Malgrado l’innegabile rilevanza geopolitica che dall’inizio dello sterminio a Gaza ha assunto lo scontro tra gli Huthi e le potenze alleate di Israele per il controllo di una delle vie commerciali più importanti del pianeta, resta piuttosto singolare che dello Yemen si parli molto più oggi che non durante la sanguinosa guerra tra il movimento musulmano sciita e una coalizione di nove eserciti guidati dall’Arabia Saudita. Cominciata poco meno di dieci anni fa, quella guerra, secondo le Nazioni Unite, ha causato 400mila morti e una delle crisi “umanitarie” più tremende del nuovo secolo che investiva 23 milioni di persone. Anche per questo disinteresse della grande informazione mondiale, abbiamo trovato interessante la ricostruzione storica di quanto avvenuto nell’attuale Yemen fatta da Sergio Rodríguez Gelfenstein, analista internazionale venezuelano, e inviataci da Tlaxcala Network che l’ha tradotta in italiano. Mette in luce con enfasi “militante” il profilo “eroico” di un popolo che, con ogni evidenza, considerando anche solo la disparità del volume di fuoco nel conflitto con i sauditi da cui ora sembra poter uscire, ha una grande capacità di resistenza. Perfino soltanto la foto qui sotto delle enormi proteste dopo l’ultimo attacco anglo-statunitense, mostra con chiarezza che la palude in cui si sono addentrati gli alleati dello Stato ebraico non promette una passeggiata di salute nelle prossime settimane. E, soprattutto, che continuare a considerare quegli yemeniti, una minoranza che ha comunque una storia che risale all’VIII secolo, un “gruppo di fanatici ribelli” dal nome buffo sarebbe un imperdonabile errore, oltre che l’ennessima dimostrazione di una presunta arroganza eurocentrica che ha già fatto ridere (e piangere) abbastanza
Nel 2015 lo Yemen, un paese poco conosciuto da molti occidentali, ha lanciato una guerra per difendere la propria sovranità, minacciato da un’alleanza interventista guidata dall’Arabia Saudita. Il popolo yemenita ha dovuto pagare con la vita di quasi 400.000 persone per mantenere la propria indipendenza. Molti si sono chiesti come un paese considerato il più povero dell’Asia occidentale sia riuscito a resistere e sconfiggere una coalizione composta da alcuni dei paesi più ricchi del pianeta.
Sebbene il conflitto duri da quasi dieci anni, sembra che si sia raggiunta una situazione che potrebbe portare ad una sua definitiva cessazione. Nonostante la situazione rimanga tesa e continuino azioni belliche di ogni tipo, le azioni militari sono diminuite negli ultimi mesi. Non è più una guerra totale, ma non c’è nemmeno pace. Con la mediazione della Cina, l’Arabia Saudita e l’Iran si sono riconciliati, aprendo la strada alla risoluzione di diversi conflitti nell’Asia occidentale e nell’Africa settentrionale [Sudan]. Quello nello Yemen è apparentemente uno di questi.
Oggi, dopo l’invasione israeliana di Gaza, lo Yemen, insieme agli Hezbollah libanesi e ad altre forze rivoluzionarie arabe e musulmane, ha svolto un ruolo attivo nella solidarietà con la Palestina. Ancora una volta, lo Yemen ha sorpreso tutti prendendo decisioni che hanno avuto un impatto non solo locale, ma anche regionale e globale. Ancora una volta, il mondo si è chiesto come ciò sia potuto accadere. Qui fornirò alcuni elementi che permetteranno ai lettori di conoscere lo Yemen, la lotta storica e l’eroismo del suo popolo, per aiutarli a comprendere la portata e la dimensione della decisione dello Yemen di sostenere con tutte le risorse a sua disposizione, la giusta lotta del popolo palestinese.
La Repubblica dello Yemen occupa una posizione strategica nel pianeta, in una regione in cui si intersecano le rotte commerciali che collegano l’Asia, l’Africa orientale e il Mediterraneo. Il suo territorio, situato sulle rive del Mar Arabico e alle porte del Mar Rosso, si affaccia sullo stretto di Bab el Mandeb, il che gli conferisce una posizione privilegiata nel globo, soprattutto a partire dal XX secolo, quando, da un lato, nella regione sono stati scoperti importanti giacimenti energetici (petrolio e gas) e, d’altro canto, data l’enorme crescita economica e lo sviluppo dell’Asia orientale, che hanno trasformato lo Yemen in un passaggio obbligato per la maggior parte del commercio mondiale.
