
Quando l’ex sindaco di Mardin, Ahmet Türk, noto esponente del partito Dem (ex HDP) ha letto con evidente emozione, prima in turco e poi in curdo, il messaggio del leader del popolo curdo, Abdullah Öcalan, incontrato in carcere il giorno prima, tutti hanno capito che quella Conferenza stampa di fine febbraio 2025 entrava nella storia. Già nei minuti e nelle ore successive si è radunata ovunque una folla immensa: nelle città a maggioranza curda della Turchia, ma anche in tanti centri grandi e piccoli dell’Iraq, della Siria e del Rojava. E tutti e tutte, curdi e osservatori internazionali, sono già consapevoli che forse si sta aprendo una nuova fase, più umana e meno cruenta, nei rapporti tra il popolo curdo e lo Stato turco.
Il “forse” è d’obbligo: perché nell’Akp, il partito al potere del presidente turco Erdogan, non sono pochi (a cominciare dallo stesso presidente del partito Efkan Ala) quelli che spingono per cancellare i curdi come popolo e vorrebbero invadere in particolare la libera comunità del Rojava, abitata da circa 6 milioni di persone e situata nella Siria nord-orientale.
Che possa adesso avviarsi una dinamica di effettiva pacificazione è però davvero possibile. Non perché Erdogan e il suo alleato di governo Devlet Bahceli, che sta ancora più a destra di lui, siano diventati improvvisamente pacifisti e magari ragionevolmente aperti ai diritti del popolo curdo; ma piuttosto perché la situazione del Vicino Oriente è divenuta talmente ingarbugliata e pericolosa che neppure il regime turco, nazionalista e militarista come pochi altri, ce la fa a reggere contemporaneamente le molte linee di contrasto che lo stringono. Ha infatti, attorno a sé, un poco affidabile alleato jihadista al potere in Siria e una Iran scita e teocratica, da sempre in competizione con Ankara per la guida politico-militare del mondo musulmano; come pure ha da fronteggiare Israele, già emersa come la potenza più cinica, forte e aggressiva di tutta l’area e l’ingombrante vicino russo, che sta uscendo sostanzialmente vittorioso dalla guerra in Ucraina. In un simile contesto, continuare ad avere anche “la guerra in casa” ha evidentemente preoccupato più di un governante turco, al punto che è successo, da tre mesi a questa parte, persino l’impensabile: è stato addirittura l’alleato-falco di Erdogan, quel Bahceli che proviene dai famigerati “lupi grigi”, ad aprire al dialogo di pacificazione coi curdi per chiudere uno dei conflitti più lunghi della storia moderna.
E l’unica cosa sensata da dire è: finalmente! Dopo oltre quarant’anni di sanguinose repressioni turche e di indomita resistenza curda – secondo le stime più attendibili ci sono stati circa 50mila morti -, era ora.
In verità, il leader curdo (di cui è complicato scrivere il nome sui social perché si viene bloccati per settimane), che è sottoposto da 27 anni a un ferreo regime di isolamento carcerario, solo a sprazzi allentato, aveva già prospettato a più riprese al governo turco – per esempio nel 2013 – di “far tacere le armi e lasciar parlare le idee”. E lo ha riproposto oggi con la tempestività necessaria, rispondendo in positivo alle ancora poco chiare aperture del governo. E per di più ha accompagnato la sua risposta con una mossa davvero spiazzante, e cioè con l’abbandono unilaterale della “voce delle armi” e addirittura con lo scioglimento formale del Partito PKK (Partito dei lavoratori curdi), che ha incarnato la resistenza in questi anni. Egli ha messo, così, la parola “pace” al primo posto. E lo fa da una evidente posizione “di forza”: perché in questi quarant’anni la Turchia non ci è riuscita per nulla ad annientare i curdi. E anzi, la pratica rivoluzionaria del popolo curdo si è significativamente ampliata al progetto e alla pratica reale del Confederalismo democratico, ovvero alla convivenza di più popoli, etnie e soggettività all’interno di un comune “spazio democratico”, con una larga autogestione politica, culturale ed economica.
