Lo sanno tutti che per le persone migranti e rifugiate in Italia s’è aperta una stagione politica tremenda. Di certo peggiore di quella segnata dalla caccia ai “taxi del mare” di Di Maio e Salvini. Nasce all’insegna dell’esaltazione della natalità italica a spese dei diritti delle donne, della retorica d’un patriottismo che avrà un bisogno spasmodico di capri espiatori vulnerabili e alterizzati, del mito razzista dell’identità originaria, di un salto di qualità della «preferenza nazionale», vessillo lepeniano degli anni Ottanta, e di una escalation, molto più aggressiva e feroce, della strategia di esternalizzazione delle frontiere. Come difendersi? Non lo sappiamo ancora, ma sarà il caso di aprire finalmente le orecchie alle voci dei migranti. Anche a quelle che gridano inascoltate dalla Libia o dal Niger. Se c’è una cosa che in questi anni dovremmo aver imparato qui è che inseguire la destra sulle sue politiche e i suoi valori cercando di “moderarli”, come hanno fatto tutti i governi del centrosinistra, non paga e produce danni enormi quanto profondi nella società. Ce lo ricorda, con rigore ed estremo realismo, questo articolo di Annamaria Rivera. Il razzismo è razzismo. È illusorio ma anche perdente provare a inventarne versioni democratiche o rispettabili, magari per fingere di attenuare quello istituzionale o distinguerlo da quello “spontaneo”, dichiarato e disinibito. I lager libici di Minniti, possibile prototipo dell’orrore dei futuri “hotspot” in terra africana, sono lì a dimostrarlo. Chi immagina di poter ancora opporre alla furia xenofoba e securitaria le ragioni tiepide del calo demografico, magari evocando – come spiega Annamaria – lo stereotipo di donne immigrate e rifugiate quali “incubatrici per la patria” altrui, oppure il salvataggio della scuola e dell’economia italiane, non ha capito – o continua a fingere di non capire – quel che la realtà di milioni di vite spezzate e umiliate sta gridando in Europa da tanto tempo. La libertà di movimento delle persone migranti è un diritto essenziale. Aiuta a costruire mondi nuovi per chi parte e per chi sa accogliere chi arriva senza visioni strumentali e ipocrisie che ne misurino l’utilità per la patria

Non appena insediata, la nuova presidente del Consiglio dei ministri ha mostrato apertamente quanto fascistoidi saranno l’ispirazione e l’operato del governo più di destra nella storia della Repubblica italiana.
È quasi pleonastico rimarcare che uno dei bersagli del nuovo governo saranno le persone immigrate e rifugiate, anche le più “rispettabili”: basta dire che durante le repliche alla Camera dei deputati per il voto di fiducia al suo governo, Giorgia Meloni si è rivolta con il “tu” all’unico deputato “di colore” (come lei direbbe), cioè Aboubakar Soumahoro di Sinistra italiana e Verdi, oltre ad averne anche sbagliato il nome.
Della vittoria impensabile della destra estrema, la sinistra, soprattutto quella “moderata”, ha una notevole responsabilità per molte ragioni: non ultima quella di aver trascurato, minimizzato, banalizzato l’importanza decisiva della lotta contro il razzismo e per l’integrazione e i diritti delle persone immigrate e rifugiate. E ciò perfino da parte di taluni/e studiosi/e ed intellettuali di sinistra, che sovente criticano, sì, le più infami politiche sull’immigrazione e l’asilo, ma in nome della ragione utilitaria e secondo una visione strumentale: l’accoglienza di persone immigrate e rifugiate servirebbe a contrastare il calo demografico, quindi il declino dell’Italia, e a salvare settori fondamentali della nostra economia che si reggono sul lavoro, spesso servile, della manodopera immigrata.