Le antiche città del territorio furono unificate nell’antichità all’interno del regno biblico di Saba. La lotta per la liberazione e l’indipendenza degli abitanti dell’attuale Yemen iniziò nel I secolo d.C., quando dovettero affrontare l’Impero Romano. La potente Roma fu sconfitta nel suo tentativo di dominare.
A differenza del resto della penisola arabica, lo Yemen moderno aveva una vegetazione prodigiosa che forniva alla sua popolazione grande ricchezza grazie alle vaste opportunità di consumo e commercio che offriva. È così che si dice che il matematico e geografo greco Tolomeo abbia chiamato lo Yemen “l’Arabia felice”.
Nel corso della storia, gli yemeniti dovettero lottare contro gli himyariti che, convertitisi al giudaismo nel 380, perseguitarono la popolazione prevalentemente cristiana fino all’intervento degli etiopi nel VI secolo. L’Islam arrivò nella regione durante il VII secolo e iniziò a plasmare una cultura basata sull’intreccio di varie forme di conoscenza che diede un grande contributo all’umanità.
Tuttavia, per molti secoli, lo Yemen è rimasto ai margini dello sviluppo culturale ed economico stabilito dall’Islam. Fu nel XV secolo che il territorio dell’attuale Yemen cominciò ad assumere valore strategico. Nella loro ricerca di espansione commerciale, gli europei iniziarono a dominare i territori di tutto il mondo. I primi europei ad arrivare nella regione furono i portoghesi, che dominarono il paese per controllare la rotta marittima che permetteva loro di commerciare spezie tra l’Asia e l’Europa attraverso il Mar Rosso.
Il XVI secolo vide l’inizio della conquista ottomana con l’occupazione di parte della costa del Mar Rosso, mentre la costa interna e meridionale rimasero indipendenti, governate da un imam. Poco dopo, gli inglesi fecero la loro comparsa nella regione, stabilendo una stazione commerciale della Compagnia delle Indie Orientali nel porto di Mokha sul Mar Rosso [da qui il termine moca, o mocca, per designare una varietà di caffè, ndr].
Nel XIX secolo, gli inglesi ampliarono la loro presenza occupando l’intera punta sud-occidentale del paese, stabilendosi nel 1839 ad Aden, il miglior porto della regione, mentre nel 1872 i turchi riuscirono a consolidare la loro presa nell’interno del paese instaurando una monarchia ereditaria di fatto che porta il nome di un imam locale. Questa divisione ha effettivamente diviso lo Yemen in due paesi.
Negli anni ’70 dell’Ottocento, con l’apertura del Canale di Suez e il consolidamento del dominio turco sullo Yemen settentrionale, Aden assunse una nuova importanza per la strategia complessiva della Gran Bretagna: era la chiave del Mar Rosso e quindi del nuovo canale.
All’inizio del XX secolo, la Turchia e il Regno Unito tracciarono un confine tra i loro territori, ribattezzati rispettivamente Yemen del Nord e Yemen del Sud. Nel 1934 la Gran Bretagna prese il controllo di tutta la parte meridionale del paese fino al confine con l’Oman.
Durante la prima guerra mondiale l’imam si alleò con l’Impero Ottomano e gli rimase fedele fino alla fine della guerra. La sconfitta dei turchi permise allo Yemen di riconquistare la sua indipendenza nel novembre 1918. Tuttavia, la Gran Bretagna, dopo aver riconosciuto l’indipendenza dello Yemen, fece di Aden un protettorato nel 1928 e, nel 1937, una colonia. Ancora una volta, gli yemeniti dovettero ricorrere alla lotta armata per ottenere l’indipendenza. Nel 1940 nacque il movimento nazionalista “Yemen Libero” per lottare contro il controllo del paese da parte degli imam che si erano alleati con la Gran Bretagna.
La rivoluzione del 1967
La lotta ha preso strade distinte nel nord e nel sud. Nel 1962, nel nord venne creata la Repubblica Araba dello Yemen, mentre nel sud, il Fronte di Liberazione Nazionale, creato nel 1963, conquistò Aden nel 1967 e proclamò l’indipendenza, dando inizio ad una rivoluzione socialista.
