«Quando Bloomberg, il sindaco di New York, ha mandato le truppe a distruggere tutto, la prima cosa che hanno effettivamente distrutto è stata la biblioteca. Penso che la cosa sia più che simbolica. È stato un modo per dire alla gente: non potete fare nulla per conto vostro; se volete una biblioteca saremo noi a gestirvela». Naom Chomsky, qui intervistato da Chris Steele, ragiona sulle forme di protesta di Occupy e sulla capacità dei movimenti oggi di diffondere speranza nel cambiamento sociale. Quando i potenti sono in grado di convincere le persone che devono stare nel loro «buco, nulla può essere cambiato», allora i governanti possono controllare la società. La storia dei cambiamenti importanti, osserva Chomsky, avviene quando la gente si libera di questo orizzonte. Movimenti come Occupy sono utili perché hanno due correnti importanti: una orientata alla politica immediata che affronta questioni come «dovremmo fare qualcosa a proposito della disuguaglianza radicale», ad esempio una tassa sulle transazioni finanziarie; l’altra corrente, è quella che crea legami sociali favorendo gruppi di mutuo sostegno e solidarietà.
Sei mesi fa ti ho contattato in rapporto ai provocatori nel movimento Occupy Denver e volevo chiederti dell’attività dei provocatori che è stata riferita in numerose località degli Stati uniti. Puoi offrire alcuni esempi dell’interferenza dei provocatori in passato nei movimenti sociali statunitensi e su chi potrebbe essere dietro di loro?
E’ praticamente ordinaria amministrazione. Ad esempio nel movimento contro la guerra degli anni ’60, ogni gruppo, gruppi di ogni dove, doveva imparare alcune lezioni. Una lezione che dovevano imparare piuttosto alla svelta era che se nel gruppo c’è qualcuno vestito come una versione hollywoodiana di un hippy e va strillando, sai, “Abbasso i poliziotti!” o “Spacchiamo qualche vetrina” o roba simile, con tutta probabilità lo si ritroverà in tribunale a testimoniare a favore della polizia; perché quello è il loro lavoro, sai, trasformare l’attivismo in qualcosa che renderà ostile il pubblico e infrangerà la legge e fornirà un motivo per la repressione. Perciò loro [i provocatori] sono dovunque.
Sono stato coinvolto in gruppi che si occupavano di resistenza, cioè, sai, disertori e persone simili ma abbiamo imparato alla svelta che se c’è qualcosa di davvero delicato che non possiamo fare in un gruppo, dobbiamo farlo in un gruppo di affini, se è in gioco la vita di qualcuno, sai, perché è probabile che ci sia in giro qualcuno che è un informatore e sappiamo che è questo che la polizia fa.
Lo puoi constatare dando un’occhiata ai casi dell’FBI, sono appena venuti fuori con casi di terrorismo. Si tratta quasi sempre di trappole; qualcuno aderisce, entra in contatto con un gruppo di tizi con dei rapporti di tipo non particolarmente stretto, non sa cosa stiano combinando, è confuso e suggerisce loro qualcosa o offre loro dei soldi e nel giro di poco quelli cercano di mettere insieme una bomba fasulla e li si arresta e li si spedisce in galera. Ma è così ordinaria amministrazione che non vale la pena di fornire esempi. E’ semplicemente il normale comportamento della polizia.
Nella tua pubblicazione più recente descrivi l’effetto del teatro e dell’arte in Brasile; pensi che la musica possa dare alla gente un vocabolario politico e un’identità politica che non è inclusa in altri modi nei media?
