Migliaia di persone, di tutti i livelli sociali, sono precipitate in condizioni di grande povertà. Servono forme di reddito di emergenza e azioni di economia di sussistenza. In questo articolo Gianluca Peciola segnala, con molta delicatezza*, storie di donne e uomini impoveriti, ricorda che sono tanti i volontari e le volontarie che donano il proprio tempo contro la catastrofe sociale in corso, suggerisce, infine, alcuni possibili interventi concreti proposti da municipi locali, movimenti e associazionismo (tra cui agricoltura sociale, orti urbani e poli civici di mutualismo)

Centosessantamila domande (tra famiglie e singoli) per ricevere i bonus spesa banditi da Roma Capitale con fondi governativi, circa trentatremila le risposte positive (un numero alto e destinato a crescere). I numeri sono da allarme sociale, numeri dietro i quali ci sono persone e storie di lavori interrotti, professioni in bilico o in ginocchio. Assistenti sociali, volontari e volontarie che sono sul fronte del disagio amplificato dall’emergenza sanitaria raccontano storie al limite o sotto di esso.
Iris viene dall’Ucraina e prima dell’emergenza sanitaria faceva due lavori, in un pub e in un ristorante, ora è disoccupata e non riesce a tornare nel suo paese: “Sono bloccata qui in Italia, ho 20 euro in banca, i miei genitori dipendevano dal mio lavoro. Sono crollata io qui, crollano loro li”. Riusciva a guadagnare fino a 1.400 euro al mese e, pagando un affitto di 600 euro, poteva concedersi una “vita giusta” e mandare qualche risparmio in Ucraina. Ringrazia gli operatori-militanti per il pasto alimentare e fa per andarsene, poi si ferma, controlla il cellulare, rimane sulla soglia del portone del centro di assistenza informale realizzato per contrastare le emergenze sociali seguite alla diffusione del virus e al lockdown. È imbarazzata, ma prova a tirare fuori le parole: “Poi, mi sono dimenticata di dirvi…. mi vogliono buttare fuori di casa, il proprietario dice che devo andarmene. Dove vado?”. I volontari provano ad accogliere il suo imbarazzo, cercano di spostare la sua attenzione sulla vera ragione della sua condizione, le parlano di una situazione emergenziale che riguarda centinaia di migliaia di persone, la rassicurano sulla possibilità di evitare lo sfratto e di fare affidamento sulle reti di solidarietà in campo in città per l’approvvigionamento alimentare. Si segna sul cellulare i numeri dei sindacati degli inquilini e si allontana.
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Pietro riceve il pacco alimentare in strada, a pochi passi dalla sua abitazione. Al telefono, mentre veniva avvisato dell’arrivo dei volontari, aveva detto di non aveva bisogno di quell’aiuto, eppure è nella lista. Tiene a sottolineare che è stata la figlia di dieci anni a segnalare la loro condizione, ma che lui “1.000 euro in banca” li ha. Schizzi di vernice di vari colori sparsi sulla tuta da lavoro anticipano il suo mestiere, la mascherina e gli occhiali fanno intravedere il volto di un uomo di cinquant’anni anni circa. “Vi ringrazio, non ho parole, però datelo a chi ha più bisogno”. Racconta di essere un artigiano, lavora nelle case anche come imbianchino: prima dell’emergenza conduceva una vita dignitosa, ora il suo lavoro è “saltato” a causa del Coronavirus. “Sono disoccupato e penso che le persone hanno e avranno bisogno di altro ancora e chissà per quanto tempo, non pensate a me”. Viene rassicurato sul fatto che ha diritto a ricevere gli alimenti, che la sua condizione rientra tra quelle di migliaia di altre famiglie: “Non togli niente a nessuno”. La necessità è più forte del pudore, prende la cesta con dentro pasta, olio, latte, zucchero, sale, bottiglie di pomodoro, pane e biscotti. Ringrazia e torna verso la sua abitazione.