Tali argomentazioni – che, in apparenza realistiche, vorrebbero essere convincenti rispetto a chi teme “l’invasione”– in realtà, sia pur involontariamente, rischiano di confermare lo status quo dello sfruttamento estremo nonché di evocare lo stereotipo di donne immigrate e rifugiate quali “incubatrici per la patria” altrui. Anche per questo occorrerebbe favorire in ogni modo la nascita di un movimento, indipendente e auto-organizzato, degli/delle attivisti/e immigrati/e e rifugiati/e.
Già in mio un saggio del 2009 (Regole e roghi. Metamorfosi del razzismo, Dedalo p. 216) con una certa ironia avevo definito razzismo democratico o rispettabile quel razzismo subdolo e ipocrita che sorge dalle viscere dell’area un tempo detta di sinistra. E ciò anche per distinguerlo sia dal razzismo istituzionale sia da quello “spontaneo”, dichiarato e disinibito.
È del tutto evidente che, soprattutto con il governo Conte I, detto fascio–stellato, abbia raggiunto il culmine la dialettica perversa fra razzismo istituzionale e razzismo “popolare”, della quale scrivo da molti anni. E ciò non solo a causa di una produzione legislativa essa stessa d’impronta apertamente sicuritaria e discriminatoria, la quale non fa che titillare, legittimare, alimentare il senso comune intollerante e i diffusi sentimenti di ostilità verso gli altri e le altre. Ma anche grazie al ricorso a una strategia propagandistica, ben congegnata e ben pagata, che è divenuta ormai, come nei regimi totalitari, strumento di governo e, al tempo stesso, di manipolazione delle masse: le due dimensioni vanno facendosi sempre più intercambiabili o addirittura coincidenti, insieme con la costante violazione del principio democratico della separazione dei poteri.
E’ anche a causa di questa dialettica che gli atti di razzismo “spontaneo”, per così dire, vanno moltiplicandosi secondo il ben noto meccanismo per cui frustrazione, risentimento e rancore (non poche volte effetto delle condizioni sociali vissute) sono indirizzati verso il capro espiatorio di turno, di solito il più disprezzato, vulnerabile e alterizzato. Il che ha favorito la crescita del razzismo anche in aree tradizionalmente “rosse”.

Nondimeno la china intrapresa, pericolosa per la sopravvivenza della stessa democrazia, è anche l’esito – che oggi sarà sicuramente spinto all’estremo dal governo Meloni – dell’operato di governi passati, non solo dei più recenti e non solo di centro-destra. Ricordo che fu nel corso del primo governo Prodi che, il 28 marzo del 1997, si consumò la strage di un centinaio di profughi albanesi della Katër i Radës, in gran parte donne e bambini, tutti/e in fuga dalla guerra civile. Com’è noto, la piccola motovedetta, strapiena di profughi/e, fu speronata nel canale d’Otranto dalla corvetta Sibilla della Marina militare che, per ordini superiori, doveva impedirne l’approdo. Il governo, infatti, col ruolo decisivo di Giorgio Napolitano, aveva decretato, d’accordo con l’Albania, un blocco navale costituito da una barriera di navi da guerra: severamente criticato dall’unhcr come illegale.
Durante il medesimo governo Prodi fu approvata la legge detta Turco-Napolitano, la n. 40 del 6 marzo 1998, la quale, fra l’altro, per la prima volta istituiva, con i Centri di permanenza temporanea e assistenza, la detenzione amministrativa quale strumento ordinario e non convalidato dall’autorità giudiziaria: riservata a persone immigrate “irregolari”, sottoposte a provvedimenti di espulsione o di rimpatrio coatto. Appena inaugurati, i cpta (di solito detti cpt e oggi cie) provocarono ben otto morti, tanta era l’assistenza di cui godevano le persone “trattenute”.
Prevale, infatti, nella coscienza collettiva come fra tanti locutori mediatici (anche quelli che si reputano antirazzisti), la tendenza a rimuovere gli antecedenti, lo sviluppo, la ciclicità e comunque la lunga durata del neo-razzismo all’italiana.