Sì, certo, ci sono parecchi modi per farlo. In realtà il 99% e l’1% non erano nei media un anno fa. Ora è un dibattito normale con la gente che pensa alle cose in modo diverso da come le vedeva prima, solo nel giro dei pochissimi mesi del movimento Occupy. In effetti, ci sono alcuni sondaggi al riguardo, che forse hai visto; c’è stato un sondaggio Pew che in diverse occasioni ha chiesto agli intervistati “Cosa pensate della disuguaglianza?” e l’interesse per la disuguaglianza è esploso molto rapidamente dopo settembre proprio come effetto … io suppongo sia effetto del movimento Occupy, che ha proprio permeato molto del dibattito tradizionale. Ora anche ciò può essere cooptato; sistemi potenti cercheranno di incorporare quello che vedono funzionare e di trasformarlo in funzione delle proprie necessità; che si tratti di diritti umani o di quel che ti pare, naturalmente è questo ciò che cercheranno di fare. Così, per esempio, dopo le elezioni del 2008, che generarono un mucchio di entusiasmo … proprio dopo le elezioni ci fu in congresso annuale dell’associazione dei pubblicitari, comunque si definiscano, e ogni anno danno un premio alla migliore campagna di marketing dell’anno e quell’anno lo hanno dato a Obama; ha battuto la Apple Computers, e se dai un’occhiata alla stampa finanziaria appena dopo, è interessante; citano dirigenti, direttori generali e via dicendo; sono molto eccitati al riguardo. Hanno detto: “Questo è un nuovo modello di come possiamo comportarci con il pubblico e nella sala del consiglio di amministrazione e così via, e possiamo utilizzare questo modello che ha funzionato così bene nell’illudere il pubblico nelle elezioni del 2008.” Sanno che è stato lui a inventarlo, ma ne hanno ricavato delle lezioni.
L’uso dei diritti umani è un caso molto interessante ma è vero; ci fu un enorme movimento antinucleare nei primi anni ’80, grandi manifestazioni, milioni di persone che cercavano di farla finita con le armi nucleari e l’amministrazione Reagan cooptò furbescamente la cosa. Venne fuori a dire: “Sì, una grande idea e siamo tutti con voi, contro le armi nucleari. Passiamo alle guerre stellari.” E’ così che fecero passare quella roba delle guerre stellari [lo ‘scudo spaziale’ – n.d.t.] e smorzarono il movimento; fecero sembrare che [le guerre stellari] fossero contro le armi nucleari; naturalmente tu sai come stavano le cose ma ovviamente è in questo modo che agiscono. E puoi cambiare il dibattito? Certamente.
Ho citato di aver conosciuto Lula [l’ex presidente del Brasile]. Così, per esempio, accadde prima che fosse eletto, ed era molto popolare; se si guardavano i sondaggi era molto il più in alto, ma non aveva mai vinto un’elezione. Era principalmente a causa della corruzione, sai, le elezioni erano comprate o all’ultimo minuto c’era un’inondazione di annunci propagandistici e così via. A un certo punto gli chiesi se pensava di essere mai in grado di vincere un’elezione se non ci fosse stata la corruzione, eccetera. E lui disse che non pensava sarebbe stato possibile e il motivo era, come disse, che “conosco la mentalità dei contadini; provengo da loro e loro vanno nella cabina elettorale e si chiedono ‘uno come me potrebbe governare un paese?’ e si rispondono di no. Deve essere uno di quei ricchi tizi bianchi. E così anche se vogliono me, voteranno per quegli altri.” Un paio d’anni dopo vinse, la mentalità era cambiata ed è cambiata in tutta l’America Latina. I popoli indigeni, i poveri … è proprio un cambiamento radicale e dunque naturalmente si può fare. E il genere di cosa che mi ha portato a vedere nella periferia, che hai citato, è uno dei modi in cui può essere fatto, e ce n’è una quantità di altri. Intendo dire, in Bolivia, circa nello stesso periodo, circa dieci anni fa, la mobilitazione contro il tentativo di privatizzare l’acqua portò a una vera rivoluzione nel paese. La prima volta in centinaia di anni che la popolazione indigena è stata in grado di entrare nell’arena politica e di impossessarsi del potere politico. E’ piuttosto interessante il modo in cui i governi reagiscono. I governi e le imprese vogliono ancora privatizzare l’acqua, ma hanno imparato che il metodo boliviano è pericoloso perché ha praticamente portato a una rivoluzione, hanno cacciato le grandi industrie e così via. Sono stato di recente nella Colombia meridionale, e quello che il governo colombiano sta apparentemente cercando di fare è eliminare i villaggi o le regioni uno alla volta. Così se arrivi in qualche povero, remoto villaggio in via di estinzione e racconti alla gente una storia su quanto meravigliosa sarà l’acqua se soltanto noi acquistiamo la vostra terra là dove c’è la foresta vergine, forse ottiene che qualcuno accetti la cosa. Anche se sorprendentemente si organizzano e resistono, dal punto di vista dei ricchi e dei potenti la guerra di classe non si ferma mai, è permanente. Sono coinvolti in una costante dura guerra di classe, molto consapevoli di sé stessi; vogliono che nessun altro partecipi ma essere sempre loro quelli che decidono. E’ per questo che sono ricchi e potenti.