Lo Yemen del Sud fu ribattezzato Repubblica Democratica Popolare dello Yemen, chiuse tutte le basi britanniche nel 1969, prese il controllo delle banche, del commercio estero e dell’industria marittima, intraprendendo al tempo stesso la riforma agraria. In politica estera mantenne una stretta alleanza con l’Unione Sovietica. Ha anche incoraggiato la lotta aperta antisionista e il sostegno al popolo palestinese.
Nell’ottobre 1978, durante un congresso che godette di un notevole sostegno popolare, il Fronte di liberazione nazionale fondò il Partito socialista yemenita. A dicembre sono state organizzate le prime elezioni popolari dall’indipendenza per designare i 111 membri del Consiglio rivoluzionario popolare.
Fin dai primi anni della sua esistenza, la Repubblica Democratica Popolare dello Yemen ha dovuto affrontare la costante ostilità dell’Arabia Saudita, che cercava di controllare alcune parti del territorio, in particolare quelle dove erano stati scoperti giacimenti petroliferi. Le tensioni sono state esacerbate dalla crescente presenza militare statunitense in Arabia Saudita.
Nel frattempo, nel nord, il Fronte Nazionale Democratico (FDN), che riunisce tutte le forze progressiste del paese, conduce una lotta armata contro Ali Abdullah Saleh, salito al potere nel 1978. Mentre il FDN è sull’orlo della rivolta. Prendendo il potere, l’Arabia Saudita intriga per deviare il conflitto in una guerra contro la Repubblica Democratica Popolare dello Yemen. La mediazione dei paesi arabi ha portato ad un cessate il fuoco e ad un accordo sulla ripresa dei negoziati di riunificazione, sospesi dal 1972.
Infine, il 22 maggio 1990, le due repubbliche si unirono per formare la Repubblica dello Yemen, che fece di Sana’a (ex capitale della Repubblica Araba dello Yemen) la sua capitale politica e di Aden (ex capitale della Repubblica Democratica Popolare dello Yemen) la sua capitale economica. In una sessione congiunta delle assemblee legislative dei due stati ad Aden è stato eletto un consiglio presidenziale guidato dal generale Ali Abdullah Saleh. L’unificazione dello Yemen non è stata ben accolta dall’Arabia Saudita, che ha avviato una politica di sostegno alla secessione. Nel maggio 1994, i secessionisti proclamarono la repubblica yemenita nel sud del paese, ma furono sconfitti dalle forze fedeli al governo.
Tra giugno e agosto 2004 è apparso un movimento che esprimeva le credenze di uno specifico ramo dell’Islam di orientamento sciita: gli Zaydi, il cui leader era il religioso Hussein al-Houthi. In suo onore, dopo la sua morte in combattimento nel settembre dello stesso anno, il movimento prese il nome di Houthi, Huthi o Ansar Allah (seguaci di Dio). Sebbene questo movimento sia espressione di una minoranza nello Yemen, la sua storia non è recente, risale alla metà dell’VIII secolo. Lo zaidismo si caratterizza per l’istruzione superiore dei suoi membri ed è associato alla lotta per la giustizia e alla difesa dell’etica musulmana. Questa ideologia, così come l’emarginazione a cui furono sottoposti dopo aver perso il potere nel 1962, costituirà il substrato su cui si svilupperà in futuro il pensiero Houthi.
La lotta degli Houthi contro il governo filo-occidentale e filo-saudita di Ali Abdullah Saleh è stata lunga e sanguinosa. Hanno dovuto imbracciare le armi cinque volte tra il 2006 e il 2008 per difendere il loro territorio nel nord del paese finché non hanno iniziato ad espandere la loro base di appoggio e lo spazio geografico che controllano. Nel 2009, Saleh, cercando di fermare gli Houthi, si è rivolto all’Arabia Saudita per chiedere sostegno.
Per gli Houthi, il fatto che un paese come l’Arabia Saudita, con tendenze wahhabite estremamente conservatrici, fosse presente e interferisse negli affari del paese era visto come una minaccia alla sovranità della nazione in generale e a quella minoranza nel suo complesso in particolare. Da quel momento in poi la loro lotta, che aveva carattere strettamente interno, si trasformò in un confronto contro l’intervento straniero.