Non è certo la prima volta che nel nostro Paese il razzismo verbale più rozzamente biologista si esprime in maniera esplicita e cruda. Per non andare troppo indietro nel tempo, si può citare l’anno 2013 che vide uno sconcertante ritorno della “razza”, evocata da topoi simili a quelli che potevano trovarsi nelle pubblicazioni popolari al servizio della propaganda fascista: anzitutto il motivo ricorrenteche assimila i “negri” a scimmie, col tipico corollario di banane.
Nel corso di quell’anno, dileggi e insulti di tal genere s’intensificarono sempre più, prendendo a bersaglio calciatori d’origine subsahariana o d’altra provenienza straniera, oppure “solo” meridionali; ma soprattutto l’allora ministra per l’Integrazione, Cécile Kyenge, fatta oggetto d’incessanti attacchi razzistici. Uno dei più gravi, anche per la carica istituzionale ricoperta dal locutore, fu quello pronunciato da Roberto Calderoli che, da vice–presidente del Senato qual era, osò assimilare la ministra a un orango.
Un ventennio dopo la Turco-Napolitano, è stato ugualmente un governo detto di centro-sinistra a varare le due leggi dell’aprile 2017, entrambe accomunate da un’ideologia sicuritaria e repressiva: la 46, detta Minniti-Orlando (“Disposizioni urgenti per l’accelerazione dei procedimenti in materia di protezione internazionale, nonché per il contrasto dell’immigrazione illegale”) e la 48, detta Minniti (“Disposizioni urgenti in materia di sicurezza delle città”). Sono questi due provvedimenti legislativi ad aver costituito il modello per la legge n. 132, del 1° dicembre 2018, che, fermamente voluta da Salvini, sovrappone, e non per caso, i temi della sicurezza e dell’immigrazione, esasperando il carattere repressivo-razzista-sicuritario, a tal punto da configurarsi come nettamente anticostituzionale, secondo il parere di non pochi giuristi.

Ed è nel corso dello stesso governo Gentiloni che, soprattutto per volontà del ministro dell’Interno, vennero stretti accordi con le bande criminali libiche e s’inaugurò “Deserto rosso”, operazione militare in Niger, finalizzata a bloccare l’afflusso dei profughi dal Sud verso le coste della Libia. Durante quella stessa legislatura s’intensificò il processo di delegittimazione, anche governativa, delle ong: il Codice di condotta adottato da Minniti, con le sue contromisure e sanzioni, di fatto ha impedito loro le operazioni di ricerca e soccorso: passate formalmente alla famigerata Guardia costiera libica.
Quanto alle aggressioni razziste, fino all’omicidio e alla strage, contro persone immigrate, rifugiate e/o alterizzate, esse costellano inesorabilmente almeno l’ultimo quarantennio della storia italiana. Era la notte fra il 21 e il 22 maggio del 1979 quando a Roma Ahmed Ali Giama, cittadino somalo di trentacinque anni – ex studente in legge presso l’Università di Kiev, poi rifugiato politico fuggito dalla feroce dittatura di Mohammed Siad Barre – veniva bruciato vivo da quattro giovani italiani, mentre dormiva sotto il portico di via della Pace, nei pressi di piazza Navona. Nonostante le testimonianze dettagliate di sette persone, uscite da un ristorante vicino, i quattro saranno assolti in Cassazione.
Per citare un altro caso agghiacciante, il 9 luglio 1985, a Udine, il sedicenne Giacomo Valent fu ucciso con sessantatré coltellate da due suoi compagni di liceo, di quattordici e sedici anni, apertamente neonazisti. Figlio di un funzionario d’ambasciata e di una principessa somala, Giacomo veniva costantemente dileggiato come “sporco negro” per i capelli ricci e il colore ambrato della pelle, ma anche per le sue idee di sinistra. Questo e altri casi dimostrano come la discriminazione e il razzismo (fino all’omicidio) non risparmino neppure le persone perfettamente integrate.