Vedi un rapporto tra la Comune di Parigi e il movimento Occupy Wall Street?
Beh, tutti i movimenti popolari hanno qualcosa in comune, ma sono parecchio diversi. La Comune di Parigi si impossessò della città e la governò. Se vuoi trovare un parallelo nella storia statunitense sarebbe più simile a quello che accadde nella Pennsylvania occidentale nell’ultima parte del diciannovesimo secolo, a Homestead, dove le fabbriche e le miniere eccetera avevano un movimento dei lavoratori molto potente all’epoca ed essenzialmente se ne impossessarono. Erano comunità amministrate dai lavoratori; in realtà lo stato dovette chiamare la Guardia Nazionale per distruggerle e non fu facile.
Un altro parallelo con il movimento Occupy che non so quanto bene sia noto è Resurrection City [la Città della Resurrezione]. Non so se qualcuno ne parla, ma è molto significativo. Se si prende la storia del movimento per i diritti civili negli Stati Uniti, diciamo Martin Luther King, grande figura, ma guardiamo cosa successe a King. Se si ascoltano i discorsi nella Giornata di Martin Luther King, finiscono tipicamente con una retorica entusiastica e questa retorica entusiastica finisce nel 1963 con il discorso del “Ho un sogno”.
Beh, ha tenuto un altro discorso nello stile di “Ho un sogno”, un discorso molto eloquente; è stato la sera in cui fu assassinato a Memphis, Tennessee. Era nella città per appoggiare uno sciopero dei netturbini e si stava recando a Washington per cercare di organizzare un movimento dei poveri. Il discorso aveva allusioni bibliche, del genere che lui utilizzava. Il tema era “Riesco a vedere la terra promessa”, una specie del Mosè di “Posso vedere la Terra Promessa; so che non ci entrerò ma voi ci entrerete”, e la terra promessa di cui parlava non era il diritto di voto, erano i diritti dei poveri. Era interessato alla vite nella baraccopoli, alla repressione dei poveri in generale, razza e classe sono in qualche modo correlate e perciò si tratta prevalentemente di neri, ma assolutamente non soltanto di neri. Poi fu ucciso. Era prevista una marcia da Memphis a Washington (D.C.) e Coretta King, sua moglie, la sua vedova, guidò la marcia e attraversarono tutti i luoghi assediati del sud, Birmingham, Selma, e così via e finirono a Washington. Crearono una tendopoli a Washington, Resurrection City, che doveva essere la base per avvicinare il Congresso e cercare di ottenere delle leggi che si sarebbero prese cura della situazione difficile dei poveri. Beh, il Congresso, che era il Congresso più liberale della storia degli Stati Uniti, chiamò la polizia che arrivò nel mezzo della notte, distrusse l’accampamento e li cacciò dalla città. Quella fu Resurrection City. Per quanto riguardava i liberali del nord, se uno voleva denunciare gli sceriffi razzisti del sud andava bene, ma non venite dalle nostre parti.
Quali sono alcune tecniche perché la popolazione, e specialmente i giovani, veda la verità e si risvegli dalla falsa realtà e dalla falsa storia mediatiche?
Penso che i ragazzi siano pronti per questo; devono semplicemente essere attenti; la maggior parte della gente non è semplicemente attenta. Perché pensa di essere impotente. Voglio dire, è come fatto penetrare nelle loro teste che tutto è senza speranza, come “non c’è nulla che si possa fare, il potere è troppo forte.” In realtà quel senso di mancanza di speranza nel paese è incredibile; così, per esempio, uno guarda i sondaggi e più di metà della popolazione pensa che il Congresso dovrebbe essere totalmente mandato a casa e sostituito dai propri vicini. Sai, “loro faranno un lavoro migliore”. L’approvazione nei confronti del Congresso è a percentuali a una sola cifra; nessuno pensa “posso fare qualcosa al riguardo”; è come con i contadini del Brasile: “Come può uno come me fare qualcosa al riguardo?” In realtà diamo uno sguardo al movimento dell’11 settembre, il che è piuttosto interessante; non al contenuto ma semplicemente al fenomeno. Sai “Bush ha fatto saltare il World Trade Center”, quel genere di cose. Ha la simpatia di almeno … ho dimenticato il numero, penso sia circa un terzo della popolazione, una parte enorme della popolazione. Ciò significa che una grande parte della popolazione è disponibile ad accettare la possibilità che siamo governati da un branco di pazzi assassini che stanno cercando di ucciderci tutti, ma non pensa di poter fare nulla al riguardo. Perciò non alza un dito per fare qualcosa. “OK, è così che vanno le cose, ci nasconderemo e aspetteremo fino a quando succederà.”
