“Insorgiamo” fu il motto dell’insurrezione partigiana di Firenze, a chiamare sono i lavoratori e lavoratrici GKN, licenziati tutti dal fondo speculativo inglese proprietario della fabbrica. E a Firenze, sabato prossimo, arriveranno in tanti e tante da tutta Italia: non solo per difenderli, ma per difenderci insieme

Abbiamo chiesto un percorso che passi per i viali. E se questo a chi è fuori di Firenze, forse dice poco, basti dire che i viali sono stati chiesti circa 20 anni fa. Quando in campo c’era un movimento internazionale che diceva che un altro mondo è possibile. E oggi noi siamo chiamati a dire che per questa vertenza un altro finale è possibile.
Questa volta no! Questa volta no! Questa volta no!
Non osate far partire quelle lettere e ritirate i licenziamenti. Non permetteremo alle istituzioni di deresponsabilizzarsi dalla distruzione di 500 posti di lavoro. Nè di fare una delocalizzazioni finta per fare uno spot elettorale Nè di distruggere questa fabbrica con le finte promesse di reindustrializzazione o con la lenta agonia degli ammortizzatori.
Noi non abbiamo scelta. Stiamo facendo serenamente tutto ciò che possiamo per difendere la nostra famiglia. Dove per famiglia non vanno intesi solo i nostri parenti, le nostre figlie e figli, i nostri partner. Per noi è famiglia tutta questa fabbrica e il territorio attorno. Sono famiglia i disoccupati, precari, le finte partite iva. È famiglia chi ha un lavoro ma non un vero stipendio e chi per raggiungere uno stipendio decente deve ammazzarsi di lavoro.
La nostra famiglia l’ha capito ed è insorta a nostra difesa. E noi vi continuiamo a chiamare ad insorgere. Ognuno con le proprie istanze, le proprie rivendicazioni, consapevoli che per vincere qua bisogna cambiare i rapporti di forza nel paese. E se i rapporti di forza cambiano, cambiano per tutti.
Noi non abbiamo scelta, voi sì! Voi tutti avete una scelta: potete vivere questa nostra vertenza come una delle tante crisi che ci sono e che ci saranno o decidere che questa volta la misura è colma per tutti e che
QUESTA VOLTA NO!
E allora, noi resistiamo se voi spingete e se voi spingete noi resistiamo.Preparate i pullman, contate le macchine, annullate qualsiasi impegno.
Fate girare la parola, condividete i messaggi. Diventate un fiume in piena e che i viali di Firenze ne siano gli argini.
Di sabati ce ne saranno tanti, di cose da fare ce ne saranno tante, di metalmeccanici licenziati ce ne sono stati tanti e purtroppo tanti ancora ce ne saranno. Ma di occasioni per scrivere un pezzetto di storia, ne capitano poche nella vita. E se alla fine di tutto questo nostro percorso, l’unica cosa che avremo ottenuto sarà fargli tornare la paura di toccare la nostra famiglia, avremo comunque ottenuto qualcosa.
I materiali da scaricare, stampare e diffondere: https://we.tl/t-hU5nGT5rVG
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Alessandra Algostino; ordinario di diritto costituzionale, UniTo. Sul diritto di riunione.
La libertà di riunione è essenziale in una democrazia, consente l’espressione, in forma pubblica e collettiva, della manifestazione del pensiero, garantisce il “diritto di protesta”, ovvero quel dissenso che di una democrazia costituisce elemento imprescindibile e necessario (Bobbio). La Costituzione, all’art. 17, si premura di garantirla in senso ampio, limitandosi a stabilire che sia pacifica e senz’armi. L’unico adempimento che viene previsto, per le riunioni in luogo pubblico (una via, una piazza), è la previa comunicazione all’autorità di pubblica sicurezza almeno tre giorni prima dello svolgimento della riunione. La Costituzione è chiara: la libertà di riunione è un diritto non una concessione; in questa prospettiva si ragiona semplicemente di obbligo di preavviso e quest’ultimo è da intendersi come comunicazione e non come una richiesta di autorizzazione. L’autorità di pubblica sicurezza può vietare la riunione solo ed esclusivamente «per comprovati motivi di sicurezza o di incolumità pubblica» (art. 17, c. 3, Cost.). Il costituente insiste: vi devono essere motivi specifici e determinati, questi devono essere “comprovati” e relativi alla singola riunione. Non possono essere addotte ragioni generiche di ordine pubblico o, in presenza dello stato di emergenza sanitaria, di prevenzione dal contagio; quest’ultimo può motivare, come risulta anche dalla normativa relativa al Covid-19, solo la richiesta di osservare le misure di distanziamento e di contenimento previste (condizioni proporzionate e ragionevoli alla luce della presenza dell’epidemia). La sicurezza è «sicurezza dei cittadini», non «sicurezza delle autorità»: non può esondare sino a confondersi con la tutela di interessi particolari o coprire l’area di tutte le decisioni politiche di maggioranza, sommergendo qualsiasi diritto alla protesta. La democrazia, consapevole dei rischi che il principio di maggioranza veicola, tutela le minoranze, e la sua essenza, come detto, sta nella garanzia del dissenso, del pluralismo e del conflitto. Per una precisazione sul tema, è utile citare alcuni passaggi di una sentenza del TAR Lazio: dato che «l’esercizio della libertà di riunione… non richiede alcuna preventiva autorizzazione dell’autorità di pubblica sicurezza, ma il solo preavviso», «un provvedimento amministrativo che intenda disciplinare ex ante le modalità di svolgimento delle riunioni in luogo pubblico, comprimendo incisivamente la libertà di formazione dei cortei, si presenta già di per sé illegittimo»1. Si integra «evidentemente» una violazione dell’art. 17 Cost. quando si «tende a sostituire al regime costituzionale di tendenziale libertà un regime amministrativo in cui alla valutazione da compiere “a valle” circa la eventuale sussistenza di comprovati motivi che giustificano il divieto, subentra una valutazione compiuta “a monte” di incompatibilità tout court di determinate modalità di svolgimento delle riunioni in luogo pubblico»2. Il giudice amministrativo del Lazio ricorda, inoltre, come, in caso di divieto, «occorre fornire una indicazione particolarmente rigorosa e coerente dei presupposti a base della determinazione adottata»3, in relazione alla singola manifestazione.
1) TAR Lazio, sez. I, sent. n. 01432 del 2012 (similmente, cfr. anche sent. n. 01433 del 2012), nelle motivazioni dell’annullamento delle ordinanze (17 ottobre 2011 e 18 novembre 2011) con cui il sindaco di Roma disponeva che le manifestazioni pubbliche potessero tenersi solo in forma statica in alcune aree predeterminate e/o svolgendosi in determinati giorni e seguendo gli itinerari previsti nell’ordinanza.
2) TAR Lazio, sez. I, sent. n. 01432 del 2012, cit.
3 TAR Lazio, sez. I, sent. n. 01432 del 2012, cit.