C’è un’Italia che la geografia politica e amministrativa ignora, un’Italia di piccole patrie, anzi màtrie (come la lingua-madre e la terra-madre), sub-regioni, terre identitarie, bioregioni, case comuni, nicchie linguistiche, luoghi omogenei per ambiente o per storia o per cultura, talvolta grandi come piccole regioni, talvolta piccole come lo spazio che lo sguardo può abbracciare da un campanile; c’è un’Italia dove prossimità e vicinato forse vogliono dire qualcosa e il locale è un portato di cultura quando, però, non degrada nel localismo, in uno spazio meschino di paura e chiusura, in uno spazio di autocompiacimento attraverso la costruzione dell’altro, il foresto, l’estraneo, lo straniero; c’è un’Italia fatta di molte terre, più grandi dei singoli comuni meno dei territori amministrativi, multicolore come l’abito di Arlecchino dove, però, nessun rombo è uguale agli altri; un’Italia che tutti conoscono e forse per la prima volta qui viene rappresentata. Un’Italia composta di terre, di màtrie definite nel tempo per ragioni di omogeneità ambientale, per questioni di storia politica laica o ecclesiastica (le diocesi), intorno alla diffusione di una lingua locale o di una sua declinazione, separate da fiumi o dislivelli, o da coste e crinali o da altri confini meno visibili, meno reali, eppure veri per l’incidenza che hanno avuto nella vita delle persone e nella costruzione degli immaginari locali.
Anche questa seconda edizione è inevitabilmente incompleta e approssimativa, con numerose informazioni da rivedere, imprecisioni da correggere; ma è anche un’occasione per iniziare una riflessione su quei territori che in qualche misura definiscono un’appartenenza locale per ambiente, immaginario, lingua, abitazione, desiderio (jus cordis, questo è ciò che dovrebbe bastare per essere o diventare nativi di un luogo: né jus sanguinis né jus soli, solo jus cordis), e permettono ai membri di una collettività di dire ‘io vengo da…’, ‘io vivo in…’; è una prima edizione per la quale mi aspetto critiche costruttive, osservazioni, proposte di integrazione, inclusione, modifica. Insomma, lettrice o lettore, ti chiederei di non affliggermi per le imprecisioni che certamente troverai, ma di scrivermi i tuoi suggerimenti (qui: ), così, in prospettiva di una nuova, prossima edizione, gli errori li correggeremo insieme.
L’idea viene da lontano, dai primi anni 1980, quando, attraverso la rivista Etnie, avevo trovato una carta – ‘Aproximació a l’Europa de les Nacions’, realizzata dal Centre Internacional Escarré per a les Minories Ètniques i les Nacions (ciemen) di Barcellona – che aveva intercettato la mia attenzione, richiamandomi su un altro modo di pensare l’Europa e, più in generale, di suddividere lo spazio geografico al di qua dei sistemi ufficiali di ordinamento. Questa idea, da adattare su altri criteri all’Italia, l’ho accarezzata più volte fino a decidere – durante la clausura del 2020 – di darle una forma definita, placando nello stesso tempo una spiccata propensione alla pignoleria. Sì, perché ne serve tanta, di pignoleria, per collocare e scontornare i 7.982 comuni che compongono l’Italia e disegnare oltre cinquecento partizioni territoriali (per la precisione, 581).
La definizione territoriale è stata fatta in minima parte sulla base delle mie conoscenze, un po’ sulle indicazioni ricevute da corrispondenti degni di fiducia, soprattutto sui dati rilevati attraverso l’Enciclopedia Treccani, Wikipedia e altri siti; ed è stata ottenuta usando come unità di aggregazione i confini dei singoli comuni, sia quelli interamente coinvolti nella definizione di una terra, sia quelli per i quali è interessata solo una parte, la prevalente, del territorio municipale. Per alcune aree d’Italia ho proposto una suddivisione più dettagliata, per altre meno: questo dipende solo dalla quantità di dati raccolti e conferma il carattere approssimativo di questa prima edizione. C’è ancora da osservare che la maggior parte delle suddivisioni territoriali messe in evidenza rientra nella categoria delle terre identitarie, delle màtrie o come altrimenti piaccia chiamarle, ma alcune sono solo circoscrizioni amministrative (come lo sono, per esempio, certe ‘unioni di comuni’) o nascono da una politica promozionale e turistica (così le varie coste e riviere, ancora per suggerire un esempio) oppure sono espressione di una matrice socio-urbanistica che esula dai riflessi identitari (penso alle conurbazioni, alle cinture e ai retroterra urbani), e queste ultime categorie – amministrative, promozionali, urbanistiche – le ho aggiunte solo dove non ho trovato traccia di terre identitarie per il piacere di campire l’intera penisola senza lasciare spazi vuoti.
Ora alcune osservazioni sulle carte, preparate grazie alle basi dei confini comunali fornite nel 2012 da Vincenzo Stornanti.
Nella perimetrazione delle terre, sono stati affrontati diversi problemi, primo fra i quali l’incertezza sui confini e, in alcuni casi, la mancanza di accordo fra chi a vario titolo se ne è occupato e ancora oggi ne dibatte: forse esiste una definizione univoca e concorde di Barbagia o di Terra di Lavoro? Senza contare, poi, che alcune terre si intersecano, si sovrappongono, sfumano l’una nell’altra, a volte totalmente o parzialmente incapsulate, così che non sempre si può affermare con serenità se un comune sia da includere in un territorio piuttosto che in un altro. Di fronte a questi problemi, potevo scegliere di presentare le differenti interpretazioni rilevate, oppure – ho scelto così – tentare una prima approssimazione.