Alcuni dei tipi più efficaci di propaganda sono quelli che consentono di vedere cosa sta accadendo, così si vede il 99% e l’1% ma quello che si prova è “non posso far nulla al riguardo, sono isolato, sono solo, non parlo con nessuno, le persone come me non possono fare nulla, dobbiamo soltanto soffrire e sopportare”, e questa è davvero propaganda efficace. E’ così che la schiavitù avrebbe potuto durare per sempre, senza molte ribellioni di schiavi.
E’ il modo in cui sono state oppresse le donne, ad esempio nella generazione di mia nonna. Se avessero chiesto a mia nonna se era oppressa non avrebbe nemmeno capito di cosa si stava parlando. “E’ la vita, le donne sono degli zerbini; la vita è così.” Arriviamo alla generazione di mia madre, ancora piena di oppressione, e lei era amareggiata per questo, ma non pensava di poter fare qualcosa in proposito, ma arrivati al giorno d’oggi le cose sono molto diverse. E’ qualcosa di molto simile ai contadini del Brasile e ai popoli indigeni della Bolivia e ai neri del sud dopo i giorni iniziali del Movimento per i Diritti Civili. Sì, possiamo fare qualcosa, anche se la situazione è brutale e aspra e potremmo finire uccisi, ma qualcosa possiamo fare. Tornando alla tua domanda, riguardo a molti giovani si parla di apatia, ma sospetto che sia più mancanza di speranza, impotenza e le persone possono imparare che non sono impotenti. Considera semplicemente cosa è stato fatto. Dà un’occhiata a ciò che hanno fatto altre persone in condizioni molto più dure di quanto potrai mai affrontare tu e a cosa è stato fatto di giusto nel tuo stesso paese.
Gli anni sessanta civilizzarono realmente il paese. E’ ora un paese molto diverso da com’era negli anni sessanta. Si tratta principalmente di giovani che semplicemente non si arresero e non si dissero ‘OK, non c’è nulla che possiamo fare’. In realtà a volte le cose sono radicali, come per anni quello che fu chiamato maccartismo, che intimidì la gente in modo davvero tremendo; io ci sono passato e le persone erano semplicemente spaventate da matti. La sede del Comitato sulle Attività Antiamericane … se le persone vi erano convocate tremavano di paura e cosa si poteva fare? Ma negli anni ’60 persone come Abbie Hoffman semplicemente cominciarono a ridicolizzarli e loro crollarono. E’ qualcosa che si sa da secoli. Così torniamo indietro, per esempio, a David Hume, che fu uno dei grandi fondatori del liberalismo classico e un grande filosofo. Scrisse un libro intitolato ‘I fondamenti della teoria del governo’, o qualcosa di simile, e in esso egli propone una specie di paradosso; dice che in ogni società, che si tratti di una dittatura feudale, di una dittatura militare o di un sistema semi-parlamentare come la Gran Bretagna, qualsiasi cosa sia, il potere, dice lui, è sempre nelle mani dei governati. Quelli che sono governati hanno sempre il potere nelle loro mani. E allora com’è che semplicemente non rovesciano in governanti e si prendono le cose per sé? Egli afferma che sempre, ogni società è basata sul controllo delle opinioni e degli atteggiamenti. Se si riesce a convincere la gente … se i potenti sono in grado di convincere la gente che “dovete stare nel vostro buco, è quello il posto vostro, quello è il vostro ruolo nella vita, nulla può essere cambiato”, allora i governanti possono controllarla.
