
In occasione del question time al Senato del 31 ottobre scorso, rispondendo ad una interrogazione sulla deportazione in Albania di 16 naufraghi soccorsi da una nave militare italiana nelle acque internazionali del Mediterraneo centrale, il ministro dell’interno Piantedosi, prontamente ripreso dai giornali di destra, ha dichiarato che “Il costo reale dell’impegno della nave Libra si è rivelato di 8.400 euro complessivi. Un costo giornaliero ampiamente inferiore a quello che veniva sostenuto in epoche di grande celebrazione di operazioni, come ‘Mare Nostrum’, che richiedevano oneri per 300 mila euro al giorno”. Al di là del tono sprezzante usato dal ministro nei confronti di una operazione che nel 2014 aveva coniugato il soccorso in acque internazionale con la cattura di centinaia di scafisti, il paragone non regge dal punto di vista operativo e sotto il profilo dei costi economici.
L‘operazione Mare Nostrum che, nel 2014, ha salvato più di 100.000 persone con 554 interventi, con diversi assetti navali ed aerei, non è paragonabile sul piano operativo ed in termini di costo, alle “deportazioni” via mare in Albania. che secondo la legge di ratifica del Protocollo Italia-Albania dovevano essere realizzate con una nave traghetto noleggiata da operatori privati. Mentre poi, dopo il fallimento della relativa gara di appalto,i trasferimenti dei migranti, selezionati in mare con il cd, pre-screening, venivano affidati ad una nave militare, la Libra, già tristemente nota per la strage dei bambini del 2013, ed adesso adibita a “collettore” dei naufraghi soccorsi da mezzi della Guardia costiera e della Guardia di finanza, in acque internazionali, non solo nella zona SAR italiana, ma anche nella zona SAR tunisina di recente istituzione, “nuovo schiaffo di Meloni ai migranti”.
Sotto il profilo operativo non può non colpire come, secondo quanto dichiarato dal ministro, per trasferire i naufraghi in Albania nave Libra abbia raccolto a bordo persone soccorse in zona Sar tunisina, che corrisponde quasi alle acque territoriali. Mentre per il naufragio di Roccella, nel quale, secondo il ministro, l’evento si sarebbe svolto al di fuori della zona Sar italiana, si è evitato l’intervento con navi militari e si è preferito allertare un mercantile e diffondere un generico avviso ai naviganti sulla possibile presenza di una imbarcazione in difficoltà. In questo caso, si potrebbe osservare, le spese si sono forse concentrate sulle numerose missioni dei mezzi della Guardia costiera che, dopo il naufragio, per giorni, hanno recuperato cadaveri dei naufraghi in alto mare.
Di certo gli arrivi non dipendono dalla deterrenza attuata dal governo con le missioni della nave Libra e con il Protocollo Italia-Albania. Infatti, proprio negli ultimi giorni nei quali questa nave sta dirigendo verso il Mediterraneo centrale, appena si è aperta una finestra di condizioni meteo meno perturbate, sono riprese le partenze dalle coste nordafricane, e purtroppo anche i naufragi. Naufragi nascosti all’opinione pubblica italiana. Nella giornata di ieri, centosettantadue migranti sono sbarcati, dopo due soccorsi operati dalle motovedette Frontex e un approdo direttamente in località Cavallo Bianco, a Lampedusa. Del resto, va ricordato a chi ragiona in termini di mera deterrenza degli arrivi, quanto alto sia il costo umano e quali violazioni possano derivare dalle politiche di esternalizzazione delle attività di sorveglianza delle acque internazionali.
Nel 2009 e nel 2010 il ministro leghista Maroni realizzò un calo drastico degli arrivi con una diminuzione dell’80 per cento rispetto agli anni precedenti, ma questo fu possibile per le operazioni di respingimento collettivo illegali coordinate con la sedicente Guardia costiera “libica”, che costarono all’Italia una sentenza di condanna da parte della Corte europea dei diritti dell’Uomo (caso Hirsi). Appena due anni dopo, per effetto delle cd. primavere arabe (2011), gli arrivi dalle coste nordafricane aumentavano in modo esponenziale, soprattutto a seguito della crisi siriana nel 2013, e dopo le stragi del 3 e dell’11 ottobre di quell’anno il governo Letta varava l’operazione Mare Nostrum.