Sebbene i combattenti Houthi abbiano inizialmente subito pesanti sconfitte, inclusa (come menzionato sopra) la caduta del loro leader principale, col tempo sono diventati più forti e, dal 2011, sotto la nuova guida del fratello minore di Al Houthi, Abdul Malik, hanno iniziato a combattere ed infliggere notevoli battute d’arresto al nemico. La retorica antimperialista e antisionista è stata rafforzata identificando l’Arabia Saudita come partner nell’attuazione dei piani statunitensi e israeliani nella regione.
La cosiddetta “primavera araba” è stata particolarmente influente nel crescente sostegno al pensiero Houthi nella sua lotta contro il governo repressivo di Saleh. Nello Yemen, il terremoto che ha scosso una parte significativa del mondo arabo ha innescato una risposta molto più organizzata rispetto ai paesi vicini. Di fronte alla forza delle proteste, Saleh fuggì dal Paese e si rifugiò in Arabia Saudita, per essere sostituito dal suo vicepresidente, Abdo Rabu Mansour Hadi, che cercò di riportare ordine nel Paese concludendo un accordo con le fazioni contrarie al Saleh “affinché tutto cambi senza che nulla cambi”, lasciando da parte il movimento Houthi.
Alla fine del 2014 gli Houthi hanno deciso di lanciare un’offensiva sulla capitale. In questo contesto, Saleh – in un sorprendente tentativo di riconquistare il potere – ha stabilito un’alleanza con gli Houthi per affrontare Hadi. Gli Houthi, che non avevano sostenuto gli accordi di pace firmati da Hadi, si allearono con il loro più grande nemico per conquistare la capitale. La Guardia Repubblicana, una forza fedele a Saleh, incoraggiò gli Houthi ad entrare a Sana’a. Hadi si è rifugiato a Riyadh, la capitale saudita, da dove “comanda” i territori non ancora controllati da Ansar Allah, agendo di fatto come un burattino della monarchia wahhabita.
Una volta al potere, gli Houthi formarono un comitato rivoluzionario per governare il paese. Sono stati anche costretti a combattere contemporaneamente le forze terroristiche di Al Qaeda e dell’Arabia Saudita, che li protegge.
Ritenendo che gli Houthi non avessero rispettato gli accordi che, secondo lui, gli avrebbero permesso di riprendere il potere, Saleh si è rivoltato contro di loro, con l’appoggio dell’Arabia Saudita. Quando il tradimento fu completo, gli Houthi attaccarono la casa di Saleh, uccidendolo.
Da Riyadh, Hadi ha chiesto l’intervento saudita nello Yemen. In risposta a questa richiesta, la monarchia saudita ha organizzato una coalizione di paesi sunniti per lanciare l’operazione Tempesta decisiva nel 2015, strutturata attorno ad attacchi aerei sulle principali enclavi controllate dagli Houthi che hanno provocato migliaia di morti.
Questa azione era concepita come un’offensiva definitiva per prendere il controllo del paese al fine di lanciare una seconda operazione denominata “Ripristinare la speranza”, incentrata maggiormente sul riavvicinamento diplomatico. D’altro canto, le azioni terrestri, aeree e marittime dell’Alleanza sono state rafforzate da un blocco navale che ha impedito l’ingresso degli aiuti internazionali, facendo precipitare il paese nella peggiore crisi umanitaria della storia fino allo scoppio delle attuali azioni sioniste a Gaza, entrambe con esplicite Il sostegno degli Stati Uniti.
Gli Houthi, utilizzando un ampio margine di manovra basato su una crescente conoscenza del terreno e utilizzando tattiche di guerriglia ispirate – secondo loro – alla lotta di liberazione in Vietnam e ai “movimenti di resistenza in America Latina”, hanno dimostrato una grande capacità di colpire un esercito invasore privo di volontà, morale, disciplina e motivazione per combattere. Allo stesso modo, l’ampio ventaglio di truppe della coalizione, che comprendeva la partecipazione di un nutrito contingente di mercenari assoldati da compagnie private, ha minato la capacità combattiva dell’alleanza di cui l’Arabia Saudita è il braccio di ferro.