Più noto è l’omicidio di Jerry Masslo, profugo politico sudafricano, costretto, per sopravvivere, a lavorare in condizioni quasi-schiavili alla raccolta di pomodori nelle campagne di Villa Literno. A questo assassinio, compiuto il 20 settembre 1989 da una banda di giovani rapinatori, per di più razzisti, seguì il primo sciopero di migranti contro il caporalato e una manifestazione nazionale che vide la partecipazione di almeno duecentomila persone e inaugurò il movimento antirazzista italiano.
Tutt’oggi si continua pigramente a parlare di “guerra tra poveri”: allorché la dialettica perversa fra razzismo istituzionale e razzismo “popolare”, spesso istigato da formazioni neofasciste e/o dalla Lega Nord, sembra aver raggiunto il culmine; perfino allorché il governo Meloni va profilandosi come fascistoide e coerentemente razzista.
Per non dire della tendenza a ricondurre un fenomeno complesso com’è il razzismo a “odio” o “paura” e della reiterazione di slogan impolitici e moraleggianti quale l’ossessivo “Restiamo umani”: tanto antropocentrico quanto impolitico, come ho scritto più volte.
C’è da auspicare che a sinistra si comprenda l’assoluta centralità della lotta contro il razzismo e per i diritti delle persone migranti e rifugiate, praticando un antirazzismo solidale e radicale, con ciò ponendosi decisamente all’opposizione del governo più di destra della storia repubblicana.
Grazie, Annamaria. Oggi, 2 novembre, si rinnova tacitamente per altri tre anni l’infame Memorandum Italia-Libia. Per altri tre anni avremo a libro paga, insieme a italianissimə insegnanti, magistratə e addettə alla nettezza urbana, anche assassini, stupratori e addetti alla tratta che si esercita in Libia, nella difesa dei confini della Fortezza Europa. Se tutto questo accade nel silenzio, salvo poche voci che vengono dalla militanza antirazzista, se si profila una stagione politica all’insegna della criminalizzazione delle ONG in mare e del dissenso giovanile è anche per le perduranti pochezze della fu-sinistra parlamentare (e dei Cinque Stelle, beninteso), e allora questo esercizio di memoria storica e ragione critica antirazzista che ci offri serve a ricordare a chi non vuole ricordare che la barbarie di oggi è figlia di tanti piccoli smottamenti dell’etica pubblica, spesso promossi dalla fu-sinistra, che seguono logicamente alla riduzione di alcuni gruppi della specie umana a una condizione di sacrificabilità totale.
L’articolo di Annamaria Rivera coglie in maniera profonda l’evolversi di un fenomeno innanzitutto politico come è il razzismo in tutte le sue forme, rimarcando l’importanza della memoria storica per una salvaguardia del nostro stesso futuro. Articoli e spazi come questo servono anche, secondo me, a contrastare l’inconsistenza di una certa sinistra sempre più legata agli scranni di potere (sia esso politico o cultural-accademico) e incapace non dico di porsi al servizio della collettività, ma nemmeno di dialogarci e esercitare la “parola ascoltata”.
Tutto vero, purtroppo! Grazie Annamaria, la tua analisi come al solito perfetta rinfocola l’indignazione e anche lo sconforto per aver inutilmente protestato e denunciato le pratiche razziste di tutte le parti politiche, e purtroppo anche di molta cosiddetta sinistra, con i soli mezzi che abbiamo, le parole, gli appelli, le petizioni. Ora cambierà qualcosa di fronte al prevedibile e drammatico peggiorare della situazione? Spes ultima dea…
Grazie anche da parte mia.
Come al solito la tua analisi è lucida e approfondita.
Credo che con questo governo assisteremo ad una recrudescenza di razzismo accompagnato da una “generosa” dose di sessismo.
Ne abbiamo già avuto qualche esempio concreto nell’assegnazione dei ministeri.
Non ci resta che lottare!