La Marina Militare partecipava allora, in particolare, con: 700/1000 militari; • 1 Nave Anfibia tipo LPD con funzione di Comando e Controllo dell’intero dispositivo.• 2 corvette Classe Minerva; • 2 pattugliatori, Classe Costellazioni/Comandanti, due unità ciascuno con un elicottero SH- 212, di cui uno con missione primaria di Vigilanza Pesca; • 1 elicottero medio-pesanti tipo SH90 (TRR) imbarcato sulla Nave Anfibia oltre che a nr. 2 Aeromobili a Pilotaggio Remoto Camcopter S-100; • 1 elicottero EH 101 (MPH) rischierato a terra su Lampedusa • 1 velivolo P180 della M.M. e 1 velivolo P180 P.S., muniti di dispositivi ottici ad infrarosso (ForwardLookingInfraRed – FLIR), rischierati a Pratica di Mare; • 1 LRMP Breguet Atlantic rischierato a Sigonella; • 1 elicottero medio AW139 (Polizia) rischierato a Lampedusa • 1 elicottero leggero utility AW109 (Carabinieri) rischierato a Lampedusa
Con queste unità collaboravano anche mezzi navali della Guardia costiera e della Guardia di finanza, impegnati prevalentemente a sud di Lampedusa, nella zona contigua alle acque territoriali. Non si vede come oggi il ministro Piantedosi possa paragonare il costo economico di questa operazione, che garantiva a più di 100.000 persone lo sbarco in un porto sicuro in Italia, alle operazioni di intercettazione, più che di salvataggio, in acque internazionali, ed ai trasferimenti verso il porto di Shengijn in Albania, di alcune decine, o centinaia (forse) di migranti soccorsi in acque internazionali, imbarcati sull’unica nave, la Libra, messa a disposizione dalla Marina militare. Ma ormai, per la propaganda, anche i banchi del governo, da Palazzo Madama, in diretta TV, servono a rassicurare l’elettorato che i confini sono difesi con la massima energia. Magari a costo di tacere su un numero di vittime che, tenendo conto del calo del numero delle traversate, non è mai stato così alto, nel 2024 1.452 tra morti e dispersi. Le più recenti scadenze elettorali hanno premiato del resto chi antepone la mera deterrenza alla salvaguardia dei diritti umani e del diritto al soccorso. In soli dieci anni, sembra una svolta epocale.
A partire dal novembre 2013, con l’avvio della operazione Mare Nostrum, venivano salvate oltre 100.000 persone, persino in acque libiche e tunisine, con l’arresto di un numero di presunti “scafisti” che non ha mai avuto in seguito la stessa consistenza. Ma già alla fine del 2014 il governo Renzi decise di porre fine all’operazione, in vista delle elezioni, con l’alibi dell’avvio ormai prossimo dell’Operazione Triton di Frontex. Le conseguenze si videro immediatamente, con la strage del 18 aprile 2015, la strage più grave della storia delle migrazioni attraverso il Mediterraneo, con oltre 1000 morti.
Secondo dati pubblicati da Openpolis, l’attuazione del Protocollo Italia-Albania comporta una spesa di 50 milioni di euro all’anno, soltanto per le trasferte dei funzionari ministeriali, quasi la metà di quanto -secondo il ministro- costava annualmente l’intera operazione Mare Nostrum (in realtà il costo stimato complessivo arrivava a 120-140 milioni di euro all’anno, dati dell’ISPI), considerando 300 mila euro al giorno per il dispositivo aereo-navale più circa 100 mila euro al giorno per le indennità d’imbarco del personale e i costi vivi di gestione dell’operazione. Secondo l’ammiraglio De Giorgi, allora Capo di Stato Maggiore della Marina Militare, il costo di Mare Nostrum si aggirava intorno ai 9 milioni di Euro al mese.
Con riferimento al Protocollo Italia-Albania, agli 850 milioni già preventivati in cinque anni per la realizzazione e la gestione dei centri a Shengjin e Gjader, dunque 170 milioni di euro all’anno, occorre aggiungere il costo del noleggio di una nave traghetto che avrebbe dovuto trasferire i naufraghi in Albania al costo stimato di 95 milioni di euro in cinque anni (19 milioni all’anno). Si trattava di un contratto di tre mesi, dal 15 settembre al 15 dicembre, e nelle specifiche tecniche si indicava “a circa 15/20 miglia nautiche a Sud-Sud/ovest dall’isola di Lampedusa” il “punto di prelievo dei migranti”. Secondo altre fonti Il Ministero dell’Interno aveva fissato un tetto massimo di spesa a 13,5 milioni di euro per questo servizio, come specificato in una “consultazione preliminare del mercato” lanciata il 30 maggio 2024. Il contratto di noleggio delle navi, doveva iniziare il 15 settembre scorso, prevedendo il trasporto di circa 300 persone (200 migranti e 100 operatori), con tre o quattro viaggi mensili. I tempi di navigazione venivano stimati in circa 50 ore, per ogni operazione dunque, tra andata e ritorno, almeno 5/6 giorni.