Riyadh ha ricevuto pesanti colpi anche sul suo territorio, poiché le operazioni di combattimento di Ansar Allah sono penetrate in profondità nella geografia saudita attraverso un sistema avanzato di droni e missili a lungo raggio che hanno colpito caserme delle forze armate, raffinerie di petrolio e infrastrutture critiche a distanze lontane dal confine comune.
II
I media transnazionali hanno diffuso l’idea che gli Houthi agiscano sotto l’influenza del governo iraniano. Se né l’Iran né gli Houthi hanno negato la loro appartenenza ad un asse di resistenza all’imperialismo, al colonialismo e al sionismo che comprende anche forze politiche del Libano, della Siria, del Bahrein e della stessa Palestina, anche semplificare l’equazione con un rapporto di “subordinazione” è superficiale e banale, vista la storia delle lotte del popolo yemenita.
Nell’Asia occidentale, la crescente aggressività di Israele e la presenza interventista degli Stati Uniti hanno polarizzato la situazione politica. Il recente accordo che risolve la controversia tra Iran e Arabia Saudita, così come altri accordi che hanno avvicinato l’Egitto, tra gli altri, alla Turchia, al Qatar e all’Arabia Saudita, dopo anni di allontanamento, e la stagnazione della guerra nello Yemen, indicano l’indebolimento della il polo imperialista-sionista e il rafforzamento della resistenza.
In questo contesto, lo Yemen e il movimento Houthi svolgono un ruolo decisivo, sia storicamente che geograficamente. Va notato che Ansar Allah non ha mai nascosto i suoi rapporti con l’Iran. Sono uniti dalla comune appartenenza al ramo sciita dell’Islam. Sia il fondatore del movimento Ansar Allah che suo fratello, che oggi lo guida, hanno trascorso parte della loro vita a Qom (Iran), formandosi politicamente e ideologicamente, studiando la dottrina sciita, basata sull’idea che la legittima successione di Maometto spetta al discendenti di suo genero Ali, al contrario dei sunniti che credono che i successori di Maometto debbano essere i compagni del profeta. Sunnita deriva da “Ahl al-Sunnah”, che si traduce in “gente di tradizione” e Sciita deriva da “Chiat Ali”, che significa “seguaci di Ali”.
Ma questo non significa che gli yemeniti siano semplici “accessori” dell’Iran. Al di là del sostegno finanziario, militare, comunicativo e politico ricevuto da Teheran, il movimento Ansar Allah ha dimostrato autonomia e autodeterminazione nella progettazione e nell’esecuzione delle sue azioni, sia nella guerra contro l’Arabia Saudita e i suoi alleati dal 2015 che oggi in sostegno alla causa palestinese.
Sarà utile sapere che oltre agli aiuti alla Palestina, lo Yemen è in conflitto diretto con Israele per il sostegno che l’entità sionista ha fornito agli Emirati Arabi Uniti (EAU) durante la guerra lanciata nel 2015 che ha permesso loro di occupare le strategiche isole yemenite di Socotra, situate nel Mar Arabico a circa 350 chilometri a sud della costa del paese, per stabilirvi una serie di basi di spionaggio con l’obiettivo di raccogliere informazioni in tutta la regione, in particolare nello stretto di Bab El Mandeb.
È importante notare che la base israelo-emiratina di Socotra avvantaggia anche gli Stati Uniti, poiché consente loro di controllare il porto di Gwadar in Pakistan, che fa parte del corridoio economico Cina-Pakistan (CPEC), nell’ambito del quale Pechino ha sviluppato un porto in modo che le merci scaricate lì potessero essere spedite via terra verso la Cina, in particolare nella sua regione occidentale.
Ma, in termini di eventi attuali, le azioni dello Yemen a sostegno della Palestina sono iniziate quasi immediatamente dopo il 7 ottobre. Il 19 ottobre, una nave da guerra Usa ha abbattuto missili e droni lanciati dagli Houthi contro Israele, secondo le informazioni del Pentagono rilasciate all’epoca.