E credo che sia arcinoto come a tale inedito sviluppo abbia dato un contributo decisivo proprio il leader del popolo curdo, coi suoi ormai voluminosi scritti dal carcere, scritti che sono di una lucidità teoretica e di una forza politica straordinarie. Di lui si può già dire che è, tutto assieme, il Nelson Mandela e l’Antonio Gramsci del XXI secolo.
Di seguito lo storico appello del 25 febbraio 2025:
Appello per la pace e la società democratica
ll PKK è nato nel XX secolo, il secolo più violento della storia, caratterizzato da due guerre mondiali, dal socialismo reale e dalla guerra fredda vissuta a livello globale, in un contesto segnato dalla negazione della realtà curda e dalle restrizioni delle libertà, in particolare della libertà di espressione.
Dal punto di vista della teoria, del programma, della strategia e delle tattiche, è stato fortemente influenzato dal sistema del socialismo reale.
Negli anni ’90, con il crollo del socialismo reale per cause interne, lo scioglimento della negazione dell’identità nel paese e i progressi nella libertà di espressione, il PKK ha perso il suo significato iniziale, portando a un’eccessiva ripetizione. Di conseguenza, come è accaduto ad altri movimenti simili, ha completato il suo ciclo ed è diventato necessario il suo scioglimento.
Le relazioni tra curdi e turchi, nel corso di oltre mille anni di storia, sono sempre state caratterizzate da un’alleanza basata sulla volontarietà, considerata essenziale per la sopravvivenza contro le potenze egemoniche.
Negli ultimi duecento anni, la modernità capitalista ha mirato principalmente a distruggere questa alleanza. Le forze coinvolte, sulla base dei loro interessi di classe, hanno lavorato per raggiungere questo obiettivo. Con le interpretazioni moniste della Repubblica, questo processo si è accelerato. Oggi, la missione principale è ricostruire questa relazione storica, ormai fragile, nello spirito della fratellanza e senza escludere le credenze.
La necessità di una società democratica è inevitabile. Il PKK, il più lungo e ampio movimento insurrezionale e armato della storia della Repubblica, ha trovato forza e sostegno principalmente a causa della chiusura dei canali della politica democratica.
Le conseguenze inevitabili di un nazionalismo estremo – come la creazione di uno Stato-nazione separato, una federazione, un’autonomia amministrativa o soluzioni culturaliste – non rispondono alla sociologia storica della società.
Il rispetto per le identità, la libertà di espressione e l’organizzazione democratica di ogni segmento della società, basata sulle proprie strutture socio-economiche e politiche, sono possibili solo attraverso l’esistenza di una società e di uno spazio politico democratici.
Il secondo secolo della Repubblica potrà garantire una continuità stabile e fraterna solo se sarà coronato dalla democrazia. Non esiste alternativa alla democrazia nella ricerca e realizzazione di un sistema politico. Il consenso democratico è il metodo fondamentale.
Anche il linguaggio dell’epoca della pace e della società democratica deve essere sviluppato in linea con questa realtà.
Nell’attuale clima politico, influenzato dall’appello del signor Devlet Bahçeli, dalla volontà espressa dal Signor Presidente e dagli approcci positivi delle altre forze politiche, faccio un appello per la deposizione delle armi e mi assumo la responsabilità storica di questo appello.
Come farebbe volontariamente qualsiasi comunità o partito moderno la cui esistenza non sia stata abolita con la forza, convocate il vostro congresso e prendete una decisione: tutti i gruppi devono deporre le armi e il PKK deve sciogliersi.
Rivolgo i miei saluti a tutti coloro che credono nella convivenza e che accolgono il mio appello.
25 febbraio 2025
Abdullah Öcalan
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