Poi invece si è optato per l’utilizzo di una nave militare, la Libra, che certo costa di meno, secondo il ministro Piantedosi, per questa prima operazione il costo reale dell’impegno della nave Libra si è limitato a 8.400 euro complessivo, al netto delle (non precisate) spese di ordinario esercizio quotidiano della nave, ma che non potrà mai garantire da sola la capienza per i trasferimenti in Albania propagandati dal governo (3000 persone al mese). Neppure per quelli più che dimezzati annunciati dopo l’avvio della prima operazione, e si tratta di una nave che non offre spazi coperti per un numero elevato di persone. Un assetto navale militare con grandi ponti esterni che nei mesi invernali non sarà utilizzabile, a meno di non esporre i naufraghi, se tenuti all’aperto, all’addiaccio per due giorni, a trattamenti inumani e degradanti, vietati dall’art.3 della Convenzione europea a salvaguardia dei diritti dell’Uomo.
Il paragone del tutto improprio che fa oggi il ministro dell’interno Piantedosi tra l’operazione Mare Nostrum e le attività di trasferimento in Albania dei naufraghi soccorsi da navi militari italiane nelle acque internazionali del Mediterraneo centrale, non è corretto dal punto di vista dei conti economici, ma soprattutto non tiene conto dell’esperienza degli anni passati, quando le attività di law enforcement (contrasto dell’immigrazione irregolare) hanno impedito o ritardato l’avvio di arrività di ricerca e salvataggio (SAR). Come sta emergendo dalla inchiesta della magistratura sulla strage di Steccato di Cutro. Le nuove regole di ingaggio previste per le navi militari italiane in acque internazionali potrebbero rivelarsi assai pericolose per la vita dei naufraghi intercettati in acque internazionali a bordo di piccole imbarcazioni in difficoltà, in evidente situazione di distress (pericolo grave ed attuale). Mentre rimangono oscuri e coperti dal segreto militare i rapporti di collaborazione con le guardie costiere di paesi come la Libia o la Tunisia, che notoriamente non rispettano i diritti umani e non garantiscono l’applicazione effettiva della Convenzione di Ginevra sui rifugiati (che la Libia non ha neppure sottoscritto). Se, per riempire i centri in Albania, si andassero a prelevare in acque internazionali persone già intercettate dai libici e dai tunisini, le violazioni del diritto internazionale sarebbero ancora più eclatanti.
Al di là degli argomenti di natura economica, sui quali il governo, con rifermento all’attuazione del Protocollo Italia-Albania , dovrà riferire alla Corte dei Conti, sul piano strettamente operativo emerge il rischio che le modalità d’impiego della nave Libra, e delle unità della Guardia costiera e della Guardia di finanza che dovrebbero operare soccorsi nelle acque internazionali delle zone di ricerca e salvataggio maltesi, libica e tunisina, possano comportare, soprattutto per gli abbordaggi ed i successivi trasbordi in alto mare, gravissimi rischi per i naufraghi. Nei confronti dei quali dovrebbe prevalere l’esigenza di un intervento di salvataggio più celere possibile, con lo sbarco in un porto sicuro in territorio italiano, come avveniva ai tempi dell’operazione Mare Nostrum, e come non è più previsto in base al Protocollo Italia-Albania. Che per questa ragione appare in violazione del diritto internazionale e delle norme dell’Unione europea.
Dal 2014 ad oggi le Convenzioni internazionali del mare e i Regolamenti europei su Frontex, vincolanti per l’Italia, non sono cambiati, come conferma il Piano SAR nazionale del 2020, e sono stati riconosciuti in tutta la loro vigenza da numerose sentenze della magistratura, che hanno cancellato la valanga di accuse rivolte dalle autorità di polizia contro le navi del soccorso civile e le odiate ONG. I giudici hanno messo in evidenza gravi responsabilità delle autorità militari e politiche statali, dal processo sulla strage dei bambini del 2013, che riguardava proprio la nave Libra, fino alla più recente strage di Steccato di Cutro. Per non parlare, ancora quest’anno, della strage nascosta di Roccella Ionica. Dopo la quale il ministro Piantedosi farebbe bene a ricordare, a fronte di quanto dichiarato in Senato, che se è avvenuta in luoghi assai distanti, i primi avvistamenti erano stati segnalati nella stessa zona SAR, e sulla stessa rotta orientale dello Ionio, che, dopo la forte contrazione delle partenze dalla Tunisia e dalla Tripolitania, si prospetta oggi come una delle rotte di fuga più utilizzata, anche per le conseguenze devastanti, ed ancora tutte da verificare, del genocidio in corso in Palestina e degli attacchi israeliani in Libano.
Gli obblighi di ricerca e salvataggio, che si completano soltanto con lo sbarco in un porto sicuro non cambiano a seconda della stagione politica, della nazionalità dei naufraghi o delle zone SAR nella quale si verificano gli eventi di soccorso, che non possono essere considerati alla stregua di meri eventi di immigrazione irregolare.
Fonte Adif
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