Pochi giorni dopo, il 27 ottobre, sei persone sono rimaste ferite quando due droni sono atterrati sopra Taba, una città egiziana al confine con Israele, dopo essere stati intercettati dall’aeronautica israeliana. Il 31 ottobre, gli Houthi hanno rivendicato la responsabilità di un attacco di droni contro l’entità sionista. L’esercito Houthi ha affermato di aver intercettato un missile lanciato da sud.
Il portavoce militare Houthi, generale Yahya Sari, ha dichiarato in una dichiarazione televisiva che il gruppo ha lanciato un “gran numero” di missili balistici e droni verso Israele e che ci saranno ulteriori attacchi in futuro “per aiutare i palestinesi a ottenere la vittoria”. In risposta, il consigliere capo per la sicurezza nazionale di Israele, Tzachi Hanegbi, ha affermato che gli attacchi Houthi sono intollerabili, ma ha rifiutato di fornire dettagli quando gli è stato chiesto come avrebbe risposto Israele.
A metà novembre, Ansar Allah ha annunciato che le sue forze armate avrebbero attaccato tutte le navi battenti bandiera israeliana o gestite o possedute da società israeliane. Pochi giorni dopo, il generale Sari dichiarò che “le forze armate yemenite continueranno a impedire alle navi di tutte le nazionalità dirette ai porti israeliani di navigare nel Mar Arabico e nel Mar Rosso finché non avranno trasportato il cibo e le medicine necessarie ai palestinesi nella Striscia di Gaza”.
In risposta a questa decisione, e dopo i primi attacchi contro le navi dirette in Israele, quattro grandi compagnie di navigazione (la più grande compagnia di spedizioni di container al mondo, la Mediterranean Shipping Co [MSC], con sede in Svizzera, la compagnia danese Maersk, la compagnia francese CMA CGM e la compagnia tedesca Hapag-Lloyd) hanno sospeso il passaggio delle loro navi attraverso il Mar Rosso. Queste aziende trasportano circa il 53% dei container marittimi mondiali e circa il 12% del commercio globale in termini di volume. Da notare che il 30% del traffico globale di container passa attraverso Bab El Mandeb.
In risposta, gli Stati Uniti hanno deciso, il 19 dicembre, di creare un’alleanza navale per lanciare un’operazione denominata “Guardian of Prosperity”, che dovrebbe “garantire la libertà di navigazione nel Mar Rosso”. In pratica, ciò significa dichiarare guerra allo Yemen e militarizzare il Mar Rosso. Ma il Paese arabo non ha vacillato nella sua posizione. Le sue forze armate hanno affermato che “qualsiasi attacco alle risorse yemenite o alle basi di lancio missilistico dello Yemen porterebbe sangue in tutto il Mar Rosso”, sostenendo che possedevano “armi in grado di affondare le vostre portaerei e i vostri cacciatorpediniere”.
L’escalation di azioni da allora è evidente. In un discorso del 20 dicembre, il leader di Ansar Allah Sayyed Abdul Malik Al Houthi ha affermato che la responsabilità del mondo islamico nel conflitto in Palestina è grande, soprattutto quella della regione araba, che è “il cuore di questo mondo”” A questo proposito , ha deplorato la posizione arabo-islamica durante i vertici organizzati per discutere la questione, soprattutto quello tenutosi in Arabia Saudita. Al Houthi ha definito tale posizione debole, mentre il leader yemenita ha affermato che i popoli arabi e musulmani dovrebbero impegnarsi a sostenere la Palestina, deplorando l’approccio di alcuni paesi a quella che lui chiamava la “cospirazione contro la Palestina”. Il suo paese non si aspettava dagli Stati Uniti e dai paesi europei una posizione o un ruolo positivo nei confronti della Palestina. Per questi motivi, credeva che la prospettiva dell’asse della resistenza dovesse puntare aumentare il livello del sostegno militare alla Palestina.
In questo contesto, Al Houthi ha avvertito che Ansar Allah “attaccherebbe le navi da guerra statunitensi se le sue forze fossero attaccate da Washington dopo il lancio dell’operazione Prosperity Guardian”. Secondo Al Houthi, gli Stati Uniti non stanno cercando di proteggere la navigazione globale, ma stanno cercando di militarizzare lo spazio marittimo.
