Sono 6.633 i comuni italiani in cui sono presenti aree a rischio idrogeologico, l’82% del totale. Una fragilità che risulta particolarmente elevata in regioni come Calabria, Molise, Basilicata, Umbria, Valle d’Aosta e nella Provincia di Trento, dove il 100% dei comuni è classificato a rischio, subito seguite da Marche e Liguria (col 99% dei comuni a rischio) e da Lazio e Toscana (col 98%). Ma la dimensione del rischio è ovunque preoccupante, con una superficie delle aree ad alta criticità geologica che si estende per 29.517 Kmq, il 9,8% del territorio nazionale. In Italia oltre 5 milioni di cittadini si trovano ogni giorno in zone esposte al pericolo di frane e alluvioni.
I numeri emergono dalla conferenza nazionale sul rischio idrogeologico in corso a Roma, che vede confrontarsi associazioni, sindaci, ordini professionali, tecnici ed esperti con l’obiettivo comune di trovare soluzioni alle emergenze del Paese. L’obiettivo è accendere l’attenzione della politica su questi temi sottoponendo le proposte, che usciranno da questo appuntamento, ai candidati alle prossime elezioni e al nuovo Governo, visto che l’anno che si è appena concluso ha evidenziato le conseguenze dei cambiamenti climatici su un territorio reso vulnerabile dall’eccessiva antropizzazione e dalla mancanza di manutenzione.
La novità dei fenomeni meteorologici sempre più intensi, concentrati in poche ore e su aree circoscritte, con alluvioni e danni anche in aree non eccessivamente antropizzate, dimostrano la necessità di considerare i loro effetti per pianificare e programmare le politiche territoriali nei prossimi anni.
Il messaggio principale dell’appuntamento odierno è che le politiche per la mitigazione del rischio idrogeologico non si possono limitare all’attuazione di interventi puntuali, ma serve un’azione nazionale di difesa del suolo che rilanci, come peraltro previsto dalle direttive europee, il bacino idrografico come elemento base per un adeguato governo del territorio, per riprogettare un’azione urgente, efficace e concreta per la mitigazione del rischio, la prevenzione e l’avvio di un’efficace azione di rinaturazione diffusa. Necessari strumenti, priorità d’intervento e risorse economiche adeguate, senza dimenticare l’attività di informazione e formazione dei cittadini su questi temi.
Si chiede in sostanza di superare la logica dell’emergenza che ha caratterizzato l’azione delle istituzioni in questi ultimi dieci anni, che non ha permesso l’applicazione delle importanti direttive ”Acqua” e ”Rischio alluvionale”. L’attuazione di tutto questo non solo produrrà un beneficio in termini di sicurezza, ma anche come rilancio occupazionale ed economico dei territori. Il debito pubblico e lo spread non possono rappresentare le motivazioni per non intervenire in questo settore, per il quale è necessario trovare meccanismi finanziari adeguati. Infatti, per attivare questi programmi è necessario un supporto tecnico qualificato e diffuso localmente, prevedendo la possibilità di attivare l’intervento anche di addetti del settore agricolo e forestale, piuttosto che dell’edilizia con la possibilità di creare nuova occupazione.
Governo del territorio e bacini idrografici, manutenzione e rinaturazione, semplificazione normativa, reperimento e continuità delle risorse economiche per un’efficace politica di prevenzione, sono quindi le principali criticità da affrontare attraverso un nuovo approccio al problema, un approccio scientifico, adeguato alle novità e ai cambiamenti in atto che proprio la conferenza di oggi vuole inaugurare.
(Ampi stralci di un articolo pubblicato da Adnkronos.com)
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