Ora, dà un’occhiata alla storia delle rivoluzioni, dei cambiamenti importanti; è quando la gente si è liberata di ciò [di tale visione – n.d.t.]. Così, non molto prima di Hume, e lui può averlo avuto in mente, in Gran Bretagna un secolo fa ci fu un grande conflitto tra il parlamento e il re. Il parlamento era fondamentalmente costituito dalla borghesia e dai proprietari terrieri e così via, ma non era costituito dall’intera popolazione. E la domanda è: il re è al di sopra della legge? Re Carlo insistette di essere al di sopra della legge; il parlamento guidato da giuristi e da altri che dicevano no alla Magna Carta decisero che il re è soggetto alla legge, all’epoca dei nobili e del parlamento. Ci fu un vero grande conflitto in proposito; in effetti portò presto alla brutale guerra civile, ma il parlamento restò fermo e costrinse il re a firmare qualcosa ammettendo di non essere al di sopra della legge. All’epoca il re era considerato il rappresentante di Dio e con Dio non ci si trastulla, si sa che è una faccenda seria. Si trattò essenzialmente di levarsi contro una specie di autorità divina, non della nostra società, che significava qualcosa all’epoca, e superare ciò fu molto difficile, ma lo fecero e ciò portò a un parlamento costituzionale, una monarchia parlamentare, che è cosa diversa da una monarchia feudale.
Hai parlato delle organizzazioni secondarie che sono state ripristinate da Occupy Wall Street; pensi che creare questo tipo di dialoghi possa contribuire a sposare la politica pubblica con l’opinione pubblica?
Potrebbe; se si guardano i movimenti Occupy ci sono grosso modo due correnti maggiori che penso siano entrambe importanti. Uno è di tipo orientato alla politica e dunque “dovremmo fare qualcosa a proposito della disuguaglianza radicale”, sia, “dovremmo avere una tassa sulle transazioni finanziarie” o cancellare la personalità giuridica delle imprese o sistemare la questione dei finanziamenti delle campagne elettorali; ci sono parecchie idee molto sensate e costruttive sul lato politico. L’altra parte, che penso sia molto più importante, sta semplicemente creando comunità. Voglio dire, questa è una società molto atomizzata. Le persone sono davvero sole. Penso che parte dell’attrattiva dei media sociali, Facebook, sai … tutti hanno cominciato a parlare di sé stessi su Facebook, è solo che non ci sono comunità. Non ci si parla con gli amici, con i vicini, eccetera. La comunità di tipo internet è qualcosa di anonimo, e così puoi davvero provare una sensazione del tipo “sono davvero solo, anche se sto scrivendo del mio appuntamento della notte scorsa”. C’è un mucchio di esibizionismo nella cultura di Facebook cui le persone non si dedicherebbero privatamente, se non con amici molto intimi, ed è in parte un riflesso del tipo di alienazione che è imposta alla società. Le persone sono davvero sole. Non è qualcosa che è semplicemente successo; ci sono grossi sforzi per crearlo; il modo migliore per controllare le persone consiste nell’isolarle, atomizzarle e cercare di indurle a preoccuparsi solo di sé stesse e di nient’altro. I movimenti Occupy, senza averlo programmato, in una certa misura sono evasi da questo. Le persone interagiscono naturalmente in quel modo se ne hanno l’occasione e quando le persone convergono sul Parco Zuccotti o a Dewey Plaza, qui, o dovunque possa essere, formano semplicemente presto delle comunità di mutuo sostegno e solidarietà e si aiutano reciprocamente.
E’ piuttosto impressionante che quando Bloomberg [il sindaco di New York] ha mandato le truppe a distruggere tutto, la prima cosa che hanno effettivamente distrutto è stata la biblioteca. Di fatto hanno distrutto migliaia di libri e penso che la cosa sia più che simbolica; non erano tenuti a distruggere i libri. È stato essenzialmente dire alla gente: voi non potete fare nulla per conto vostro; se volete una biblioteca saremo noi a gestirvela. Lo stesso con le cure mediche, le mense comunitarie, e tutto il resto; è qualcosa di davvero minaccioso, perché contribuisce a far sì che la gente esca dall’isolamento e riconosca che la subordinazione non va accettata. Tornando di nuovo al movimento delle donne, è circa così che tutto è cominciato. E’ cominciato con piccolissimi gruppi di creazione di consapevolezza, piccoli gruppi di persone che semplicemente si parlano le une con le altre a proposito dell’oppressione che tutte avvertono ma che non considerano come qualcosa di diverso dalla vita normale, sai, è così che va la vita. Quando si può parlare alle altre persone e vedere che non è così che le cose devono andare, che possiamo fare qualcosa, ben presto la cosa si diffonde molto rapidamente. Il movimento per i diritti civili è un po’ la stessa cosa; ovviamente risale a secoli addietro, ha radici profonde ma nel periodo realmente moderno, diciamo dagli anni ’60, è cominciato con piccole azioni individuali. Come un paio di ragazzi seduti in una tavola calda a Greensboro finiti arrestati e gettati fuori. Il giorno dopo arriva un gruppo più grosso e ben presto ci sono i Viaggiatori della Libertà e viene fondato il SNCC e presto c’è un grande movimento popolare.
