di Giorgio Nebbia
Nelle ultime settimane di novembre i telegiornali hanno dato, quasi ogni giorno, in mezzo a tante altre notizie di politica e di assassinii, informazioni sulla diminuzione del prezzo del petrolio, tanti dollari al barile, anche se con lo sconsolante avvertimento che questo farà diminuire ben poco il prezzo dell’adorata benzina. In realtà intorno al prezzo del petrolio si sta giocando una battaglia mondiale da cui dipende non solo il prezzo della benzina, ma il destino economico di tutto il pianeta. I prezzi del petrolio greggio sono due, quello con la sigla WTI (West Texas Intermediate) che si riferisce ad un certo tipo di petrolio estratto nel Texas occidentale, uno degli stati degli Stati Uniti, e quello Brent che si riferisce ad un petrolio, di qualità molto buona, estratto da pozzi che si trovano nel Mare del Nord, vicino alla Scozia. Il prezzo Brent è in genere di qualche dollaro superiore a quello WTI. Inoltre il prezzo internazionale del petrolio è espresso in dollari americani, che valgono oggi circa 0,8 euro ciascuno, riferiti a un barili che contiene circa 0,13 tonnellate.
Per molti mesi il prezzo mondiale del petrolio si è aggirato intorno a 100 dollari al barile, con grande felicità per i paesi esportatori, come quelli del Golfo Arabico e Russia, e anche per le compagnie petrolifere degli Stati Uniti che hanno scoperto che è possibile estrarre petrolio da sottili estesi giacimenti sotterranei orizzontali nei quali il petrolio è frammisto a scisti costituiti da argille e altre rocce. Intorno al 1930 è stata scoperta una nuova tecnologia di estrazione, basata sulla fratturazione (fracking) delle rocce che circondano il petrolio, iniettando in profondità acqua addizionata con acidi e con sostanze che ne fanno aumentare la viscosità e che tengono in sospensione della finissima sabbia. Una tecnologia che richiede grandi quantità di acqua, circa 200 litri per ogni tonnellata di petrolio recuperato. La stessa tecnologia permette anche di estrarre grandi quantità di gas naturale pure intrappolato negli scisti sotterranei.
Migliaia di pozzi, ciascuno capace di estrarre una quantità limitata di petrolio, si sono sparsi in tutto il vasto territorio degli Stati Uniti e il petrolio così estratto ha permesso di diminuire le pesanti importazioni americane di questa essenziale materia prima. Gli alti prezzi internazionali hanno fatto felice anche la Russia che ha potuto esportare petrolio e gas naturale con forti guadagni. In parallelo con questa ondata di felicità merceologica americana il mondo è andato cambiando; i principali paesi importatori occidentali sono stati investiti da una crisi che ha spinto a ridurre i consumi di petrolio e di gas facendo diminuire i guadagni di tutti i paesi esportatori.
È arrivata presto la reazione dei paesi del Golfo Arabico, specialmente l’Arabia Saudita, e degli altri paesi esportatori di petrolio, che fanno parte di una organizzazione chiamata Opec. Per poter continuare a vendere petrolio bisognava incoraggiare i consumi dei paesi esportatori diminuendo il prezzo che è sceso da circa 100 a meno di settanta dollari al barile. Grande dolore per le società americane perché, con questi prezzi, non risulta più conveniente estrarre petrolio dagli scisti. Come se non bastasse, su questa industria si sono abbattute altre sventure di natura ambientale.
Si è accennato che per frantumare le rocce contenenti petrolio e gas, bisogna iniettare sotto pressione acqua e sabbia; i forti prelievi di acqua dai fiumi e dal sottosuolo hanno spinto gli agricoltori a protestare perché restava meno acqua per l’irrigazione e il petrolio si rivelava nemico del mais. Non solo; l’acqua che ritorna in superficie è inquinata da varie sostanze chimiche e acidi e l’agenzia ambientale americana ha imposto di sottoporre tali acque a costosi processi di depurazione prima che vengano restituire ai fiumi e alle falde sotterranee, con ulteriore aumento dei costi di estrazione del petrolio.
Come se non bastasse, è aumentato il prezzo della speciale sabbia che è richiesta per le perforazioni e il fracking in ragione di circa 50 chili per ogni tonnellata di petrolio recuperato. Non si può usare la sabbia di fiume o di mare ma occorre usare quella ricavata da rocce arenarie che devono essere frantumate e lavate fino a ottenere granuli sferici del diametro fra 0,1 e 0,3 millimetri. I bassi prezzi internazionali del petrolio e questi ulteriori intralci ambientali hanno cominciato a far impallidire il sogno una “Arabia Saudita americana”. Molte società petrolifere stanno abbandonando l’estrazione di petrolio dal fracking degli scisti, una tecnologia che alcuni speravano di applicare anche in alcuni paesi europei.
Sembrano piccoli lontani problemi, visti con gli occhi di chi, come noi italiani, si chiede soprattutto quanto spenderà per il pieno di benzina o gasolio o per il riscaldamento dell’imminente inverno. Ma queste lotte fra giganti mondiali del petrolio hanno enormi conseguenze economiche; alcuni guadagnano speculando sul temporaneo basso prezzo del petrolio; altri perdono improvvise fortune industriali e finanziarie, centinaia di miliardi di euro ogni anno che si volatilizzano con le speranze del petrolio da fracking. Il tutto con conseguenze sul prezzo delle merci e del denaro e, alla fin dei conti, sulla nostra stessa vita. Come direbbe Humphrey Bogart: è la globalizzazione, bellezza!
lio grippi dice
un’unica soluzione, sbrighiamoci con le energie alternative…o il mondo morirà e non solo di freddo….