Tuttavia, gli Stati Uniti non hanno raggiunto un consenso su come portare a termine le missioni dell’alleanza navale così creata. I disaccordi con i paesi arabi che dovrebbero aderire alla coalizione hanno impedito una risposta coerente agli attacchi Houthi contro le navi in transito nel Mar Rosso. Due paesi chiave della regione coinvolti nella lunga guerra contro lo Yemen – gli Emirati Arabi Uniti e l’Arabia Saudita – hanno posizioni opposte sugli Houthi, il che ha rappresentato un grosso ostacolo al piano statunitense di porre fine agli attacchi marittimi. Una possibilità presa in considerazione da Washington è una risposta militare agli Houthi, ma alcuni alleati arabi si sono rifiutati di farlo. Preferiscono insistere sulla via diplomatica e rafforzare la protezione marittima delle navi.
Gli analisti specializzati consultati sull’argomento concordano nel ritenere vaghi gli obiettivi dell’operazione, considerato che i comandanti navali non hanno ricevuto missioni precise. Allo stesso modo, le navi da guerra della coalizione, sebbene dotate di armamenti avanzati, possono limitarsi solo a respingere gli attacchi missilistici scortando le navi mercantili, il che è discutibile dato che l’arsenale missilistico dello Yemen è inesauribile alla luce delle azioni intraprese negli ultimi otto anni. , “né i leader delle compagnie di navigazione mondiali, né i capitani delle navi mercantili, né gli assicuratori saranno pronti a giocare alla lotteria”, secondo Ilya Kramnik, esperto delle forze navali russe.
Allo stesso modo, Michael Horton, co-fondatore di Red Sea Analytics International, una società di consulenza indipendente dedita all’analisi imparziale delle dinamiche di sicurezza nel Mar Rosso, ha osservato che gli Houthi “hanno dispiegato solo una frazione delle loro armi, non utilizzando missili a lungo raggio, droni più avanzati e mine marine difficili da rilevare”.
In questa situazione, il vice ammiraglio Usa Kevin Donegan ha osservato che “anche gli Stati Uniti hanno accettato come normali gli attacchi persistenti […] degli Houthi”. Secondo il New York Times, questa situazione ha costretto il presidente Biden a fare una scelta difficile riguardo ai futuri piani per scoraggiare gli Houthi. Per fare questo, deve chiedersi se l’Arabia Saudita non stia cercando un’escalation del conflitto che potrebbe far deragliare una tregua duramente negoziata con i ribelli. Da parte sua, Tim Lenderking, inviato speciale degli Stati Uniti per lo Yemen, ha dichiarato a metà dicembre: “Tutti stanno cercando un modo per allentare le tensioni”.
Dall’altra parte del conflitto, il 24 dicembre, il comandante delle Guardie rivoluzionarie iraniane, il maggiore generale Hossein Salami, ha annunciato che il blocco navale di Israele potrebbe evolversi in un blocco navale totale se il Mar Mediterraneo, lo Stretto di Gibilterra e altri i corsi d’acqua fossero stati chiusi. Ad oggi, lo Yemen è già riuscito a bloccare quasi l’intero porto israeliano di Eilat sul Mar Rosso, che opera solo al 15% della sua capacità. Vale la pena notare che le milizie di Ansar Allah sono riuscite a colpire una nave israeliana nel Mar Arabico, vicino all’India, lontano dal territorio yemenita. Da parte sua, l’Iran dispone di droni e missili ipersonici a lungo raggio che, in caso di guerra totale contro il sionismo, potrebbero facilmente prendere di mira le navi commerciali che attraversano il Mediterraneo verso i porti israeliani.
Allo stesso modo, in preparazione ad una battaglia più ampia contro Israele, l’esercito yemenita ha annunciato di disporre di 20.000 soldati di riserva addestrati e pronti a combattere a fianco delle forze armate del paese contro l’entità sionista e la coalizione guidata dagli Stati Uniti.
Il 28 dicembre, lo Yemen ha messo in guardia gli Stati Uniti e i suoi partner contro la militarizzazione del Mar Rosso e ha affermato che avrebbe intensificato gli attacchi contro i suoi nemici se il blocco di Gaza fosse continuato. In questo contesto, il giorno prima, gli alti comandanti delle forze armate dello Yemen si sono incontrati per discutere gli ultimi sviluppi regionali e valutare la prontezza al combattimento delle truppe. Al termine dell’incontro si sono dichiarati pronti a eseguire gli ordini del leader di Ansar Allah.