La localizzazione sulle carte dei capoluoghi delle singole màtrie – vuoi perché così sono concordemente riconosciuti (nessuno dubiti che il capoluogo dell’Abbiatense sia Abbiategrasso o quello del Fucino Avezzano), vuoi perché sono i più popolosi o quelli dove hanno sede le istituzioni amministrative locali – di solito non corrisponde alla loro reale posizione ma è indicativamente segnata al centro del perimetro comunale. I nomi delle terre sono scritti con forme e misure differenti, non per sottolineare una differente importanza, ma solo in relazione allo spazio disponibile. I cerchi indicano i capoluoghi delle province amministrative; i punti neri, i capoluoghi o centri principali delle singole terre.
Alcune osservazioni sui testi.
I territori sono chiamati regioni quando hanno un’estensione superiore ai 1.000 km2 e terre quando sono di estensione minore. A volte si parla anche di circondario, conurbazione o, più genericamente, di territorio.
Nei titoli delle singole schede ho messo in evidenza gli accenti tonici solo quando, nelle parole terminanti con vocale, non cadono sulla penultima sillaba.
I nomi in maiuscoletto all’interno delle singole schede rinviano ad altre voci del repertorio.
Per i nomi dei corsi d’acqua, l’indicazione ‘fiume’ o ‘torrente’ è normalmente considerata implicita.
Le schede sono sintetiche e riportano pochi dati: la regione e la provincia amministrativa nella quale la màtria è inclusa; un accenno ai territori confinanti (in genere due territori situati in posizione opposta, per esempio: una a nordest e uno a sudovest); il numero dei comuni che interamente o prevalentemente la compongono; un capoluogo (una località centrale o principale).
Ancora un’ultima, modesta osservazione.
Ha senso parlare di màtrie e terre identitarie nell’era declinata alla globalizzazione? C’è il rischio che il loro riconoscimento possa essere usato per ravvivare retoriche di nostalgia e rinforzare voglie di separazione o campanilismi da strapaese? Sono domande che mi sono posto più volte durante l’intera ricerca: alla prima non so rispondere con certezza; quanto al rischio evocato nella seconda… sì, lo vedo.
Comunque, al di là dei rischi di fraintendimento, credo che ripensare le geometrie del creato e della cultura sulla base dei saperi condivisi, delle conoscenze comunitarie, dell’immaginario popolare – penso, per esempio, ai sistemi di sopranominazione personale e familiare vs l’anagrafe pubblica1 o alle tassonomie popolari vs quella linneiana o a tutto quanto lasci trasparire un recupero di dignità dello sguardo sul mondo prevalentemente innervato sull’oralità rispetto a quello su cui pesa il monopolio della scrittura – sia necessario per la crescita di una sensibilità profondamente democratica e altrettanto utile per mantenere aperto il respiro della poesia.
È possibile acquistare la Carta delle MATRIE su edizionitemposospeso.it (formato 70×100 plastificata, 25 euro, spese di spedizione comprese)
1M. Angelini, L’enigma Garibaldo, Pentàgora, 2012: 169 ss.
Paolo Luchi dice
Interessantissimo
fabrizia paloscia dice
Utilissimo questo lavoro!! Di matrie abbiamo bisogno, da disegnare ancora più specificatamente
Mauro Vaiani dice
Davvero un lavoro pregevole e utile a far conoscere un nuovo territorialismo. Con il consenso degli autori ne parleremmo volentieri su https://www.autonomieeambiente.eu
Laura Leotta dice
In quest’epoca di spinta all’anonimato e volontà anche politica di gentrificazione dei contesti urbani importantissimo questo studio!
Carlo Jacomini dice
Noi indigeni (intesi come popoli autoctoni senza rappresentanza in parlamento, come da definizione ONU) abbiamo bisogno di queste carte, grazie di averla prodotta!
ondarossa dice
Una intelligente iniziativa per capire meglio come siamo tutti diversi, ma come dovremmo essere uniti per gli stessi obiettivi. Pace, diritti sociali e civili, giustizia, uguaglianza, inclusione.
Tutti disattesi già da troppo tempo, ed oggi in particolare calpestati dalle classi dominanti.
https://proletaricomunisti.blogspot.com/2023/10/pc-29-ottobre-allinsegna-di.html
Articolo chiarificatore sulla mappa degli abusi.
associazione coltivarete dice
grazie per il lavoro certosino che ci ha donato
e per questo diverso e sicuramente necessario . di vista con il quale ha saputo costruire questa nuova cartografia
Roberta Ferruti dice
Io ho la prima edizione e l’ ho trovata molto bella. Mi ha sempre appassionato il bioregionalismo e questa pubblicazione mi ha veramente sorpreso. Grazie
agostino dice
Trovo il progetto molto interessante e utile. Tutti i dubbi sul cosa potrebbe suscitare si sciolgono, a mio modesto avviso, a seconda di come s’intendano i confini. La geopolitica li ha creati per dividere, l’allevatore dei Tratturi per unire. Uomini letterati come Erri De Luca o Paolo Rumiz hanno dato esempio di come, seguendo i confini, si uniscano i luoghi e una nazione fatta di tanti paesi diventi un solo luogo. Grazie per questo meraviglioso lavoro.