Vorrei avanzare, in questa giornata mondiale dell’acqua, una modesta proposta. Mi piacerebbe che i ragazzi delle scuole si esercitassero a disegnare, su una carta geografica “muta”, i confini dei bacini idrografici – quelli che raccolgono al loro interno il fiume principale e i suoi affluenti e che sono delimitati dagli spartiacque – e li confrontassero con quelli politici e amministrativi, del tutto artificiali e arbitrari. E che provassero a pensare che non esistono austriaci, ungheresi, jugoslavi, romeni, eccetera, ma esiste il “popolo del Danubio”, che non esistono lombardi, piemontesi e emiliani, ma il “popolo del Po”, che il “popolo dell’Ofanto” non “appartiene” alla Puglia, alla Basilicata, alla Campania, ma alla terra del fiume comune. La guerra alla sete e alle alluvioni richiede che tutti i popoli ne usino le risorse a fini comuni, solidali
di Giorgio Nebbia
Acqua, di cui si celebra ogni anno la “giornata” il 22 marzo, amica e nemica. Nei mari del nostro pianeta esistono grandissime riserve di acqua salina, inutilizzabile per dissetare umani e animali e per irrigare i campi; l’acqua dolce, in gran parte immobilizzata in forma solida nei ghiacci polari e montuosi o presente nei laghi e nel sottosuolo. Acqua che evapora continuamente e continuamente ricade sulle terre emerse e nel suo scorrere sulla superficie del suolo assicura la vita vegetale e animale nei campi e nelle foreste; acqua che nel suo moto rapido verso i fondovalle, asporta gli strati superficiali del suolo e provoca frane; acqua che cade sulla terra in modo irregolare, governata dal succedersi delle stagioni, per cui lascia tante terre aride per molti mesi e poi arriva irruente e si spande al di là degli argini dei fiumi, allagando i campi e gli edifici.
Acqua amica, necessaria per le fabbriche e per i campi; fonte di benessere nelle case, dove arriva aprendo un rubinetto, indispensabile per bere, per cuocere gli alimenti, per lavare il corpo e gli indumenti e le stoviglie, acqua che accompagna le scorie della vita domestica giù dai lavandini, verso fogne e depuratori e poi ritorna al mare, anche se con un carico, maggiore o minore, di sostanze estranee e inquinanti. Questo nei paesi ricchi, perché nei paesi poveri la preziosa acqua deve spesso essere raccolta dai pozzi e trasportata a distanza, un lavoro in genere sulle spalle delle donne, e dopo l’uso spesso l’acqua sporca ristagna nelle strade dei villaggi, fonte di malattie che colpiscono specialmente i bambini. Il Papa Francesco alcuni giorni fa, in un discorso all’Accademia Pontificia della Scienze, ha ricordato che ogni giorno mille bambini, ogni giorno !, muoiono nel mondo per malattie legate all’acqua.
Eppure talvolta, nei paesi poveri, l’acqua si trova a pochi metri di profondità e basterebbe disporre di pompe per sollevarla; l’acqua contaminata potrebbe essere depurata con sistemi relativamente semplici per renderla potabile; l’acqua sporca potrebbe essere incanalata in semplici fogne; qualcuno invoca una “ingegneria della carità”, innovazioni semplici da esportare nei paesi poveri per alleviare la loro sete, per sgominare le malattie diffuse dall’acqua inquinata.
L’acqua è occasione di divisione politica e di conflitti; i fiumi sono difficilmente attraversabili dagli eserciti e sono stati scelti come confini fra popoli nemici. I confini di molte regioni italiane sono ancora costituiti dai fiumi che dividevano gli antichi stati in guerra, prima dell’unità d’Italia. Molti conflitti in Africa, Asia, America Latina, molte contese fra stati europei, fra Stati Uniti e Canada e fra Stati Uniti e Messico, hanno la loro origine nelle controversie per l’acqua. L’aridità di molte zone del pianeta, le bizzarrie dei fiumi in altre zone, provocano quelle migrazioni planetarie di cui cominciamo a sentire i segni anche da noi. Sono problemi di acqua quelli che spingono i popoli fuori dalle loro terre che non sono più in grado di dare cibo e li portano sulle coste dell’Europa opulenta o del Nord America. Gli Stati Uniti hanno dovuto stendere, lungo il Rio Grande, quel “muro americano” che cerca di frenare le immigrazioni dal Messico. Nel discorso prima ricordato il Papa ha detto che non è da escludere una grande guerra mondiale per l’acqua.
La sete si sconfigge con condotte, dighe, tubazioni, pozzi, con la regolazione del corso dei fiumi; la violenza dell’acqua si sconfigge con il rimboschimento, con la difesa del suolo, con nuovi argini; l’avvelenamento delle acque si sconfigge con depuratori e filtri. Ma tutti questi accorgimenti tecnici saranno inutili se non sono mossi dalla consapevolezza che attraverso l’acqua siamo uniti tutti noi esseri umani e che la migliore distribuzione e uso dell’acqua richiedono una sola ricetta: la solidarietà.
La solidarietà presuppone azioni politiche, ma prima di tutto una rivoluzione educativa e culturale; le crisi e i conflitti derivano dalla ineguale distribuzione dell’acqua nello spazio e nel tempo. Le lunghe storie dei popoli hanno fatto si che le riserve idriche dei laghi e nei fiumi spesso siano contenute nei confini politici e amministrativi di stati e regioni diversi, ciascuno dei quali considera l’acqua come sua proprietà. La guerra alla sete e alle alluvioni richiede invece che tutti i popoli che abitano intorno ai corpi idrici superficiali si sentano uniti e ne usino le risorse a fini comuni, solidali, appunto. In Italia esistono leggi che prescrivono che le risorse idriche siano amministrate e utilizzate nell’ambito di unità geografiche, i bacini idrografici, che possono stendersi fra diverse regioni, le quali devono collaborare con piani comuni.
Le acque del Tevere e dei suoi affluenti non “appartengono” al Lazio, o all’Umbria o alla Toscana, regioni amministrative che comprendono nei loro confini tali acque, ma fanno parte di un grande unitario bacino e devono essere e usate in forma coordinata, “solidale”, per ricavarne acqua potabile e per i campi. Purtroppo spesso regioni, enti acquedottistici, enti di bonifica, non vogliono rinunciare a quelli che considerano propri diritti di proprietà sull’acqua. Vorrei avanzare, in questa giornata mondiale dell’acqua, una modesta proposta. Mi piacerebbe che i ragazzi delle scuole si esercitassero a disegnare, su una carta geografica “muta”, i confini dei bacini idrografici — quelli che raccolgono al loro interno il fiume principale e i suoi affluenti e che sono delimitati dagli spartiacque — e li confrontassero con quelli politici e amministrativi, del tutto artificiali e arbitrari. E che provassero a pensare che non esistono austriaci, ungheresi, jugoslavi, romeni, eccetera, ma esiste il “popolo del Danubio”, che non esistono lombardi, piemontesi e emiliani, ma il “popolo del Po”, che il “popolo dell’Ofanto” non “appartiene” alla Puglia, alla Basilicata, alla Campania, ma alla terra del fiume comune.
Lascia un commento