Il 4 gennaio, dopo che un contingente navale yemenita si è trovato faccia a faccia con le forze militari statunitensi nel Mar Rosso, perdendo tre piccole imbarcazioni e dieci caccia, il comandante delle forze di difesa costiera yemenita, il maggiore generale Mohhamed Al Qadiri, ha avvertito che lo Yemen non avrebbe riserve sul diritto di rispondere, ma risponderebbe determinando l’obiettivo in ogni caso sulle isole, nel Mar Rosso e nelle “basi dove sono di stanza i sionisti e gli americani”.
Se gli Stati Uniti e la loro alleanza alla fine decidessero di sfidare direttamente gli Houthi nel Mar Rosso, si troveranno ad affrontare una vasta guerra navale nel Golfo di Aden, nel Mar Arabico e nell’Oceano Indiano. Se ciò dovesse accadere, si innescherebbe una spirale inarrestabile di confronto di dimensioni indicibili.
In ogni caso, lo Yemen è già riuscito a utilizzare la sua posizione strategica come forza negli equilibri globali e ad affermarsi come un elemento importante nell’equazione del conflitto in corso e ad esprimere uno dei più coraggiosi sostegni al popolo palestinese di fronte alla macchina da guerra israeliana sostenuta dagli Stati Uniti e dal Regno Unito, costituendo così un’importante merce di scambio contro il sionismo e il suo mentore americano.
Controllare il Canale di Suez significa controllare il 90% del commercio mondiale, il che influisce direttamente su Israele colpendo la sua economia. In questo senso, gli Houthi sono riusciti a fare ciò che Israele e gli Usa hanno finora cercato di evitare a tutti i costi: “trasformare il genocidio di Gaza in una crisi globale”.
Il giornalista libanese Khalil Harb, citando la Banca Mondiale in un articolo sulla rivista online The Cradle, ha scritto che Israele importa ed esporta “quasi il 99% delle merci via fiume e mare” e che “più di un terzo del suo PIL dipende dal commercio di merce.”
Da parte sua, il giornalista brasiliano specializzato in politica internazionale Eduardo Vasco ha sottolineato che, oltre all’impatto diretto del movimento Houthi nell’Asia occidentale, le sue azioni “paralizzano l’economia mondiale, vale a dire il funzionamento stesso del regime capitalista, che è all’origine del problema della guerra di aggressione in Medio Oriente. In questo contesto, Vasco ritiene che l’UA e Israele non possano attaccare direttamente lo Yemen perché potrebbero esserci ritorsioni contro gli alleati degli Stati Uniti nella regione principalmente contro i loro giacimenti petroliferi, il che peggiorerebbe brutalmente la crisi economica con una crisi petrolifera (già iniziata )”. Questo è il motivo per cui, mentre gli Emirati Arabi Uniti vogliono un’azione forte contro gli Houthi, i Sauditi sono cauti.
All’ultimo momento, quasi alla conclusione di questo articolo, abbiamo appreso che lo Yemen ha attaccato una nave statunitense che trasportava rifornimenti per Israele, in risposta ai recenti attacchi statunitensi alle forze navali yemenite.
Rispondendo anche alle dichiarazioni del segretario di Stato Usa Anthony Blinken, il vice ministro degli Esteri dello Yemen Hussein Al Ezzi ha ribadito «la sicurezza della navigazione verso tutte le destinazioni, ad eccezione dei porti della Palestina occupata», smentendo categoricamente le false informazioni diffuse da Washington, Londra e Berlino sul tema della sicurezza della navigazione.
Le righe precedenti illustrano la capacità e la determinazione del popolo yemenita a svolgere un ruolo di primo piano nella guerra di Israele contro la Palestina. Dimostrano infatti che, pur essendo un piccolo Paese globalmente e regionalmente emarginato rispetto allo sviluppo economico, conserva una volontà di lotta che esprime il sentimento secolare di esistere come nazione indipendente, sfidando le maggiori potenze mondiali ostacolando e impedendo l’attuazione delle loro politiche imperiali nella regione attraverso il loro sostegno incondizionato a Israele.
Sergio Rodríguez Gelfenstein – Blog
Traduzione per TLAXCALA di Alba Canelli
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