profit Ernesto di Martino, che ospita la più grande collezione privata europea di documenti audio della cultura proletaria e popolare.
Nell’inverno del 2021, una sentenza del tribunale del lavoro di Prato ordina il primo reintegro di un lavoratore Texprint e l’ispettorato del lavoro certifica ufficialmente lo sfruttamento delle condizioni di lavoro in azienda. Per la prima volta dall’autunno 2018, i lavoratori sono riusciti a monitorare il distretto tessile e dell’abbigliamento di Prato e a organizzare i lavoratori migranti. I sindacati di base SI Cobas hanno comunicato, dopo le prime sentenze, che hanno dimostrato lo sfruttamento alla Texprint e che gli scioperanti hanno sempre avuto ragione. Ora chiedevano contratti regolari, l’estensione dei permessi di soggiorno, la rivendicazione di tutti i salari dovuti e non pagati durante gli anni di sfruttamento. Questa prima “vittoria” dei lavoratori della Texprint viene ripresa dalla stampa nazionale, tra cui un importante servizio de “L’Espresso” dal titolo: “Gli schiavi del settore tessile, 12 ore di lavoro al giorno. Chi protesta viene ricattato e picchiato a sangue”, che si sofferma sulle strutture mafiose della capitale europea del lavoro nero, ma si congratula anche con i due colleghi Sarah Caudiero e Luca Toscano del SI Cobas di Prato e Firenze per aver ottenuto il “miracolo” di migliori condizioni di lavoro. Entrambi i sindacalisti sono stati oggetto di tentativi di criminalizzazione durante le lotte e hanno ricevuto un “Foglio di Via” dalla Questura di Prato nel 2019 e di nuovo nel vicino Campo Bisenzio nel 2023 per aver distribuito volantini davanti alle aziende. Il “Foglio di Via” è simile a un divieto di accesso: la persona in questione – per la durata di tre anni – può entrare in città solo per motivi di lavoro e previa registrazione presso la polizia. Nel caso di Luca e Sarah il “Foglio di Via” è stato ritirato dopo una richiesta legale e manifestazioni pubbliche.
Le proteste dei lavoratori migranti sono iniziate nella primavera/estate 2018 davanti ai cancelli di tre fabbriche di Prato: la tintoria DL (con 24 lavoratori), la tintoria Fada (con 60 lavoratori) e la Gruccia Creations, che produce appendiabiti in plastica con 12 dipendenti: protestavano contro le giornate lavorative di 12 ore, i 7 giorni di lavoro settimanali, le paghe orarie di 4 euro, le condizioni di lavoro senza contratti regolari. Hanno rischiato molto con la loro protesta: non solo la perdita di reddito (in Italia non esistono fondi per gli scioperi), ma anche la perdita del lavoro, dell’alloggio, del permesso di soggiorno in Italia. Ci sono stati scioperi, operazioni di polizia, sgomberi violenti, ricoveri in ospedale, sit-in – e finalmente i primi contratti e orari di lavoro effettivamente migliorati. Ma c’è stata anche l’intimidazione del sindacato autonomo attraverso il “Foglio di Via” della polizia. Nell’estate 2019, la scrittrice Simona Baldanzi ha riassunto l’azione sindacale dell’ultimo anno in un articolo su jacobinitalia.it e ha ricordato l’esclamazione di uno scioperante “Questa non è una guerra tra pakistani e cinesi, ma tra lavoratori e sfruttatori. Ora siamo solo pakistani, ma piano, piano tutti i lavoratori scenderanno in piazza”.
30 aprile 2022: il collettivo di artisti ToccaUnoToccaTutti invita Oppy De Bernardo, collega italo-svizzero, a collaborare a un’installazione nomade per esprimere solidarietà al sindaco di Riace, Mimmo Lucano. Lucano aveva rivitalizzato il borgo calabrese di Riace accogliendo e insediandovi i migranti ed è stato poi espulso dalla città dal ministro dell’Interno di destra Salvini (Lega), che ha appoggiato le politiche anti-migrazione. Oppy De Bernardo aveva installato su un camion un cartello con una lampadina che recitava: “La legge e uguale per tutti”, che è partito da Riace per varie altre località e si è fermato davanti a quelle fabbriche di Prato in cui si erano recentemente verificati degli scioperi. Operai, sindacalisti e abitanti della zona si sono riuniti accanto al camion per parlare delle lotte sindacali contro lo sfruttamento. Sei mesi dopo, il 13 novembre 2022, il collettivo di artisti – che ormai era diventato un gruppo di circa 20 persone – si è riunito davanti all’azienda Iron&Logistics di Prato e ha organizzato una mostra di un giorno, senza preavviso, fuori dal luogo dello sciopero. Questa stessa area era stata sgomberata dalla polizia una settimana prima perché non era uno spazio “pubblico”. Con l’azione artistica, è stata nuovamente occupata ed è diventata un luogo di intenso confronto tra lavoratori e artisti.
