Se il 58esimo Rapporto Censis fotografa una società stanca e impaurita che ha bisogno di cambiare strada, la nuova campagna promossa dagli enti del Servizio civile mostra come c’è chi non rinuncia a ribellarsi facendo, mettendo al centro azioni di cura, accoglienza, partecipazione, a cominciare dall’universo dei giovani

Il 58° Rapporto Censis non ce la fa più a dire bene degli italiani, dello stato del paese, della radiosità del futuro. Cerca nei numeri e trova inciampi, cerca nei programmi di governo e si imbatte in promesse non mantenute, scava nelle ideologie liberali e ne estrae carcasse non più servibili. Ci siamo nutriti del mito del progresso, ci dicono Massimiliano Valerii e Giorgio De Rita, e negli ultimi quindici anni, visto che non arrivava, abbiamo camminato rasente i muri, atteso, galleggiato, ma ora è arrivato il momento di muoversi, di cambiare strada anche se non siamo più attratti da un ideale, piuttosto spinti da una necessità. La teleologia finalistica delle magnifiche sorti e progressive che ci offriva la crescita come obiettivo salvifico ha cambiato genere, non abbiamo più un fine, ma vediamo la fine.
Quanto vale il futuro?
Il Censis, come di consueto, usa un “noi” che vorrebbe comprendere l’intera società, ma si capisce che in realtà il ceto borghese che ne dovrebbe essere il fulcro è sempre più rosicchiato e sperso, mentre troppi elementi fuoriescono dallo schema, in cui proliferano sacche di povertà, fasce fragilizzate, giovani precarizzati e assume un ruolo strutturalmente (e incredibilmente) positivo il crescente sommerso da 200 miliardi e 3 milioni di addetti che, tra “nero” e “fuorilegge” contribuisce a mantenere a galla il sistema.
La cornice istituzionale della presentazione e il garbo misurato del racconto non riescono a rassicurare. Si ha piuttosto l’impressione che lo struzzo abbia da così tanto tempo il capo sotto la sabbia da non saperlo più tirare fuori. Se a tutto questo si aggiunge la farsa drammatica di una ricchezza che viene dall’accumularsi delle eredità su un sempre più limitato numero di eredi, si tocca con mano il sollievo mortifero della fine. La società non va avanti, ma ci riusciamo a galleggiare dentro, non protegge e non tutela, ma l’accumularsi dei lasciti salvaguarda i fortunati, esclude e dimentica, salvo affidarsi all’economia “irregolare”.
Siamo di fronte alla fine? Si ma l’apocalisse non è “del mondo”, ci ricorda Valerii chiamando in soccorso l’antropologo Ernesto De Martino, ma del “nostro” mondo.
E qui serve un cambio di scena, due tre giorni dopo la presentazione del rapporto Censis, al CSV Lazio le maggiori reti degli Enti di Servizio Civile Universale presentano la campagna Quanto vale il futuro? in cui, contrastando la spinta competitiva che ancora oggi governa questo istituto, sposano i principi della scelta partecipativa e nonviolenta su cui il Servizio civile si fonda, per ribadire come sia necessario un investimento certo perché il Servizio civile si confermi l’occasione per dare a circa 60.000 giovani ogni anno la possibilità di vivere un’esperienza di emancipazione personale all’interno di una messa al servizio civica, sociale, culturale e professionale. Gli enti della Cnesc, del CSVnet e del Forum (più tutti quelli che vorranno aderire alla campagna, è possibile farlo qui) insieme alla rappresentanza dei giovani operatori volontari, hanno chiesto al governo “Più servizio civile per investire nei giovani e nel bene comune”.
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Un modo concreto per rispondere con un gesto di responsabile partecipazione alla domanda che De Martino ci pone: “Può finire il mondo?”, rispondendoci che già porsi la domanda è immettersi in una china disperante che non genera nuova linfa e chi lo fa, lo fa “sottraendosi all’unico compito che spetta all’uomo, cioè di essere Atlante, che col suo sforzo sostiene il mondo e sa di sostenerlo”.
Rigenerare l’umanità delle nostre comunità
È bella questa consapevolezza, pulisce il cielo dirsi che sì, il mondo può finire, ma solo se cessiamo di dissodarlo, di prendercene cura, di riportarlo alle sue idealità di essere mondo: luogo di accoglienza e tutela per tutti e ciascuno dei suoi abitanti, delle sue creature, dei suoi esseri. Il mondo di chi si chiude nelle certezze suprematiste, identitarie, nazionaliste è l’inferno che ci circonda, che esplode in guerre e si rinchiude in prigioni, così protervo nelle sue certezze da non riconoscersi neanche per l’abisso che è. Ma il mondo dell’accoglienza, del rispetto e della cura, quello che, come ci dice Calvino, si valorizza con il discernimento, rintracciandolo nel mezzo dell’inferno e ridandogli valore, facendogli spazio, quello possiamo insistere a farlo crescere, semplicemente, credendo nella nostra umanità. E allora, come Atlante, affrontiamo pure la fatica di “tenere il mondo” rinnovando e rinforzando le strutture che permettono più presente per i giovani, più bene comune, più coraggio di abbandonare le mediocrità di una società che per paura di non avere per sé si permette di negare agli altri il gesto dell’accoglienza. Ma diversamente da Atlante questa è l’azione di una moltitudine di lillipuziani, di minute azioni capillari che agiscono localmente per rigenerare il senso di umanità delle nostre comunità. Per un sereno confronto con l’Apocalisse.
Pubblicato su retisolidali.it con il titolo “Il 58esimo Rapporto Censis e gli italiani annuvolati di fronte all’Apocalisse”
Desidero partire da questa considerazione positiva che Claudio scrive: “È bella questa consapevolezza, pulisce il cielo dirsi che sì, il mondo può finire, ma solo se cessiamo di dissodarlo, di prendercene cura, di riportarlo alle sue idealità di essere mondo: luogo di accoglienza e tutela per tutti e ciascuno dei suoi abitanti, delle sue creature, dei suoi esseri.”
Solo pensando e agendo con ottimismo si può tentare di uscire dal cataclisma di guerre, violenze e povertà. 🌸
Quanto vale il futuro? E’ monetizzato anche quello, in un periodo che il futuro fa el nosstro territorio, l’unico in cui abbiamo possibilità di azionepaura? Il poeta contadino Wendell Barry esortava a tornare dal fututo al presente, qui e ora, n
Correggo il precedente, decompostosi: Quanto vale il futuro? E’ monetizzato anche quello, in un periodo in cui il futuro fa paura ed anzi sembra non esistere più come certezza? Il poeta contadino Wendell Berry esortava a tornare dal futuro al presente, qui e ora, l’unico momento e luogo in cui possiamo operare responsabilmente, con l’ausilio di una forza sociale reale qual è la speranza.Aldo Zanchetta
Hai ragione Aldo, il dominio del denaro non conosce limiti, ma come tutte le forme di dominio è alimentato anche dal basso, da tutti noi… Cominciare dal “qui e ora” resta la strada. Ma la forza della speranza significa anche smettere di delegare e mettere in discussione l’ossessione del cambiamento immediato: i cambiamenti profondi richiedono tempo… Grazie Aldo.