Nella lista delle famiglie ora appaiono cognomi spagnoli o latino americani, ci dirigiamo verso una zona residenziale dell’VIII Municipio. Dal balcone una signora di quasi sessant’anni ci fa segno di aspettare. Scende insieme alla figlia trentenne: entrambe lavoravano come badanti, ora sono entrambe disoccupate. Due stipendi che non ci sono più, un affitto da pagare, il proprietario di casa che “È una brava persona, ma ci ha detto che entro l’estate dobbiamo lasciare l’appartamento. Quando arrivano i bonus per l’affitto?”. Spesso sono gli assistenti sociali dei Municipi a segnalare le situazioni più a rischio, ma come ci racconta Chiara, un’assistente sociale che fa parte della cabina di regia creata per far fronte alle richieste di aiuto delle persone colpite dalla crisi, “ormai arrivano richieste da persone di ogni livello sociale, cioè persone che prima erano garantite e ora sono precipitate nella povertà. Sono bastati due mesi per far piombare professionisti, che prima avevano un reddito dignitoso, vicini alla soglia di povertà e costretti a dipendere dal bonus spesa o, addirittura, dal pacco alimentare. Rischiamo di non farcela sul lungo periodo”.
La pandemia ha messo in ginocchio interi settori, che non rialzeranno la testa per molti altri mesi, con un carico di crisi occupazionale e reddito che, in assenza di un vaccino, rischia di diventare da provvisorio a strutturale per un periodo medio lungo. Il turismo, la ristorazione, l’intrattenimento, l’edilizia, la formazione, l’industria culturale, l’ossatura dell’economia romana, vivono mesi drammatici. Questo è lo scenario che sta conoscendo Roma, questo è lo scenario che stanno conoscendo molte città italiane.
Gli sforzi messi in campo dal governo e dalle amministrazioni non riescono ad arginare la catastrofe sociale in corso, è il momento di affermarlo con forza, perché se l’emergenza non viene dichiarata, la politica e le istituzioni non risponderanno con il vigore e le risorse necessarie.
Per questi motivi, sono urgenti prioritariamente forme di reddito di emergenza (rivedendo i criteri di condizionalità a garanzia della copertura di tutte le fasce di popolazione colpite), ma anche azioni concrete di politica ed economia di sussistenza. La politica cittadina, con in testa la Sindaca Raggi, dovrebbe – come già stanno facendo alcuni Municipi romani e tanta parte dei movimenti sociali e dell’associazionismo – dichiarare l’emergenza sociale e alimentare e rappresentare al governo l’urgenza di misure ancora più radicali di contrasto alla povertà dilagante.

Bisogna ammettere l’insufficienza di queste risposte fondate su schemi e paradigmi pre-crisi e chiedere di aggredire la crisi, insieme al fronte dell’elargizione del reddito e della distribuzione di generi di prima necessità, almeno su altri due fronti strategici: quello conversione complessiva della produzione e della distribuzione alimentare (dando centralità logistica e supporto economico alle filiere agricole biologiche e di prossimità) e quello della riprogettazione del welfare locale attraverso il rafforzamento delle pratiche locali di aiuto formali e informali, promuovendo processi di mutuo soccorso e di produzione di servizi sociali e culturali a “reti corte” (poli civici di mutualismo).
Sul primo fronte, si dovrebbe partire dal rimettere a bando le terre pubbliche per avviare progetti di agricoltura sociale e occupazione giovanile, si dovrebbe promuovere la diffusione in ogni Municipio di orti urbani e attivare una politica energetica di autosufficienza a livello condominiale, come si dovrebbe dare seguito ai progetti di riorganizzazione dei mercati rionali favorendo la relazione con i piccoli produttori agricoli, sempre dentro l’ottica della filiera corta. Sul secondo, l’amministrazione dovrebbe dare seguito alla Delibera dei Poli Civici, approvata già da diversi Municipi e ancora in attesa di una votazione dell’assemblea capitolina. Questa progetto, permetterebbe di rispondere alla crisi del welfare locale, supportando le energie mutualistiche emerse durante questa pandemia a Roma e in diverse città italiane, favorendo una presa in carico ampia e radicata delle situazioni di sofferenza economica e sociale. Alla politica e alle istituzioni, Sindaca in testa, spetta il compito di rappresentare i volti di questa sofferenza, lanciare un grido di allarme e, allo stesso tempo, sostenere progetti di rigenerazione ambientale ed economica dotati di una visione ampia. Le forze e gli strumenti ci sono, sta a loro comprenderne il valore strategico per il bene di una comunità intera.
*I nomi sono di fantasia per proteggere persone già molto ferite.
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