Da dove ricavi la tua spinta personale per la tua creatività, per la giustizia sociale e per diffondere consapevolezza?
Non penso sia la domanda giusta, penso che la domanda sia: perché non lo fanno tutti? Perché io penso che le persone lo farebbero semplicemente naturalmente; ti guardi attorni, ti rechi al lavoro, c’è un senzatetto che chiede la carità. Qualcun altro: “Questo tizio non ha lavoro”, c’è povertà dovunque; si passa davanti a un ospedale, c’è una folla al pronto soccorso perché non è in grado di consultare un medico. Guardi al resto del mondo, non solo alle aree ricche come la nostra, ed è sconvolgente. Non appena le persone devono prendere coscienza di questo, penso sia semplicemente automatico. Mi è capitato di essere esposto a queste cose da bambino, sono cresciuto durante la Depressione. Sai, persone che bussano alla porta cercando di vendere stracci e cose così.
Nel tuo saggio ‘La responsabilità degli intellettuali’ hai posto la domanda: “Cosa possiamo fare?”
Beh, la sostanza della questione è che possiamo fare praticamente qualsiasi cosa. Le persone come noi, diciamo, non saremmo qui altrimenti, sono parecchio privilegiate. Abbiamo il genere di privilegio che pochi hanno mai avuto nella storia o hanno adesso e se hai privilegi hai opportunità e le opportunità sono quasi infinite. Voglio dire, grazie alle lotte del passato; non è sempre stato così, ma grazie alle lotte del passato, c’è una grandiosa quantità di libertà.
Lo stato può cercare di reprimerti, ma non può fare molto. Può approvare la NDAA, diciamo, [La legge sulle autorizzazioni per la difesa nazionale – n.d.t.], ma non può attuarla davvero contro la volontà della popolazione. Penso che ci sia un mucchio di preoccupazione eccessiva nei gruppi attivisti a proposito della repressione statale. Intendo dire, non è che non ci sia; certo a loro piacerebbe attuarla. Innanzitutto, c’è sempre stata, è semplicemente una specie di eredità che gli stati conoscano i loro sistemi di potere ed è qualcosa di molto più debole di quanto era in passato. C’è della paranoia a proposito di campi di concentramento, sai, “Ci rinchiuderanno tutti”, la NDAA dice che possono rinchiuderci a tempo indeterminato. I campi di concentramento esistono sin dagli anni ’50; negli anni ’50 i liberaldemocratici Humphrey e Layman introdussero una legge per creare campi di internamento nel caso la gente andasse fuori controllo. Non ho mai verificato il seguito per vedere cos’è successo, ma so che la legge fu approvata ma non possono farsene niente. Prendi, diciamo, i sistemi di sorveglianza; non dovrebbero esserci sistemi, non dovremmo tollerare sistemi in forza dei quali tutto ciò che si dice viene trasmesso a un computer centrale, a un enorme supercomputer nello Utah e al cui riguardo fanno questo e quest’altro. Ma anche se ce l’hanno cosa se ne faranno? Niente; in realtà ci sono state esperienze con l’FBI nei giorni della resistenza, non possono farsene nulla. E se tentassero, solleverebbero una reazione popolare, perciò il potere è effettivamente nelle mani dei governati, se sono disposti a usarlo. Dunque cosa possiamo fare? Dato che siamo quelli privilegiati, abbiamo un numero enorme di cose che possiamo fare. Possono esserci tentativi di metterci a tacere, o roba simile, ma non finiremo spediti a farci saltare le cervella, non siamo El Salvador.
Chris Steele è un giornalistica e lavora per il ‘The Examiner di Denver. La traduzione di questa intervista è di Giuseppe Volpe ed è stata pubblicata su Znetitaly.org (fonte originale: Rudr).
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