Analisi pressoché perfetta di un atteggiamento che si è sempre insinuato nei nostri pensieri a partire da quel “Faccetta nera” di trista memoria quando l’Italia tentava goffamente di entrare a far parte (un Impero?) delle nazioni europee che si stavano spartendo l’Africa. Perché il nodo centrale del problema è e resta l’Africa alla quale oggi si guarda come “serbatoio” di energia al quale ricorrere in tempo di guerra. Un pensiero che non riesco a evitare è proprio quello di una nuova forma di colonizzazione “energetica” e predatoria di terre e Nazioni che non risolverebbe certo il fenomeno migratorio. Anzi potrebbe addirittura accentuarlo. Perché si fugge? Da cosa si fugge? Come si fugge? Sembra che i nostri governanti – anche quelli dell’impalpabile centro-sinistra – non si pongano mai questa domanda ma piuttosto inseguano la destra nel tentativo di rassicurare una medio-piccola borghesia. Che ora si trova sull’orlo del baratro e ha il timore di precipitare in un orrendo (per essa) sottoproletariato popolato dai “mostri della ragione”. Che non danno tregua e non la daranno finché non tornerà a esserci un polo politico realmente propositivo, capace di sviluppare qualcosa di simile ai vecchi piani quinquennali, proiettati verso il futuro e non solo da adottare per far fronte alle solite (e a volte terribili) emergenze. Già, perché il nostro è un Paese incapace di guardare avanti, legato solo e soltanto a un presente che deve restare immutabile. Il cambiamento, l’accettazione dell’altro, l’empatia, la capacità di esercitare un pensiero critico, da noi non hanno casa. Così come non l’ha chi viene a cercare salvezza da noi. E nessuno è più capace di offrirla.
“…Prevale, infatti, nella coscienza collettiva come fra tanti locutori mediatici (anche quelli che si reputano antirazzisti), la tendenza a rimuovere gli antecedenti, lo sviluppo, la ciclicità e comunque la lunga durata del neo-razzismo all’italiana…” Ecco uno dei nodi individuati dall’importante articolo di Annamaria Rivera, il LUNGO PERIODO, spesso utilizzato solo per recriminazioni a velocità variabile (per qualcuno un atto minimo di trent’anni fa è ancora una spada da usargli contro; per altri quanto fatto appena ieri è passato già dimenticato – trave e pagliuzza). Quanto si è giocato e si gioca, anche in termini puramente elettorali, sulla DURATA o meno di un fenomeno? Quanto ricorda Rivera è agghiacciante: Katër i Radës, Napolitano-Turco-Prodi-Minniti, etc., e giunte di centrosinistra nel delta del Po… costituiscono una catena di NOMI E COSE “progressiste” che hanno insudiciato questo nome, così come l’antirazzismo e l’antifascismo. Non si tratta di “tradimenti” (nel tradimento c’è ancora qualcosa di nobile, e Pierre Vidal-Naquet parlava di un “buon uso del tradimento”, a proposito di Giuseppe Flavio) ma di rovesciamenti che fanno rileggere tutto il loro passato: quand’erano “comunisti”, che cos’erano, realmente, Napolitano, Minniti, etc.? Sono imperdonabili, per aver impresso alla storia della sinistra comunista in Italia una torsione sicuritaria, creando / inventando allarmi e invasioni, come il peggior Salvini. Il lavoro tenace di Rivera ci permette di tornare alle radici, non per consolarsi di aver il dito puntato (esso è in realtà ogni giorno puntato contro di noi), ma per sapere in quale direzione dirigere la ricostruzione di un movimento antirazzista/antifascista/antisessista/antispecista degno, nella pratica quotidiana, di questo nome!
Mi complimento anch’io, cara Annamaria, per quanto e come affronti il problema immigrazione- comportamento della sinistra nel tempo. Comunque, a mio parere, elementi come Prodi sempre sorridente e Napolitano sempre serio e perciò premiato come presidente, non nascono dal nulla ma da un deterioramento che inizia con Togliatti. Ora e da un bel pò è da rimettere tutto in piedi, non tanto perché ci siano Meloni e c. ma per quello che non c’è e c’interessa ci sia.