L’alleanza tra lavoratori migranti, sindacalisti e artisti può sembrare un gioco di equilibri molto riflessivo: come creare consapevolezza per i conflitti dei lavoratori migranti e sostenere le loro voci senza “adornare” la posizione di un artista con le loro lotte o perdersi in discussioni su macrolivelli astratti? A Prato la strategia di tutti i partecipanti è stata “semplicemente” quella di lottare insieme, senza parlare della lotta ma facendone parte. A partire dagli adesivi in città, dove gli artisti hanno presentato i loro mezzi per mostrare ciò che accadeva davanti alle fabbriche, fino alle discussioni pubbliche con i lavoratori intorno al furgone con lo slogan della lampadina e all’occupazione fisica davanti alla Iron&Logistics, tutti gli interventi sono nati da un dialogo permanente all’interno del triangolo lavoratori, sindacalisti, artisti. Il collettivo è cresciuto con le lotte.
Dopo il Maggio 2023 i lavoratori, i coordinatori del SI Cobas e gli artisti hanno discusso principalmente di quattro temi: il rapporto tra lavoratori e merci, il concetto di disumano, il linguaggio della giustizia e l’esperienza di tempi e narrazioni diverse. Da queste discussioni comuni è nato il progetto di una mostra di un giorno in vari luoghi di Prato l’8 ottobre 2023. Lavoratori, sindacalisti e artisti hanno ricostruito insieme l’attività delle lotte, le procedure legali, le vertenze, le denunce e le “vittorie” dal 2018 e hanno concepito insieme un percorso espositivo che attraversa la città fino alla periferia, dagli spazi di studio alle sedi sindacali. Il titolo della mostra è semplicemente “arte e lotte operaie”. Installazioni (ad esempio, il peso di un inserviente del tribunale sul sedile del dondolo di un bambino), disegni a fumetti sulle lotte, video si alternano a testi teorici sui temi citati e a una timeline grafica delle lotte dal 2018 a oggi: un lungo e complesso elenco dei luoghi e delle resistenze e dei traguardi raggiunti e – nella metà inferiore del rotolo di carta – la cronologia di tutti i processi penali che evidenziano una giustizia che di solito ha cercato di tutelare il traffico di merci, non di esseri umani.
“Le azioni di ToccaUnoToccaTutti non sono solo espressioni di solidarietà a sostegno della lotta operaia, ma anche un modo per lavorare alla costruzione di un modello artistico ed economico basato sulla condivisione e non sulla competizione, sulla solidarietà e non sull’indifferenza”, scrive ToccaUnoToccaTutti in uno dei propri opuscoli per la mostra di ottobre. E i colleghi Cobas riassumono: “Cinque anni di battaglie, di vittorie, di conquiste, ma anche di prove, di ingiustizie e di attese, intrecciate con questa linea, l’arte che non sta in disparte, non osserva, non descrive, ma rafforza. Combattere. Per dare voce agli ultimi. Per dire la verità. Per creare comunità. … Arte militante, dal popolo e per il popolo”. Insieme ai lavoratori e ai Cobas stanno preparando un film sulla mostra e sulla storia (di successo) delle lotte a Prato, che dovrebbe poi viaggiare in altre zone di conflitti operai e incoraggiare lotte collettive e auto-organizzate per una vita migliore. A Prato intanto la lotta contro l’onnipotenza dei grandi marchi, il loro sistema di sfruttamento dei più deboli e di occultamento della base dei loro profitti illegali, continuerà in una comunità di lotte e di vittorie.
Del gruppo ToccaUnoToccaTutti fanno attualmente parte:
Adriana Dantas Cabral, Erika Di Michele, Raffaele Di Vaia, Franco Menicagli, Dario Nincheri e Paolo Gallina, Zheng Ningyuan, David Behar Perahia, Mosè Risaliti, Tina Salvadori Paz, Guido Segni, Giovanni Tarducci, Tatiana Villani, Rachel Morellet
Altri partecipanti:
Vittoria Colìni, Silvia Giagnoni, Elisa Maurizi, Marco Ravasio, Stefania Rinaldi, Francesca Ciuffi, Manuel Perna, Luca Sguanci, Luca Toscano
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